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23/8/2018

 

Gerusalemme: il costo dell’occupazione

Traduzione di Stefano Di Felice

 

Tre politiche israeliane hanno come obiettivo la vita economica palestinese a Gerusalemme: l’espulsione e la messa al bando della Camera di commercio palestinese, la barriera di separazione e le alte tasse municipali.

 

Innumerevoli sfide politiche ostacolano lo sviluppo di un’economia sana per i palestinesi nella Gerusalemme occupata da Israele. Nella precaria condizione di “residenti permanenti”, i palestinesi di Gerusalemme continuano a vivere senza passaporto e senza rappresentanza politica. Il contorto regime israeliano dei permessi non solo impedisce ai palestinesi di costruire nuove strutture a Gerusalemme ma sancisce anche la sistematica demolizione delle loro case. Il risultato è la proliferazione di insediamenti per soli ebrei in tutta la città e nei suoi dintorni.

 

Una rete di sicurezza israeliana soffoca ulteriormente la vita dei palestinesi in città. La polizia israeliana, armata e corazzata, pronta al combattimento, assalta regolarmente i quartieri palestinesi e conduce massicci arresti. Occasionalmente, la polizia israeliana spara e uccide i palestinesi senza motivo. Ci sono posti di blocco permanenti e posti di blocco organizzati al momento.

 

Le tattiche israeliane di sfruttamento economico e di economia di guerra in città sono collegate a queste sfide politiche. Questo rapporto analizza tre politiche israeliane che colpiscono la vita economica palestinese in città: l’espulsione e la messa al bando della Camera di commercio palestinese, la barriera di separazione e le alte tasse municipali. Queste politiche impediscono intenzionalmente ai palestinesi di sviluppare una qualsiasi forma vitale di economia e sono la causa di condizioni di vita impossibili per i palestinesi – pretesto ulteriore di espulsione da Gerusalemme.

 

Annessione insidiosa.

Il Piano di partizione della Palestina delle Nazioni Unite, del 1947, ha dichiarato Gerusalemme “corpus separatum” sotto uno speciale regime internazionale amministrato dall’Onu. Ma nel 1948 l’esercito israeliano e i paramilitari sionisti occuparono Gerusalemme ovest e 40 villaggi palestinesi vicini, oltre al 78% della Palestina storica. Durante la conquista della città santa Israele espulse tra i 64 mila e gli 80 mila palestinesi dalle loro case. Dopo la guerra del 1948 Gerusalemme fu divisa in Gerusalemme est e ovest. L’esercito israeliano controllava l’85% della città a ovest: l’esercito giordano controllava l’11% della città a est. Il restante 4% fu dichiarato “terra di nessuno”. Due anni dopo, nel 1950, Israele approvò la legge della “Proprietà degli Assenti”, che definì “abbandonati” gli edifici dei palestinesi che dovettero evacuare la zona, e le dichiarò proprietà dello stato ebraico.

 

Nel 1967 Israele conquistò il restante 15% di Gerusalemme ed espulse altri 26 mila palestinesi dalla città. Le autorità israeliane implementarono velocemente politiche atte a istituzionalizzare l’occupazione militare e a fondare una maggioranza ebraica a Gerusalemme. Tre mesi dopo la presa di Gerusalemme est Israele attuò un censimento in base al quale un palestinese avrebbe potuto ottenere o meno residenza a Gerusalemme.

I palestinesi che dovettero fuggire per evitare le violenze israeliane persero i diritti di soggiorno nelle loro città natali. Coloro che riuscirono a ottenere il soggiorno a Gerusalemme in queste condizioni, ebbero uno status incerto: se un palestinese residente a Gerusalemme passa più di 7 anni in un paese estero, se assume la cittadinanza di uno stato estero o se si trasferisce in Cisgiordania, le autorità israeliane possono revocare il suo diritto di residenza.

 

Dal 1995 i palestinesi di Gerusalemme sono anche l’obiettivo della politica “Centro della vita”, secondo la quale i palestinesi, per mantenere i diritti di residenza, devono provare che la loro vita quotidiana si svolge attorno alla città. La minaccia insita in questa politica nella vita dei palestinesi a Gerusalemme si è aggravata nel 2002, quando le autorità israeliane chiusero gli accessi in città dai quartieri dei campi profughi di Shu’afat, Kufr Aqab, al-Walaja e al-Sawahra, per mezzo del muro di separazione. Il muro, costruito con il proposito di annettere quanto territorio possibile con il minor numero di palestinesi possibile, obbligò la maggior parte dei palestinesi gerosolimitani a passare posti di blocco militari all’interno della loro città. In realtà i progetti urbanistici della municipalità di Gerusalemme mirano apertamente a favorire il numero di ebrei e a ridurre quello dei palestinesi. Dal 1967 al 2014 sono almeno 14416 i palestinesi che hanno perso il loro stato di residenza a Gerusalemme, a causa di questo sistema di diritti di soggiorno.

