http://znetitaly.altervista.org/ 18 luglio 2018
Appropriazione del vittimismo e demonizzazione del dissenso di Gavin Lewis traduzione di Giuseppe Volpe
Nell’estate del 2014 Israele ha bombardato Gaza. Dei morti causati è stato riferito che da 495 (Washington Post, Al Jazeera) a 551 (BBC, Huffington Post) erano bambini. Il successivo rapporto dell’ONU che si riferiva alla probabilità di crimini di guerra è stato inizialmente prolificamente citato sul New York Times e altrove. “Il rapporto ha affermato che “la scala delle devastazioni è stata senza precedenti” a Gaza, contando più di 6.000 attacchi aerei, 14.500 proiettili di carri armati e 45.000 di artiglieria lanciati tra il 7 luglio e il 26 agosto … Del conto totale dei morti di 2.252 palestinesi, il rapporto ha affermato che il 65 per cento erano civili”.
Dopo il bombardamento e i servizi giornalistici su di esso sono accadute due cose. Una è stata che il movimento Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni (BDS) che conduce una campagna “per por fine al sostegno internazionale all’oppressione israeliana dei palestinesi e per premere su Israele perché rispetti la legge internazionale” ha aumentato il reclutamento ed è divenuto ulteriormente molto energizzato e motivato in tutto il mondo. Preoccupazioni riguardo a questo attivismo democratico sono state apertamente dettagliate nei media industriali: “Ministri israeliani descrivono il BDS come una ‘minaccia strategica’ allo status quo e persino gli Stati Uniti oggi avvertono che Israele rischia l’isolamento internazionale” (Guardian). La seconda cosa accaduta è stata che in reazione ha cominciato a prendere forma sui media industriali un discorso che suggeriva apparentemente che le vittime reali del mondo erano in realtà Israele e i suoi sostenitori presso gruppi etnici ebrei bianchi, benestanti, occidentali e di classe media. Indicativa di ciò, la Campagna Contro l’Antisemismo ‘anglo-ebrea’ (CAA) è stata fondata nel mese finale del bombardamento israeliano del 2014 contro Gaza, reclamando la condizione di vittima, mentre contemporaneamente Israele continuava a uccidere bambini e civili di Gaza. Ha ottenuto il riconoscimento di ente di beneficenza l’anno seguente, nell’ottobre del 2015. Evidentemente l’antisemitismo doveva essere il reale problema cui dare priorità e si affermava che era dilagante.
In Gran Bretagna la strategia della campagna di questo panico morale si è in parte concentrata su ‘bersagli deboli’ tra i critici di Israele: le attiviste di colore Malia Bouattia, Jackie Walker e la parlamentare Naz Shah si sono viste associata ai loro nomi l’etichetta di antisemitismo in numerosi titoli con devastanti conseguenze personali. La Walker ha perso la sua posizione nella campagna e la Shah – al fine di salvare la sua carriera parlamentare – si è sentita obbligata a scusarsi per una precedente derisione di Israele nella quale aveva rilanciato una battuta dello studioso ebreo dell’Olocausto Norman Finkelstein a proposito del trasferimento di Israele negli USA. Al momento della sua apparizione di addio da presidente dell’Unione Nazionale degli Studenti, Malia Bouattia ha ceduto all’emozione riguardo al suo calvario maccartista e, come dimostra ampiamente una lunga ripresa video del suo discorso, è finita in lacrime. La fase iniziale del panico morale, tuttavia, ha operato prevalentemente per consolidare una narrazione mediatica nella quale l’antisemitismo nel più vasto mondo sociale doveva essere considerato come il problema dominante della nostra società.
In evidente sostegno di questa strategia, gruppi di pressione filoisraeliani hanno cominciato a bombardare organizzazione mediatiche di presunte statistiche della ‘crisi di antisemitismo’. Pochi canali giornalistici sono stati disposti a sottoporre le affermazioni alla verifica di autori e di ebrei critici di Israele. Richard Kuper, di ‘Jews for Justice for Palestinians’ [Ebrei per la giustizia per i palestinesi] scrivendo sul sito ‘Free Speech on Israel’ ha sostenuto: “Il numero totale di reati di odio (di ogni genere) registrati dalla polizia nel 2014-15 è stato superiore a 52.000. Questo panico morale si basa solo sull’un per cento di essi”. Il giornalista ebreo Jonathan Cook ha contestato la legittimità della fonte e la categorizzazione dei singoli casi: “Le cifre che mostrano un aumento delle aggressioni sono state compilate dal Community Security Trust, un’organizzazione sionista nota per attività politiche dubbie… Anche se il suo rapporto fa gran rumore riguardo a più di 1.000 “aggressioni” registrate, pochissime di esse – 84 per essere precisi – hanno riguardato un attacco fisico. La grande maggioranza è stata classificata come “molestia”, una categoria generica che potrebbe includere osservazioni contro Israele”.
Le cifre dell’antisemitismo includono anche notizie di mussulmani che altercano con ebrei, un modello che ora è largamente adottato anche dai media. Tuttavia, in precedenza alterchi nell’Irlanda del Nord e nel Regno Unito tra cattolici e protestanti erano, per contro, definiti ‘settari’.
Nel giro di un anno dal bombardamento di Gaza, l’attrice veterana e celebrità ebrea sostenitrice di Israele Maureen Lipman è stata tirata fuori per dare credito a questi numeri. Commentando a sostegno dell’idea di un presunto vasto fenomeno di antisemitismo in Gran Bretagna e al picco della crisi statunitense di ‘Black Lives Matter’, la Lipman ha detto: “Mi è passato per la testa che è ora di dare una buona occhiata in giro per un altro posto dove vivere. Ho pensato di andare a New York. Ho pensato di andare in Israele.” Di nuovo, nessun canale giornalistico è stato disponibile ad attirare l’attenzione sull’evidente ipocrisia della Lipman a favore di un trasferimento a New York, a dire in qualche modo ai genitori locali di Eric Garner – ucciso da una stretta alla gola della polizia – che era lei la vittima vera. Per i fini a breve termine della drammatizzazione teatrale del panico morale, la Lipman è stata disposta a lamentare la presunta mancanza di solidarietà razzialmente insensibile dei suoi compatrioti e compatriote, al tempo stesso disposta a chiudere gli occhi sulla crisi statunitense dei diritti umani dei neri, sull’Apartheid sofferto dai palestinesi e sul razzismo inflitto agli ebrei neri in Israele. La signora Lipman continua a risiedere e a condurre campagne in Gran Bretagna.
