Fonte: Fabio Falchi

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04/05/2018

 

La santabarbara Mediorientale

di Fabio Falchi

 

Lunedì scorso il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rivelato in un discorso alla Nazione che i servizi di intelligence israeliani sono riusciti ad impadronirsi del dossier segreto relativo al programma nucleare iraniano e che una copia di questo dossier è stata consegnata agli americani. Si tratta di numerosi documenti che, a giudizio del premier israeliano, proverebbero che Teheran ha intenzione di dotarsi di armi atomiche, violando così palesemente il Joint Comprehensive Plan of Action del 2015, ovvero il cosiddetto “accordo 5+1” (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania), in base a cui Teheran avrebbe dovuto sospendere il suo programma nucleare in cambio della cessazione delle sanzioni economiche imposte all’Iran proprio perché cessasse tale programma.

 

Com’era prevedibile le parole di Netanyahu hanno provocato una miriade di polemiche in tutto il mondo, tanto più che Trump aveva già dichiarato di voler “uscire” dall’intesa sul nucleare iraniano (il presidente degli Usa dovrebbe annunciare la sua decisione il prossimo 12 maggio). Del resto, si sa che quando si tratta di Israele gli animi si scaldano subito: vi è chi si schiera a priori a favore di Israele e chi si schiera a priori contro Israele. Ma questa volta la questione è troppo seria per lasciare la parola solo a chi fa il tifo per o contro Israele.

 

In primo luogo, si deve notare che secondo l’Aiea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) le dichiarazioni di Netanyahu non aggiungono nulla di nuovo a quanto già si sapeva nel 2015. Infatti, era noto che il programma nucleare dell’Iran aveva un duplice scopo, civile e militare, ma pure che questo programma, per quanto concerne la produzione di armi atomiche, dopo il 2003 aveva subito un notevole rallentamento e (di fatto) era cessato nel 2009. In effetti, se si riteneva che l’Iran non mirasse a dotarsi di armi atomiche (come invece Teheran ha sempre sostenuto) non vi sarebbe neppure stata la necessità di un’intesa sul nucleare iraniano. Intesa che l’Iran ha (nella sostanza) rispettato, come ha dichiarato lo stesso generale Gadi Eisenkot (Chief of General Staff of the Israel Defense Forces) solo qualche settimana prima delle “rivelazioni” di Netanyahu (1).

 

Nondimeno, si è pure osservato che Netanyahu ha evidenziato dei “punti nuovi” che meritano di essere analizzati e valutati seriamente, a cominciare dal fatto che secondo il premier israeliano l’Iran aveva in programma la costruzione di cinque bombe nucleari da quindici kilotoni ciascuna (“Bibi” ha pure indicato i siti in cui possono essere costruite) (2). Insomma, l’Iran avrebbe mentito spudoratamente riguardo agli scopi del suo programma nucleare. Ma questo (ammesso che sia vero) basta per “uscire” da un’intesa che comunque sta dando dei “buoni frutti” ovverosia “is working now” per usare le parole del capo di Stato maggiore israeliano?

 

Peraltro, vi è chi afferma che in ogni caso l’Iran farebbe bene a dotarsi di armi atomiche per la propria sicurezza, dato che Israele dispone di un vasto arsenale atomico, che comprende pure dei missili balistici a medio raggio (di preciso sui missili israeliani si sa poco, ma ad esempio le stime della gittata del Jericho III variano da 4.800 ad oltre 6.000 chilometri). Perciò alcuni ritengono che l’Iran, anche se potesse disporre di alcune armi atomiche, non rappresenterebbe una grave minaccia per Israele (che, secondo fonti attendibili, possiede circa 200 testate nucleari). Ma è ovvio che se l’Iran diventasse una potenza nucleare pure altri Paesi della regione (in specie la Turchia e l’Arabia Saudita) cercherebbero di dotarsi di armi atomiche, e una proliferazione nucleare in una regione instabile come il Medio Oriente avrebbe con ogni probabilità conseguenze catastrofiche.

 

A tale proposito si deve ricordare che gli Usa hanno ribadito che non ha senso chiedere ad Israele di rinunciare o ridurre il proprio arsenale atomico fin quando tutti gli altri Paesi della regione non riconosceranno in modo chiaro e netto il diritto all’esistenza di Israele. Ma si tratta di un punto di vista discutibile, in quanto l’ostilità nei confronti di Israele da parte di non pochi musulmani non giustifica il fatto che l’arsenale atomico di Israele (che non ha mai ammesso di possedere armi nucleari) non sia soggetto ad alcun controllo internazionale. Di conseguenza, il punto di vista degli americani pare portare acqua al mulino dei falchi iraniani. (Questi ultimi possono anche fare presente che l’Iran confina pure con il Pakistan, anch’esso una potenza nucleare e com’è noto, la maggioranza della popolazione pachistana è sunnita. Ma nel mondo musulmano conta soprattutto l’appartenenza al clan e comunque il “nemico tradizionale” del Pakistan è l’India, che è una potenza militare e nucleare decisamente maggiore del Pakistan).