 

Dall’altro lato, l’esercito israeliano ha impedito dal 1991ai palestinesi residenti in Cisgiordania e a Gaza, l’accesso a Gerusalemme se sprovvisti di un permesso speciale. La costruzione della barriera di separazione nel 2002 ha reso ancora più irraggiungibile Gerusalemme a questi palestinesi.

 

La comunità internazionale considera i residenti palestinesi di Gerusalemme protetti dalla Quarta convenzione di Ginevra. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sostiene che tutte le misure e le azioni legislative intraprese da Israele per alterare lo status e il carattere di Gerusalemme sono vuote e nulle in base alle risoluzioni 242, 267, 471, 476 e 478.

L’economia di Gerusalemme est.

 

Dal 1948 al 1967, sotto governo giordano, l’economia palestinese a Gerusalemme est crebbe rapidamente, soprattutto per il turismo. Secondo l’Onu nel 1966 il settore turistico a Gerusalemme est e nell’area di Betlemme ha contribuito per circa il 14% del pil della Cisgiordania ed era fornito di 40 hotel. Il governo israeliano su Gerusalemme est ha fortemente danneggiato l’economia palestinese. Gli effetti negativi sul turismo si fecero sentire immediatamente: il numero di stanze d’albergo a Gerusalemme est diminuì del 40% tra il 1969 e il 1973. Quando i palestinesi resistettero all’occupazione israeliana durante la prima e seconda Intifada, l’economia di Gerusalemme est era ulteriormente minata da misure punitive israeliane, tra cui il saccheggio fiscale e il coprifuoco.

 

Come vedremo più dettagliatamente sotto, oggi il muro di separazione, l’espulsione della Camera di commercio palestinese e le alte tasse municipali restano delle minacce chiave agli affari, alla vita e alla presenza palestinese in città.

 

La natura volontaria di queste politiche è evidente nella discrepanza tra il livello di povertà della popolazione palestinese e di quella ebraica. Mentre gli ebrei israeliani che vivono a Gerusalemme vive sotto la soglia di povertà sono il 30%, i palestinesi raggiungono l’impressionante dato del 75%. È difficile conoscere il tasso di disoccupazione per Gerusalemme est, in quanto l’area è di solito compresa nelle statistiche della Cisgiordania, ma l’Ufficio centrale di statistica palestinese ha riportato un tasso di disoccupazione palestinese, tra il 2011 e il 2015, tra il 13 e il 19%. Secondo l’Associazione per i diritti civili in Israele (Acri), il 25% dei palestinesi, a Gerusalemme, sono impiegati nel settore alberghiero e della ristorazione, il 20% nell’istruzione, il 19% nei servizi. Mohammad Qorish, un economista con sede a Gerusalemme, aggiunge che il contributo totale al Pil di Gerusalemme est alla Cisgiordania è oggi del 14%.

 

L’espulsione della Camera di commercio palestinese.

Nel 2001 il ministero israeliano per la Sicurezza interna ordinò la chiusura della Camera di Commercio di Gerusalemme Est (Ejcc), un’organizzazione ombrello responsabile dello sviluppo economico e della ricerca palestinese in città. Dopo essere stata esclusa dalla Gerusalemme controllata da Israele, la camera si è trasferita ad al-Ram e ad al-Eizariya. Entrambe le aree sono considerate parte di Gerusalemme, ma sono separate dalla città dalla barriera di separazione. Di conseguenza, la capacità dell’Ejcc di facilitare lo sviluppo economico a Gerusalemme è stata fortemente limitata. “Questa situazione ha influenzato negativamente la vita di molti palestinesi, principalmente commercianti e uomini d’affari, in quanto (l’Ejcc) non può facilitare le transazioni commerciali o fare adeguata ricerca sul movimento degli scambi nella città”, ha detto all’Aic il direttore della Ejcc Loa al-Hussaini. In effetti, non solo è difficile per la Ejcc raggiungere i commercianti a Gerusalemme, ma le autorità israeliane considerano ancora tali sforzi illegali. Quando l’Ejcc ha organizzato un evento per il Ramadan a Gerusalemme, nel giugno 2018, intitolato “Le attività della Camera di commercio di Gerusalemme est”, le forze israeliane hanno fatto irruzione nell’hotel ospitante sotto gli ordini del ministro della sicurezza pubblica israeliano Gilad Erdan, e hanno arrestato il presidente dell’Ejcc Kamal Obeidat. Erdan ha chiuso l’evento citando l’affiliazione della Ejcc con l’Autorità Palestinese.

 

Il muro di separazione.