Né questo panico morale a proposito dell’antisemitismo ha avuto molto senso in termini della demografia britannica. Considerate l’emigrazione in Israele e l’immigrazione dalla Francia, la popolazione bianca etnico ebrea-britannica fluttua sino a e oltre le 250.000 unità su una popolazione di poco più di 65,5 milioni, rappresentando perciò percentuali intorno allo 0,4 per cento, con la maggior parte delle persone indistinguibili dal resto della popolazione bianca e difficili da prendere di mira. Le varie popolazioni nere e asiatiche in Gran Bretagna sono il 10 per cento del totale. Quelle che si definiscono ‘miste’ sono il 2 per cento della popolazione, determinando un totale del 12 per cento. Dunque, abbiamo etnie che sono iconograficamente bersagli molto più ovvi del razzismo e che in termini di raggiungibilità sono circa 24 a 1 o persino 29 a 1 il numero delle potenziali vittime bianche ebree. E che anche subiscono un considerevole razzismo strutturale che le lascia ghettizzate tra i gruppi della classe e del reddito inferiori. Tuttavia, continuamente le narrazioni mediatiche correnti del vittimismo sono apertamente invertite e distorte dalle forze dei privilegi di classe, economici e di razza bianca che – in un argomento circolare – il panico morale sull’antisemitismo pretende in modo manipolatorio che noi ignoriamo in quanto “diffamazioni di cospirazione ebrea”.
Non sorprendentemente, nonostante la febbrile priorità attribuita al panico morale dell’antisemitismo sui media industriali, è stato difficile trovare notizie di una genuina condanna criminale di alto profilo, o persino di un’azione penale. Né è facile trovare anche una sola morte o ferita denunciata o persino un’aggressione provata e verificata. Né, nonostante lo scandalo delle apparenti espulsioni dei britannici caraibici della Windrush, trovare casi di una singola deportazione di ebrei. Né, per contro, c’è stato un fenomeno ebreo equivalente a quello delle sproporzionate morti di neri per mano della polizia, come Mark Duggan, Jermaine Baker, Roshan Charles e altri. Rivolte razziali causate da morti di neri all’arresto – come la recente morte di Roshan Charles – sono frequente sepolte dai media industriali filoisraeliani assieme a manifestazioni più prolifiche della cultura di protesta, come dimostrazioni contro la guerra, scandali della sanità, attività dei sindacati e altro, tuttavia per contro una protesta di appena un centinaio di persone contestanti un presunto antisemitismo nel Partito Laburista è stata diffusa in tutto il paese. I luoghi di venerazioni oggetto di bombe incendiarie a Finsbury Park e Bishopbriggs erano moschee mussulmane. L’ottantaduenne assassinato di ritorno a casa dalla preghiera è stato il mussulmano Muhammed Saleem; il suo assassino ha piazzato congegni esplosivi in cinque altre moschee. Un dentista sikh, il dottor Sarandev Bhambra, ha subito persino un tentativo di decapitazione nel suo supermercato locale per essere stato scambiato per un mussulmano. Non c’è stato un equivalente ebreo del caso del sessantatreenne Rastafarian Judah Adunbi colpito al volto con una taser dalla polizia apparentemente caduta nel tradizionale equivoco ‘tutti i neri sembrano uguali’ nel luogo dell’arresto. Diversamente dall’esperienza degli ebrei britannici, persino la ‘celebrità sportiva’ non ha impedito che l’ex calciatore nero malato di mente Dalian Atkinson morisse per mano della polizia. Il fervente fanatico filoisraeliano tenterà di scartare tutto questo ribaltando gli argomenti. Tuttavia, ciò che effettivamente dimostra è che quando si tratta di razzismo si possono citare fenomeni sociali in corso e persino vittime identificate. Per contro, quando si esaminano casi di antisemitismo nominati dai media, spesso si trovano esempi nei quali la somma delle dichiarazioni delle stesse vittime, della polizia e/o della magistratura confutano le accuse formulate nei servizi mediatici.
A una vicenda di presunto attacco antisemita contro una sinagoga a Stamford Hill, Londra, è stata data grande evidenza sui media industriali.
Tuttavia … “Il rabbino Maurice Davis ha affermato … ‘Ho parlato alla pattuglia e guardato i video. Era deprimente quello che è accaduto ma decisamente non è stato antisemita. Non c’è antisemitismo o razzismo in quest’area. C’era una festa di là dalla strada; si tratta di una bella famiglia, li conosco. Hanno avuto uno scontro con un giovane in strada che è entrato nella sinagoga a rifugiarsi nel bagno. Era ebreo, ma non membro della sinagoga. Alcuni dei festaioli ubriachi hanno tentato di fare irruzione e di aggredirlo ma sono stati respinti a sediate. Hanno rotto finestre e gettato ogni sorta di cose” * e “Un portavoce di Scotland Yard ha dichiarato: ‘In questa fase iniziale non c’è nulla che suggerisca che questo sia stato un attacco di destra o estremista ma piuttosto l’azione del tutto inaccettabile di un gruppo ubriaco” * (* Queste testimonianze e le dichiarazioni della polizia sono state escluse dagli articoli del Guardian).
Resoconti di lapidi rovesciate o infrante in un cimitero ebraico sono state analogamente diffuse come un attacco antisemita. Tuttavia, sepolto in fondi agli articoli … “Stephen Wilson, amministratore del North Manchester Jewish Cemeteries Trust, ha detto di aver denunciato il vandalismo alla polizia dopo essere stato allertato dal personale del cimitero. Ha detto di essere stato “costernato” dall’attacco ma non convinto che il motivo fosse l’antisemitismo … ‘Secondo noi è solo puro vandalismo… La mia ipotesi è che… locali scavalcano il muro, si trovano sempre barattoli di bibite (birra) qui; erano in quello stato d’animo e l’hanno fatto per puro vandalismo e divertimento”.
La storia di un ‘ragazzo’ (?, 17 anni) finito in ospedale dopo un incidente alla fermata dell’autobus di Bowker Vale, Manchester Nord, è stata diffusamente titolata come attacco antisemita. Gli articoli all’inizio hanno affermato che ne erano responsabili uomini fatti suggerendo che egli era stato ‘aggredito da una banda di uomini’. Poi si è passati a una ‘banda di tre uomini’. In articoli successivi è diventata una ‘banda di tre giovani’. Una volta arrivati al processo è stato rivelato che si trattava di due diciassettenni. In realtà era la parte apparentemente ferita che aveva fatto parte di un gruppo/una banda numericamente superiore di quattro maschi ebrei; i tre ‘uomini’ ebrei che lo accompagnavano anche in tale confronto erano legalmente adulti (due diciottenni e un ventenne).
