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Jerusalem day, Nakba della diplomazia di Enrico Campofreda Il giorno di Gerusalemme ha il ghigno del militare israeliano sul volto dell’anziana velata che magari racconta quel che il giovane in divisa non sa né vuol sapere, mentre sullo sfondo dell’istantanea una coppia (forse di turisti) osserva con fare curioso e divertito.
L’ennesima prova di forza voluta da Netanyahu e fiancheggiata da Trump esalta lo strapotere coloniale di Israele. Quello falsamente legale dell’esercito che da oltre cinquant’anni occupa la città eterna, ponendo alle etnie e ai culti non ebraici il giogo della propria supremazia. E quello palesemente illegale di migliaia di coloni gioiosi che in questi giorni portano per via la soffocante protervia d’un razzismo difeso con le armi. La prova di forza sottolinea la viltà della diplomazia mondiale che su altre piazze e per altre tematiche fa e disfa, giungendo sino a conflitti combattuti o minacciati, in genere per interesse e tornaconto di potere economico e geostrategico. Certo anche per la terra di Palestina, usurpata e scippata, le guerre e le trattative non sono mancate. Molte si trascinano tuttora, in maniera assolutamente impari, visto lo stillicidio di vittime subìto periodicamente dai palestinesi, quando protestano e quando semplicemente lavorano o provano a farlo fra mille difficoltà. Che poi sono le quotidiane ingiustizie con cui il sistema sionista, che ha totalmente virato verso il razzismo dell’apartheid, intossica l’esistenza di chi resiste a vivere su quella terra.
Tutto accade nella diffusa indifferenza di quegli orgasmi della comunità internazionale, dimostratisi sempre più inefficaci verso le imposizioni di chi, come Israele, fa della violenza camuffata da difesa un pilastro della sua esistenza. E per ogni obiezione insinua l’accusa di antisemitismo, orientandola fuori luogo verso chi afferma ben altro. La gente di Palestina da settant’anni non ha più patria e terra e la difesa di questi princìpi, che Israele rivendica per sé e per centinaia di migliaia di ebrei riuniti in quei luoghi, viene negata alle famiglie arabe che ne furono e continuano a essere cacciate. Gli accordi di Oslo che prevedevano la nascita della cosiddetta Cisgiordania come nazione palestinese si sono trasformati da trappola in beffa per come e quanto sono raggirati dalla pratica dell’insediamento dei coloni imposto con la forza di Tsahal. La stessa convivenza conservata nella Gerusalemme-Al Quds è demonizzata. Eppure, come sostengono degli attivisti palestinesi intervistati dall’emittente Al Jazeera, e in queste ore in agitazione per l’apertura dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, non è neppure quest’ultimo evento l’aspetto più dannoso per la loro causa. “Quel che ci danneggia – dicono – è l’israelificazione della società, l’azzeramento della nostra presenza con l’abbattimento di case, l’espulsione della nostra gente, i raid dei coloni davanti la Moschea di Al-Aqsa”.
La dimostrazione di esistenze vigilate e imposte anche fuori da zone assurte a esempio di vita incarcerata, com’è la Striscia di Gaza, c’è in questi momenti nel quartiere arabo di Al Quds, dove i residenti sono impossibilitati a uscire perché l’esercito d’Israele non ammette altra voce che quella degli abitanti ebraici e dei coloni giunti dai Territori Occupati per festeggiare il settantennio del proprio Stato. I palestinesi promettono comunque d’essere in strada nel pomeriggio, quando ci sarà la cerimoni d’inaugurazione dell’ambasciata Usa, anche a costo di subire arresti e violenze. Sarà un risvolto probabile per le elevatissime misure di sicurezza approntate dai reparti speciali a protezione degli ospiti di lusso: la delegazione guidata dalla figlia del presidente Ivanka e dal marito Kushner. il rampante rampollo d’un clan potentissimo della lobby ebraica d’Oltreoceano. Esempio lampante di come nel passo del presidente americano c’entrino legami e affari privatissimi. Le proteste, la repressione e il solito sanguinario epilogo sono in atto da stamane nella travagliata Striscia che da settimane vede mobilitata e colpita la locale comunità. I morti registrati sono sette, centocinquanta i feriti, quasi tutti colpiti dai cecchini. Una sequenza che si ripete e ha come unico sbocco la scelta di finire crivellati senza che nulla accada. Un destino diventato più che tragico, ottusamente funereo, ma che ci rende tutti inesorabilmente colpevoli.
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