 

D’altra parte, quel che più sembra preoccupare Israele è il programma missilistico iraniano, che secondo alcuni analisti occidentali dovrebbe essere preso in considerazione, per limitarlo il più possibile, se si vuole difendere “l’accordo 5+1” (una tesi sostenuta pure dal presidente francese). Teheran però considera il suo programma missilistico un affare interno dell’Iran e quindi “non negoziabile”. Ma il problema del nucleare iraniano è reso ancora più complicato dal cosiddetto “arco sciita”, che dall’Iran arriva fino al Libano passando per l’Iraq e la Siria - un Paese “lacerato” da sette anni di guerra (scatenata per rovesciare con la forza il regime di Assad) e in cui vi sono numerose basi iraniane che Israele ha più volte attaccato. L’ultimo di questi attacchi è avvenuto proprio poche ore prima del discorso di Netanyahu e avrebbe distrutto centinaia di missili (l’esplosione di un enorme deposito di armi e munizioni ha provocato perfino una scossa di terremoto di 2,6 gradi secondo la scala Richter). Invero, i vertici politico-militari israeliani non si sono neppure lasciati intimorire dalla presenza dei russi in Siria, il cui scudo difensivo pare proteggere le basi russe ma assai meno quelle siriane e iraniane. Anche per gli israeliani però il pericolo di uno scontro con i russi non si può sottovalutare, non tanto perché le forze russe che attualmente si trovano in Siria siano pericolose per Israele ma perché non è interesse di Israele confrontarsi direttamente con una grande potenza militare come la Russia, benché in passato si siano già registrati gravi incidenti tra i due Paesi (3).

 

Certo, si deve riconoscere che Mosca ha giocato bene le sue carte nella regione: Assad ora è saldamente in sella, gli islamisti sono stati sconfitti in gran parte della Siria e perfino i rapporti della Russia con Israele non sembrano “dei peggiori” (almeno per ora). Ma neppure Mosca può stabilizzare la situazione in tutto il Medio Oriente, portando ordine e pace. La potenza militare convenzionale della Russia nell’area mediterranea è, tutto sommato, di modeste proporzioni e di limitata capacità difensiva. In Siria, del resto, si continua a combattere e sono presenti, oltre ai soldati siriani e a diversi gruppi di terroristi islamisti (inclusi quelli appoggiati dai sauditi), soldati iraniani, le milizie di Hezbollah, militari russi, soldati turchi e combattenti curdi. E si deve pure tener conto degli interventi della coalizione a guida Usa e ovviamente di quelli di Israele. (In Occidente si è parlato pure del tentativo di Assad di coinvolgere i cinesi nella guerra che Damasco combatte contro gli islamisti dal 2011, ma la Cina agisce con prudenza e non pare interessata a gettare altra benzina sul fuoco).

 

In questo contesto “mandare all’aria” il Joint Comprehensive Plan of Action sarebbe dunque da irresponsabili e potrebbe fare esplodere quella gigantesca santabarbara che è diventato il Medio Oriente, sconvolgendo l’intera aerea mediterranea (e non solo). D’altronde, oltre alla crescente tensione tra Hezbollah (che possiede circa 10.000 missili e razzi) e Israele, pure la questione palestinese contribuisce ad infiammare gli animi, soprattutto a causa della politica di prepotenza di Israele che, anziché indebolire Hamas (come sarebbe necessario se si vuole davvero sostenere la causa palestinese), rischia di spingere tra le braccia degli islamisti anche la migliore gioventù palestinese. In definitiva, pur non negando l’importanza della questione del nucleare e dei missili iraniani, sono tutti i nodi del Medio Oriente che stanno venendo al pettine. Per evitare il peggio occorrerebbe che i principali attori geopolitici agissero in modo responsabile, lasciandosi condizionare il meno possibile dalle questioni di politica interna. Tuttavia, si deve anche prendere atto che sia l’arroganza di Netanyahu che il caos che regna alla Casa Bianca, nonché la russofobia che caratterizza lo “Stato profondo” americano, non promettono “nulla di buono”.

 

NOTE

 

1). Si veda Amos Harel, Israel's Double Front Against Iran: Military Strike in the Morning, Press Conference at Night, “Haaretz”, 01/05/2018.

 

2). Si veda, ad esempio, Yonah Jeremy Bob, What did the Mossad actually get from Iran?, “The Jerusalem Post”, 03/05/2018.

 

3) Si veda Isabella Ginor, Gideon Remez, The Soviet-Israeli War 1967-1973, Oxford University Press, Oxford, 2017.

 

 

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