“Al processo il giudice Prowse ha osservato che erano state buttate lì osservazioni antisemite ma ha rilevato che Fuerst e i suoi amici non erano stati aggrediti perché ebrei; erano semplicemente ‘nel posto sbagliato al momento sbagliato’”. Ian Rushton, vicecapo pubblico ministero del Crown Prosecution Service per il Nord-Ovest, ha affermato: ‘Abbiamo valutato attentamente ciò che ciascuna delle vittime ha riferito che avevano detto i due attaccanti nel corso dell’incidente e abbiamo studiato le riprese televisive a circuito chiuso (CCTV) disponibili. Nessuna delle vittime ha riferito essere stato usato dagli aggressori un linguaggio razzista o religiosamente ingiurioso e non c’è chiara evidenza dalle dichiarazioni o dalle CCTV che provi alla corte che hanno dimostrato o sono stati motivati da ostilità razziale o religiosa’”.
Tutto questo fa sorgere la domanda: se i media industriali avevano casi più solidi di questo a sostegno del proprio panico morale circa l’antisemitismo, perché non li hanno presentati?
Purtroppo, limitarsi a dettagliare le spudorate contraddizioni nei servizi giornalistici non rende giustizia alla spettacolare svolta degli standard editoriali, alle calunnie, alla censura e alla negazione del diritto di replica che si sono verificate in questo periodo. Certi tipi di linguaggio sono oggi tabù sia negli articoli di giornale sia nelle pagine delle lettere. I termini ‘colono’, ‘colono bianco’, ‘colonialismo/colonizzatore’ sono tra le parole più censurate. Non si può citare l’”Apartheid Israeliano” documentato, tra molti altri, dal Premio Nobel per la Pace, arcivescovo Desmond Tutu, dal presidente Jimmy Carter, dai funzionari dell’ONU John Dugard e Richard Falk, più quasi ogni squadra investigativa di esperti legali inviata dal Sudafrica in Medio Oriente. Persino il termine ‘Apartheid’ non è usato nel contesto di Israele. Salvo quando l’evento è diffamato, la protesta annuale ‘Israele Apartheid Week’ subisce un blackout giornalistico. Nel 2004 lo studente britannico Tom Hurndall morì per un colpo d’arma da fuoco dell’esercito israeliano. Mentre operava da attivista per i diritti umani, stava tentando di guidare bambini palestinesi fuori dalla linea del fuoco delle automatiche israeliane quando ciò è accaduto. In un esempio indicativo di assenza di lealtà nazionale, e in deferenza alla lobby israeliana, sia la sua morte sia la prestigiosa conferenza annuale in sua memoria sui diritti umani sono analogamente escluse dalle citazioni mediatiche. A coloro che sono calunniati come antisemiti per una posizione critica nei confronti di Israele e/o per contestare il panico morale, è spesso negato di routine il diritto di replica. Il gruppo di sinistra Jewish Voices for Labour [Voci ebree per il partito laburista] ha cercato di ottenere la pubblicazione sul Guardian dì una lettera critica della ‘caccia alle streghe’ appoggiata da 650 firme, ma ha subito la censura. Esempi di razzismo ebreo etnico bianco che potrebbero indebolire la narrazione vittimista dominante sono analogamente censurati. Ad esempio, nel 2016 il rabbino capo britannico Ephraim Mirvis ha promosso l’applicazione del test Tebbit alle minoranze etniche, reclamando contemporaneamente l’esenzione dei ebrei bianchi occidentali. Questa è una strategia retorica storicamente razzista che sostiene che si può affermare che gruppi neri non sono realmente britannici se sostengono squadre sportive straniere. Nel modello invocato da Mirvis, sostenere apparentemente una squadra dei cricket delle Indie Occidentali invalida la propria britannicità ma, come egli sostiene, non è un problema dichiarare lealtà a un paese coloniale bianco straniero che opera nella tradizione degli insediamenti bianchi della razzista Rodesia o del Sudafrica dell’Apartheid. Tutti i media industriali, con l’eccezione del Telegraph di destra e del Jewish Chronicle (quest’ultimo apparentemente obbligato a pubblicare tutte le sue dichiarazioni) hanno sepolto ogni riferimento a questa vicenda. Il fatto che dall’era della cultura globale della liberazione dei neri, l’ideologia coloniale bianca del sionismo sia stata per sedici anni definita ufficialmente una forma di razzismo dall’ONU, è analogamente non citabile. I media oggi attuano anche due standard diversi nel riferirsi all’”antisemitismo” e al “razzismo”. L’”antisemitismo” impiegato come accusa non provata o calunnia ed essere citato senza problemi. Per contro sui media ai britannici neri è stato abitualmente negato il diritto di usare il termine ‘razzismo’ come accusa o dichiarazione, a meno che il termine non sia sostenuto dalla polizia e/o dalla magistratura, e anche allora il suo utilizzo potrebbe non essere adatto alle ‘priorità editoriali’.
Mentre la prima fase della narrazione mediatica industriale de ‘gli ebrei sono le vittime reali’ rischiava un’implosione di credibilità, il secondo e reale peso del panico morale dell’antisemitismo ha cominciato a ricadere ulteriormente su quelle organizzazioni e quelle persone attive che erano, o potevano potenzialmente essere, critiche di Israele; non sorprendentemente Jeremy Corbyn e il Partito Laburista sono stati i più direttamente attaccati. L’elezione di Corbyn alla guida e la promozione dell’attivismo di base hanno – dopo il periodo storicamente breve dell’entrismo neoliberista – ripristinato in larga parte l’identità tradizionale del Partito Laburista. Tale identità comprende le posizioni elettorali sovrapposte di antirazzismo, antimperialismo e anticolonialismo. La base sociale del Partito Laburista aveva storicamente combattuto il fascismo in Spagna, abbracciato Gandhi, il movimento della Libertà per l’Africa, varie lotte per l’indipendenza e contro l’apartheid, richiesto anche che la Gran Bretagna fosse tenuta fuori dalla guerra del Vietnam, idolatrato Che Guevara, Mandela e dissidenti statunitensi da Paul Robeson a Muhammad Ali. Ovviamente tale sensibilità di ritorno è percepita come una minaccia diretta alla potente lobby israeliana filo-coloniale e neoliberisti lobbisti carrieristi affamati di denaro con interessi coincidenti.