La costruzione del muro di separazione nel 2002 ha notevolmente diminuito la base di clienti e il reddito degli imprenditori palestinesi a Gerusalemme, dato che i palestinesi di Cisgiordania non potevano più accedere – e ancor meno fare acquisti – alla città. Secondo l’Acri, oltre 5000 imprese palestinesi a Gerusalemme hanno chiuso i battenti tra il 1999 e il 2012.

 

Ahmad Dandees, proprietario di un negozio di mobili a Souq al-Qattaneen, un mercato adiacente alla moschea di al-Aqsa, nella città vecchia di Gerusalemme, ha spiegato all’Aic che la barriera israeliana di separazione ha causato una riduzione  delle sue vendite di circa il 50%. “Prima  (del muro) migliaia di persone venivano dalla Cisgiordania a Gerusalemme durante i loro regolari viaggi tra le città della Cisgiordania, di solito per fare acquisti (nella città vecchia) e pregare ad al-Aqsa. A quel tempo ci trovavamo in una buona posizione economica grazie a questo turismo interno. Ma ora, con la città chiusa, abbiamo sempre meno clienti. Abu Khaled Younis, proprietario di un supermercato su al-Wad Street nel quartiere musulmano della città vecchia, stima che la costruzione della barriera di separazione abbia causato ai suoi affari una perdita del 60% nelle vendite.

 

La barriera di separazione, naturalmente, distrugge direttamente le reti commerciali tra Gerusalemme e la Cisgiordania. Ad esempio, oggi il trasferimento di merci tra le due aree richiede il passaggio attraverso un labirinto di punti di controllo israeliani, il che crea una spesa extra quotidiana. Inoltre, l’importazione di merci della Cisgiordania a Gerusalemme, in alcuni casi, è illegale secondo la legge israeliana. Nel giugno 2010, Israele ha vietato l’ingresso di prodotti farmaceutici, prodotti lattiero-caseari e carne dalla Cisgiordania a Gerusalemme est, con il pretesto che queste merci palestinesi presentano un rischio per la salute pubblica. Mohammad As-Sous, capo del consiglio palestinese per il settore lattiero-caseario, ha definito la misura uno sforzo sottilmente velato per l’ulteriore appropriazione di clienti di Gerusalemme est per le attività commerciali israeliane. Dopo il divieto iniziale, le autorità israeliane hanno ripreso temporaneamente l’importazione di carne e prodotti lattiero-caseari palestinesi, solo per vietarli nuovamente nel 2016. Nel 2016, As-Sous ha spiegato che, se proseguito, il divieto avrebbe causato la perdita di molti posti di lavoro nella sua azienda casearia Hamoda, dove le vendite a Gerusalemme est rappresentano quasi il 50% delle vendite totali.

 

Imposte ingombranti.

Il comune israeliano stanzia regolarmente solo dal 7 al 12% del suo budget annuale nelle aree palestinesi di Gerusalemme est, nonostante il fatto che i palestinesi costituiscano almeno il 40% della popolazione della città. Di conseguenza, Gerusalemme est soffre di infrastrutture fatiscenti e della mancanza di servizi cittadini. Indipendentemente da ciò, i palestinesi pagano una quantità sproporzionata di tasse municipali. Nel 2009, i palestinesi hanno pagato il 55 percento delle tasse sulla proprietà di Gerusalemme, secondo le Nazioni Unite. Le tasse sulla proprietà sono le più alte a Gerusalemme est rispetto a tutte le aree controllate da Israele.

 

Gli imprenditori palestinesi non sono esentati da questo sistema iniquo. Pagano sei diverse tasse israeliane: tassa di proprietà (arnona), imposta sul valore aggiunto, imposta sul reddito, assicurazione nazionale, imposta sui salari e imposta sulle licenze. Secondo Dandees, la tassa di proprietà è la più proibitiva delle tasse israeliane. “Paghiamo 350 shekel per ogni metro del nostro negozio, che è molto alto.”

 

Conclusione.

Una breve panoramica dello stato dell’economia palestinese a Gerusalemme mostra che, mentre le autorità israeliane estendono il loro controllo sul territorio palestinese, esse puntano anche a soffocare le attività palestinesi e ad appropriarsi delle basi di clienti palestinesi. In questo senso, la distruzione dell’economia palestinese a Gerusalemme est rappresenta un’altra mossa politica da parte di Israele volta a sradicare la vita palestinese dalla città santa e a facilitare l’espansione della presenza ebraica. Il quadro politico dietro allo strangolamento dell’economia palestinese smonta la nozione ostentata dall’amministrazione Trump e da altri governi filo-israeliani, secondo cui la soluzione è il miglioramento dell’economia palestinese senza preoccuparsi di porre fine all’occupazione: ciò non ha alcuna rilevanza al fine di risolvere il conflitto coloniale.

 

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