Significativamente gli insulti maccartisti diretti contro il Partito Laburista hanno fatto parte di un fenomeno più vasto, spesso globale e indiscriminato. Insieme con Corbyn e il Partito Laburista, anche il leader socialista francese Jean Luc Melenchon e il suo partito sono stati calunniati come antisemiti. Il Premio Nobel per la Pace, presidente Jimmy Carter, è stato similmente macchiato. La portata delle calunnie ha provocato l’articolo dell’Huffington Post ‘Perché ‘antisemitismo’ è il termine più abusato in Canada’ sostenuto dalla denuncia ‘L’antisemitismo è davvero rampante alla McGill?’ (Università). Onori artistici internazionali e un considerevole passato riguardo ai diritti umani non hanno risparmiato al regista premiato, sostenitore dei diritti dei palestinesi, Ken Loach l’accusa non dimostrata di supposto negazionismo dell’Olocausto; come al solito il Guardian ha rifiutato di pubblicare il suo articolo di confutazione. Dopo che Amnesty International ha rifiutato di dibattere pubblicamente con i sostenitori dello sfruttamento dei territori occupati, si è trovata analogamente dalla parte sbagliata della manipolazione del Guardian che ha sfacciatamente titolato al contrario a suo detrimento: “Gruppo ebreo britannico definisce Amnesty ‘vergognosa’ per il dibattito cancellato”.
Né l’essere effettivamente ebreo vi risparmia questo trattamento. Calunniati da antisemiti sono stati anche membri di ‘Jewish Voices for Peace’, l’accademico Norman Finkelstein, il giornalista Max Blumenthal, ‘Jews Voices for Labour’, l’attivista Tony Greenstein e molti altri cui indubbiamente si unirà presto il gruppo ebreo anti-establishment Jewdas che ha ospitato Corbyn nelle celebrazioni della Pasqua ebraica. Questa calunnia sta diventando nota come ‘tipo sbagliato di ebreo’.
L’analoga calunnia a raffica di eminenti figure nere segue uno schema familiare ma in questo caso apertamente costruito su un doppio metro razzista. Corbyn ora si unisce a Nelson Mandela calunniato come “un agevolatore dell’antisemitismo” (Telegiornale nazionale israeliano). Non occorre forzare i motori di ricerca per trovare un altro Premio Nobel nero, Desmond Tutu, analogamente calunniato regolarmente, più Muhammad Ali, Malcom X, Jackie Walker, Malia Bouattia e l’attivista Marc Wadsworth, quest’ultimo un attivista nero nello storico caso dell’assassinio di Stephen Lawrence. Anche l’intero movimento ‘Black Lives Matter’ è stato spesso incluso nelle calunnie a causa di un condiviso senso di oppressione/solidarietà con i palestinesi. In dispute tra ebrei etnici bianchi occidentali privilegiati della classe media e figure dei neri, i media applicano una logica nella quale i neri possono essere considerati antisemiti ma – anche quando appoggiano il colonialismo bianco – gli ebrei etnici bianchi non possono mai essere razzisti. Questo significa che i media seppelliscono in larga misura l’intera storia dell’oppressione razziali degli ebrei neri in Israele. Conseguentemente, pur godendo di piena cittadinanza, del diritto di voto e al passaporto, nessun canale mediatico è disposto a sollevare il problema dei giustificabili timori dei britannici neri riguardo alla loro sicurezza nelle aree non turistiche dell’Apartheid israeliano. In base a questo doppio metro, le dispute tra ebrei etnici bianchi e mussulmani di colore – che sono anch’essi semiti – sono analogamente descritte automaticamente come antisemite piuttosto che come ‘settarie’. Il che, tutto, dimostra il livello del privilegio bianco che sostiene le attuali calunnie da parte di colore che affermano di essere vittime.
Prima di riflettere su come siano stati generati il volume delle calunnie contro il partito laburista e alcuni dei più esplosivi – e in alcuni casi razzisti – incidenti, val la pena di affrontare la specifica accusa che aveva sufficienti fondamenta a supporto per giustificare realmente una reazione da parte del Partito Laburista. Nel marzo del 2018 il nome di Corbyn e il termine ‘antisemitismo’ sono stati pesantemente schiaffati sui titoli dei canali giornalistici. E’ stato rivelato che Corbyn aveva risposta su Facebook a una lamentela di un artista anticapitalista che si era visto cancellare dei murali stradali dicendogli: “Beh? Sei in buona compagnia. Rockerfeller distrusse il murale di Diego Viera perché include un ritratto di Lenin” (grafia di Corbyn). Tuttavia, la rappresentazione dei ‘banchieri oppressivi’ nel murale citato, rientrava del tutto decisamente nella tradizione dei tropi del genere di illustrazioni Fagin/Der Sturmer. Corbyn ha offerto una scusa esplicativa: “Mi rincresce sinceramente di non aver osservato più da vicino l’immagine che stavo commentando, i contenuti della quale sono profondamente inquietanti e antisemiti”. “La difesa della libertà di espressione non può essere usata come giustificazione della promozione dell’antisemitismo sotto qualsiasi forma. Questa è un’idea che ho sempre avuto.” Queste scuse hanno trovato eco in una dichiarazione ufficiale del Partito Laburista: “Jeremy stava rispondendo a preoccupazioni, sulla base della libertà di espressione, circa la rimozione di arte pubblica”, “Tuttavia il murale era offensivo, usava immagini antisemite che non hanno posto nella nostra società ed è giusto che sia stato rimosso”. L’artista, Mear One (Kalen Ockerman), in origine aveva affermato di dipingere figure storiche reali, “i Rotschild, i Rockefeller, i Morgan, i pochi dell’élite dominante; all’epoca in cui la storia era diventata una bomba stava includendo “Aleister Crowley, Carnegie & Warburg” (presumibilmente includendo un famigerato antisemita come Crowley sperava di dimostrare che la sua critica delle élite non ha confini). Mear One non è membro del Partito Laburista e nemmeno un cittadino britannico. Se Mear One sia antisemita o abbia scarso discernimento è difficile da accertare e ha poco a che fare con il Partito Laburista. Tuttavia, questo incidente – basato semplicemente su un potenziale ‘malinteso’ di Corbyn su Facebook – è apparentemente la ‘migliore?’ accusa nella cosiddetta crisi dell’antisemitismo che il panico morale è stato in grado di muovere contro il Partito Laburista.
Significativamente questa particolare accusa rientra nello schema complessivo delle calunnie di antisemitismo mosse dal 2016 contro il Partito Laburista che solitamente cominciano ad avere il loro picco all’inizio di ogni primavera. Questo posizionamento e questa presunzione di una posizione conseguentemente indebolita di Corbyn dà tempo a potenziali sfide alla dirigenza di materializzarsi successivamente nell’anno. I tweet storici passati di Naz Shah ripetutamente rivisitati nell’aprile del 2016, sono stati seguiti dalla sfida di Owen Smith per la dirigenza un solo anno dopo l’ultima elezione della stessa. Nel ciclo 2017 storie di panico morale per l’antisemitismo del Partito Laburista sono state messe in gioco come parte di un presunto panico di ‘crisi della dirigenza’ alle elezioni generali mai confermata dai risultati. Nel ciclo 2018 tale controversia morale fu strategicamente schiaffata sui media nei mesi precedenti le elezioni locali, nonostante il fatto che come storia era vecchia di sei anni, risalendo al 2012. Se questo genere di controversia apparentemente ‘tenuta da parte per la bisogna’ avesse compiuto la sua opera e danneggiato significativamente il Partito Laburista alle elezioni locali, avremmo avuto un’altra sfida alla dirigenza? Forse avrebbe potuto invece materializzarsi la simultanea promozione mediatica di un proposto nuovo partito scissionista neoliberista finanziato da 50 milioni di sterline?
Gran parte delle calunnie di antisemitismo scagliate contro il Partito Laburista corrispondono a poco più che chiacchiere prive di sostanza riguardo a e-mail e testi sui media sociali di persone che evidentemente si oppongono all’oppressione coloniale israeliana e di quelli che le appoggiano. Riferiti come ‘ingiurie’ sono anche testi sui media sociali di coloro che al pubblico è chiesto di ritenere siano membri del Partito Laburista e ciò nonostante il fatto che molti di quelli che promuovono il panico morale ammettono che i testi sono anonimi. In confronto è semplicemente altrettanto facile trovare testi anonimi di persone che affermano di appoggiare Israele e che usano un linguaggio razzista nei confronti di arabi e mussulmani e, in un tradizionale discorso di ‘civilizzazione dei selvaggi’, denunciano un primitivismo etnico di coloro che Israele ha ucciso o cacciato. Ma una volta di più descrivere un’equivalenza, pare deliberatamente, non è un’opzione scelta dalla stampa.
I singoli incidenti reali di presunto antisemitismo attribuiti al Partito Laburista sono analogamente non particolarmente forti ma ciò non impedisce che siano ripetuti come ortodossia. Ken Livingstone è stato un politico laburista di sinistra che faceva parte di una generazione d’avanguardia che aveva adottato LGBTQ inclusivi, diritti delle minoranze etniche, attivismo di coalizioni arcobaleno. Aveva anche una storia di espressioni a favore dei palestinesi il che comprensibilmente affermava averlo reso un bersaglio. Livingstone è stato sottoposto a una sostenuta campagna di calunnie mediatiche riguardo a commenti da lui formulati riguardo alla storia del sionismo nell’era nazista da lui corroborati con fonti storiche, così come fatto da quelli che lo sostenevano. Come nello schema delle molte mescolanze mediatiche strategiche mobilitate nei testi ‘ingiuriosi’, i commenti di Livingstone non aveva riguardato gli ebrei europei in sé ma l’ideologia coloniale bianca del sionismo che, considerata la sua storia – per un certo tempo definita una forma di razzismo dall’ONU – più legittimamente essere esaminata. In precedenza, Livingstone era stato analogamente calunniato di antisemitismo nell’era in cui era norma l’aperta intolleranza mediatica nei confronti dei gay e dopo un lungo periodo nel quale i giornali scandalistici britannici descrivevano di routine i gay come pervertiti e pedofili. In tale incidente egli aveva contestato l’evidente omofobia di un giornalista non invitato dell’Evening Standard che aveva disturbato un evento politico gay e che Livingstone aveva condannato in quanto agente “proprio come una guardia di un campo di concentramento”. In successivi servizi mediatici il tema della presunta omofobia del giornalista era stato omesso nei titoli a favore di ‘Livingstone paragona un giornalista ebreo a una guardia nazista”. Ovviamente anche gli omosessuali erano stati perseguitati dai nazisti ma come i neri in altri esempi citati finiscono sul lato sacrificabile privo di potere dei cinici binari mediatici. Nel panico morale corrente, basato principalmente su questi due incidenti e nonostante la sua storia personale a favore delle minoranze, Livingstone è in lista tra coloro che hanno un percorso di antisemitismo. In seguito, Livingstone è stato sospeso in modo controverso, non per antisemitismo o anche per dichiarazioni inaccurate riguardo al sionismo, bensì per l’ambigua accusa di ‘danneggiare la reputazione del Partito’.
Le varie violenze nei confronti dell’ebrea nera britannica, ex attivista del Partito Laburista e vicepresidente di Momentum, Jackie Walker – in particolare considerate le loro qualità revisionista in stile 1984 sul tema della schiavitù – meritano una notevole riconsiderazione come caso di studio. Ripetuti attacchi contro i riferimenti della Walker allo schiavismo come Olocausto hanno avuto un picco a un evento marginale di istruzione sull’antisemitismo al Congresso del Partito Laburista. La Walker è stata soverchiata dalle urla di membri del ‘Movimento Laburista Ebraico’ di destra e filo-israeliano quando ha detto: “Sono venuta qui… e cercavo informazioni e ancora non ho sentito una definizione dell’antisemitismo che io possa utilizzare … [urla dal pubblico] e in termini della Giornata dell’Olocausto non sarebbe magnifico se la Giornata dell’Olocausto fosse aperta a tutti coloro che hanno vissuto un olocausto … [urla dal pubblico] in pratica non è di fatto diffusa e pubblicizzata come tale”. Il punto che il commento della Walker stava sollevando è che la Giornata della Memoria dell’Olocausto assume come sua data storica di inizio eccessivamente resa centrale i crimini nazisti, prosegue a includere Cambogia, Ruanda, Bosnia, Darfur e si discosta da questa serie temporale solo per usare la tragedia armena come mezzo per discutere le origini del termine ‘genocidio’. Ciò che questo significa è che sono deliberatamente emarginate le vittime nere/indigene di orrori precedenti dell’era dell’imperialismo bianco coloniale, compresi il suo schiavismo e gli stermini coloniali in Africa e nel sub-continente asiatico, ai quali Israele è legittimamente paragonato negativamente. Scandalosamente tra tali esclusioni ci sono i da lungo accettati colossali “sessanta milioni e più di vittime” del commercio transatlantico degli schiavi citati da Toni Morrison e Paul Robeson e i cento milioni uccisi nella conquista delle Americhe elencati da David Stannard in ‘American Holocaust’, 1992. Inoltre, contrariamente al sentimento o litania da tempo consolidata del pastore Martin Niemoeller circa le vittime dei nazisti – ‘prima vennero a prendere i socialisti, poi vennero a prendere i sindacalisti – questa costruzione della narrazione dell’Olocausto è stata seguita da una pratica di pretese che le vittime ebree siano specificamente privilegiate gerarchicamente nel ricordo il che tende ad adattarsi al tema del generale panico morale secondo il quale ‘le vittime vere sono in realtà Israele e i suoi sostenitori’.
Le risultanti calunnie contro la Walker si sono basate su tre pratiche. Innanzitutto, c’è stata una forma di negazione dell’Olocausto nero che sosteneva che le richieste gli olocausti neri fossero parificati all’Olocausto europeo e che alle morti dei neri fosse riconosciuta parità con le morti dei bianchi etnici erano offensive nei confronti del popolo ebreo. Questo, in particolare, è stato il sottinteso della famigerata intervista del 29 settembre 2016 a Jackie Walker di Cathy Newman di Ch4, che seguiva una precedente – diffusamente riportata – accusa di possibili calunnie di islamofobia razzista da parte della giornalista. Considerata la comprensibile rabbia multiculturale di base che questa tattica aveva provocato tra molti consumatori delle notizie, questa narrazione di ‘equivalenza degli Olocausti neri offensiva per gli ebrei’, dopo aver inizialmente alimentato mesi di titoli sensazionalistici, è in larga misura caduta, ma non prima che avesse iniziato a rendere abituale la calunnia di antisemitismo al nome della Walker. In secondo luogo, nonostante i commenti della Walker riguardassero accuratamente il fatto che lo schiavismo e la tradizione coloniale bianca fossero esclusi dalla Giornata della Memoria dell’Olocausto, i servizi mediatici hanno continuato ripetutamente a condannarla in modo fuorviante per aver apparentemente “suggerito erroneamente che la Giornata della Memoria dell’Olocausto non commemorava altri genocidi”. Questo, naturalmente, significa citare in modo selettivo la Giornata dell’Olocausto e sfrondare in modo manipolatorio l’analisi della Walker, in tal modo alterando la sua posizione. Gli altri Olocausti elencati dopo il primato delle vittime europee del nazismo sono ‘Cambogia, Ruanda, Bosnia, Darfur’. Questi sono tutti esempi ‘accettabili dall’establishment’, nei quali gente di colore e/o popolazioni etniche indigene si rendono reciprocamente vittime (o seguono una specie di modello di guerra civile). Lo schiavismo e l’intera tradizione imperialista occidentale bianca – di cui Israele fa parte – sono omessi dall’inclusione. Ironicamente, la specificità degli argomenti della Walker era stata comprovata dal suo riferimento agli “ebrei (antenati anche miei) … finanziatori del commercio dello zucchero e degli schiavi” e all’”Olocausto africano”, dunque è del tutto evidente quale genere di omissioni della Giornata dell’Olocausto ella sta citando. Comunque, la terza pratica di routine di calunniare la Walker è oggi anche che ella ha recato ‘offesa’ nel riferire le stesse specificità storiche che smentiscono la seconda tattica retorica del ‘suggerito erroneamente’.
Molti canali giornalistici in effetti riferiscono le dichiarazioni della Walker circa il ‘commercio dello zucchero e degli schiavi … Olocausto africano” come una sorta di ingiuriosa, offensiva accusa antisemita o ‘affermazione’ dubbia, in tal modo portandoci ulteriormente nell’aspetto revisionista in stile 1984 del panico morale. La Walker aveva sostenuto i suoi commenti con riferimento alle numerose sinagoghe dei Caraibi. Ovviamente, anche, l’iconografia dei residui della classe schiavista ebrea nei Caraibi è entrata nella cultura popolare nera ed è stata esporta globalmente. L’iconografia esiste in ogni cosa, dai primi singoli musicali di Desmond Dekker ai riflessi su specchio rotto nei tropi rastafariani della ‘terra promessa’, dell’’esilio’ e di ‘Sion’. Evidentemente al fine di rafforzare il panico morale, siamo ora spinti in un bizzarro universo alternativo dove dobbiamo credere che il reggae politicizzato di Bob Marley, i numerosi altri artisti che formavano il gruppo dei suoi pari e le forze storiche che li hanno prodotti non siano mai esistiti. Per quelli che ritengono insufficiente la prova della recente cultura storica popolare, racconti ebrei, come il libro del 1983 del rabbino dottor Marc Lee Raphael ‘Jews and Judaism in the United States: A Documentary History’ dichiara, riguardo al tema dello schiavismo: “in tutte le colonie nordamericane, tanto francesi (Martinica), che britanniche o olandesi, i mercanti ebrei dominavano frequentemente”. Analogamente, per promuovere il suo libro ‘The Jewish Slave’, il rabbino Lody van de Kamp ha concesso un’intervista alla Jewish Telegraphic Agency nel quale ha segnalato che persino nelle sole colonie schiaviste olandesi “gli ebrei controllavano circa il 17 per cento del commercio caraibico”. Ci sono anche storie molto specifiche di pratiche localizzate che si riferiscono alla partecipazione ebrea alle economie schiaviste nei Caraibi e in America Latina (compresa, come sottoprodotto del commercio dello zucchero e degli schiavi, una popolare “Storia ebraica del Rum”). Il dottor Ralph G. Bennett ha descritto la situazione in Brasile: “Gli uomini d’affari cristiani erano gelosi del successo degli ebrei, particolarmente nel lucro commercio degli schiavi, e più di una volta hanno presentato petizioni al governo perché limitasse le pratiche commerciali degli ebrei. Il governo si è rifiutato di intervenire: gli affari generati dagli ebrei erano troppo importanti per l’economia della colonia per essere ostacolati in qualsiasi modo”. Nel suo articolo per giornale Jamaica Gleaner la professoressa dell’Università delle Indie Occidentali, Carolyn Cooper, scrive: “Gli ebrei hanno avuto un ruolo innegabile nello schiavismo delle piantagioni in Giamaica”. Ma la parte più colpevole di questa parte dell’attacco contro la Walker è stata che alcuni dei canali giornalistici che calunniavano il suo riferimento alla partecipazione ebrea allo schiavismo – per parafrasare – come apparentemente ‘la più vile delle ingiurie antisemite’ hanno anche pubblicato articoli di corrispondenti ebrei che rintracciavano le loro radici genealogiche nelle vecchie economie schiaviste. Si vedano ‘Jewish Barbados: Tracking Down the Tribe in the Caribbean’ (Huffington Post) e ‘Seeking ghosts in Barbados’ (Jewish Chronicle) [Rispettivamente: ‘Barbados ebree: rintracciamento della tribù nei Caraibi’ e ‘Alla ricerca di fantasmi nelle Barbados’]. Nell’articolo del Jewish Chronicle, Harriet Green ha scritto: “C’è un lato oscuro in questo… si stima che 387.000 africani siano stati trasportati nell’isola contro la loro volontà. Per essere del tutto chiari: la ricchezza dell’isola (e forse dei miei antenati) è stata un risultato diretto di sofferenze spaventose”. Ovviamente c’è una grande differenza tra la tolleranza offerta alla bianca etnica Harriet Green dal Jewish Chronicle e l’esperienza della Walker. La Walker è stata una critica di alto profilo di Israele e ha legittimamente contestato il diritto dei sostenitori di Israele a un uso centrale esclusivo del termine ‘Olocausto’ e purtroppo – in termini di capitale culturale mediatico razzista – in quanto donna ebrea nera meticcia è stata trattata come un bersaglio strategico facile. In seguito alle calunnie, la Walker è stata sospesa dal Partito Laburista la prima volta a maggio 2016 e di nuovo da ottobre 2016 quando è stata anche licenziata dalla sua posizione di vicepresidente di Momentum. Non è stata la sola attivista laburista nera a essere calunniata nel panico morale o a essere strategicamente/vigliaccamente abbandonata come ‘perdita necessaria’ dal conflittuale alto comando del Partito Laburista.
Il Partito Laburista ha un certo numero di blairiani residui nella sua ala parlamentare, più alcuni individui che – contrariamente alla storia anticoloniale del partito – si sono apparentemente uniti a raggiungere posizioni eminenti principalmente da campioni monotematici di Israele. Conseguentemente la complicità con la stampa di destra in questo panico morale è stata un problema regolarmente dichiarato per il Partito Laburista. Ciò è stato identificato dal leader di Unite Union, Len McClusky, come parte di regolari tentativi di deporre Corbyn. L’attivista ebrea Naomi Wimborne-Idriss di ‘Free Speech on Israel’ e ‘Jewish Voices for Labour’ ha specificamente criticato le forze avversarie filoisraeliane nel partito affermando che il polemico Jewish Labour Movement avrebbe ‘un po’ di credibilità in più [se] non passasse tanto tempo a correre dal Daily Mail e dal Daily Telegraph con articoli’. Marc Wadsworth si è trovato apparentemente a essere il solo membro nero della minoranza del Partito Laburista a partecipare alla presentazione dell’”Inchiesta Shami Chakrabarti sull’antisemitismo e altre forme di razzismo nel Partito Laburista”. Stava per sollevare il problema di questa mancanza di rappresentanza quando ha notato la parlamentare laburista Ruth Smeeth scambiare documenti con un giornalista del Daily Telegraph, che non è mai stato un giornale schierato con il Partito Laburista. Riprese disponibili su siti giornalistici lo mostrano segnalare questo e similmente ad altri che hanno segnalato questa dinamica lo vedono usare l’espressione “si può vedere chi sta lavorando fianco a fianco”, ma la chiarezza è difficile poiché il sonoro è solitamente o scarso sui siti giornalistici oppure è stato apparentemente aumentato e diminuito di volume per favorire l’indignazione degli editoriali della Smeeth del genere “come osate?”. La Smeeth è stata citata accusare Wadsworth di ‘indegne teorie cospirazioniste a proposito del popolo ebreo”. Di fatto l’ex ambasciatore britannico e attuale blogger Craig Murray ha citato quanto segue come dichiarazione di Wadsworth all’inchiesta: “Ho visto che il Telegraph ha passato una copia di un comunicato stampa alla parlamentare Ruth Smeeth, dunque si può vedere chi sta lavorando fianco a fianco. Se vi guardate attorno in questa sala, quanti afro-caraibici e asiatici ci sono? Dobbiamo mettere ordine in casa nostra.”
Nel contesto dell’apparente isolamento etnico nero del laburista Wadsworth all’evento, val la pena di ripetere che per ogni Ruth Smeeth nella sala e per ciascuno dei suoi sostenitori, avrebbero dovuto esserci almeno ventiquattro Marc Wadsworth. Inoltre, il Telegraph è gestito dal Telegraph Group Limited, di proprietà dei fratelli Barclay che sono figli di genitori cattolici scozzesi. Il precedente proprietario era Conrad Black, convertitosi dal protestantesimo al cattolicesimo. Dunque, anche se Wadsworth avesse saputo che la Smeeth era ebrea – cosa che egli nega categoricamente – è difficilmente concepibile che egli avesse mosso un’accusa di cospirazione ebraica. Il motivo per il quale la Smeeth stava collaborando con un giornale che ha una radicata politica storica di appoggio ai nemici conservatori del Partito Laburista è una domanda alla quale ella non ha ancora risposto, né il resto dei media industriali ha scelto di porgliela. Tuttavia, Marc Wadsworth è stato sospeso dal Partito Laburista non per antisemitismo ma, come altri, per ‘cattiva reputazione’ o condotta ‘pregiudizievole … o comunque grossolanamente dannosa per il partito’.
Il livello di partigianeria razziale dei media che ha contribuito a realizzare questo è stato molto sfacciato. In un mondo alternativa di equa copertura mediatica l’interpretazione degli eventi verificatisi al lancio del rapporto Chakrabarti sull’”antisemitismo/razzismo” e dopo, avrebbe potuto altrettanto facilmente seguire il corso opposto. La Smeeth avrebbe potuto essere giustamente condannata per aver attribuito caratteristiche spregevoli al presunto testo aperto dell’identità etnica nera di Wadsworth. In un simile universo più leale avrebbero potuto esserci editoriali mediatici equivalentemente negativi sulla Smeeth quando ha partecipato all’audizione disciplinare di Wadsworth affiancata da un gruppo d’élite, interamente bianco, di politici. Quando i colleghi politici professionali bianchi della Smeeth hanno fatto circolare che ‘il fatto che sia stato necessario accompagnarla tra proteste è uno stato di cose spaventoso’, avrebbe potuto essere ugualmente commentato che forse era evocato il tropo del ‘nero etnico pericoloso’. I sostenitori di Wadsworth hanno incluso Herman Ouseley, membro nero della Camera dei Lord ed ex presidente della ‘Commissione sull’uguaglianza razziale’, il professor Paul Gilroy, autore di molte opere tra cui ‘Black Atlantic’ (1993), il dottor Iqbal Scram, Peter Herbert (Società degli Avvocati Neri), la femminista nera già leader del Lambeth Council Linda Bellos, Jackie Walker e il giornalista nero britannico del Guardian Gary Younge.
Per contro le reali strategie narrative mediatiche hanno incluso la descrizione della Smeeth come uscita dal lancio del rapporto Chakrabarti “in lacrime” e il riferimento a Wadsworth come solo a “un uomo che distribuiva volantini collegati a Momentum, un gruppo attivista che appoggia il signor Corbyn” – si veda l’Independent e questo riferimento è stato replicato altrove, si veda il Guardian. In realtà Wadsworth era stato un attivista dei diritti umani nel caso dell’omicidio razzista di Stephen Lawrence. Prima che fosse adottata la pratica di implicare che egli era un qualche signor nessuno estremista che era spuntato dalla strada con possibili tendenze antisemite, l’Independent l’aveva in precedenza intervistato almeno tre volte nel contesto della sua attività di campagna. Prima di essere ‘privato della storia’ in certi articoli ‘pro Smeeth’ del Guardian, l’attivismo di Wadsworth nella Anti-Racist Alliance e nel caso Stephen Lawrence era stato citato in numerosi articoli del Guardian. Wadsworth aveva persino pubblicato articoli sul Guardian in numerose occasioni. E’ anche citato in un vecchio servizio della BBC sul caso Lawrence e appare nella sua retrospettiva in tre parti del 2018 “Stephen: The Murder That Changed A Nation” [Stephen: l’assassinio che ha cambiato una nazione]. Tutto questo, in palesi tattiche maccartiste è stato omesso nella copertura mediatica, dove avrebbe potuto avere un impatto negativo sulla credibilità della Smeeth.
Pure omessi dalla copertura mediatica, assieme alle credenziali antirazziste di Wadsworth, sono stati i dettagli del passato e delle alleanze strutturali della Smeeth, che avrebbero potuto gettare dubbi sul suo comportamento. Il giornalista della Electronic Intifada Asa Winstanley ha fatto del suo meglio per rettificare questa evidente censura. Secondo Winstanley “la Smeeth ha fatto parte della delegazione laburista in Israele degli Amici di Israele”. La Smeeth è stata un amministratore di “BICOM, il Centro Ricerche e Comunicazioni Israelo-britannico. In quella posizione risulta essere stata incaricata di rafforzare le relazioni del gruppo con ‘Foreign Office, leader di partito, think tank e accademie”. La Smeeth ha ricevuto donazioni finanziarie da membri del consiglio di BICOM che, per motivi loro, hanno scelto di farlo nella loro veste di amministratori di altre società. Fa parte del Community Security Trust che Jonathan Cook e altri hanno criticato di produrre figure ‘sioniste’ partigiane ingiuriose; Winstanley suggerisce che il CST abbia collegamenti con l’agenzia spionistica israeliana Mossad. La Smeeth è stata in prima linea nel panico morale dei post/e-mail/tweet ‘ingiuriosi’, il che pone la domanda: considerato l’enorme numero di comunicazioni ‘ingiuriose’ che lei afferma di aver ricevuto, come avrebbe potuto confermarle? Significativamente Marc Wadsworth ha fatto parte delle sue affermazioni di “25.000 casi di ‘ingiurie’ dal lancio del rapporto Chakrabarti”.
Questo sconto riguardo alle verifiche, concesso ai sostenitori di Israele, non si ferma con la Smeeth. Un nome spunta fuori ripetutamente nelle calunnie di antisemitismo: quello di Jeremy Newmark del ‘Jewish Labour Movement’ filoisraeliano di destra. In un enorme numero delle calunnie post bombardamento di Gaza del 2014, Newmark compare come una sorta protagonista di citazioni e accuse a pagamento; si è, ad esempio, distinto negli attacchi contro Naz Shah e Ken Livingston. Nel 2013 Newmark ha testimoniato nella causa Fraser contro UCU (University College Union) nel quale era stato sollevato il tema dell’antisemitismo. Il giudice Anthony Snelson ha affermato che la testimonianza di Newmark era stata “falsa, irragionevole, straordinariamente arrogante e inquietante”. In dettaglio: “Ci rincresce affermare che abbiamo rigettato come non vera la testimonianza (della signora Ashworth) e del signor Newmark a proposito dell’incidente al Congresso del 2008… Le prove forniteci a proposito di fischi, scherni e molestie nei confronti di oratori ebrei ai dibattiti del Congresso erano anch’esse false, come hanno accettato testimoni veritieri della parte ricorrente. Un esempio penosamente inopportuno di ricerca di applausi è stata l’irragionevole affermazione del signor Newman, in reazione al suggerimento nel contraddittorio che egli aveva tentato di farsi strada nella riunione del 2008, che gli era stato attribuito lo stereotipo di ‘ebreo invadente’. Concludendo: “Le opinioni dei testimoni non sono state, ovviamente, di nostro interesse… Un’eccezione è stata un’osservazione del signor Newmark, nel contesto della controversia sul boicottaggio accademico nel 2007, che il sindacato non era ‘più un’arena adatta alla libertà di espressione’, un commento che abbiamo trovato non solo straordinariamente arrogante ma anche inquietante”.
La rivista interna del Partito Laburista, Tribune, ha manifestato sorpresa che nonostante questa pubblica condanna giudiziaria dell’integrità di Newmark, gli sia stato consentito di parlare contro Livingstone alla sua udienza di denuncia presso il Partito Laburista. Nel febbraio del 2018 il Jewish Chronicle – che aveva offerto a Newman nientemeno che anni di copertura favorevole – ha pubblicato un articolo intitolato ‘Rivelazione: le verifiche del JLC riferiscono che Jeremy Newmark l’ha raggirato per migliaia di sterline” [JLC – Comitato della Dirigenza Ebraica]. L’articolo ha affermato: “egli ha truffato l’organizzazione per decine di migliaia di sterline e ha fuorviato enti di beneficenza riguardo ai costi di progetti ai quali lavorava”. Queste notizie sono state in larga misura insabbiate dal resto dei media industriali e nonostante i punti di domanda riguardo all’onestà di Newmark, non c’è stata alcuna rivisitazione delle calunnie di antisemitismo nelle quali egli era stato coinvolto.
Un’altra figura che ha largamente eluso l’esame dei media dominanti è stata Ella Rose, anch’essa del Jewish Labour Movement filo-israeliano. La Rose è stata colta in video ad affermare che altri membri del Partito Laburista dovrebbero ‘morire in un buco’ e che lei ‘poteva uccidere’ con violenza Jackie Walker. Questo comportamento non è mai stato trattato allo stesso medo delle dichiarazioni, analogamente filmate di nascoste, della Walker sullo schiavismo come ‘Olocausto’ che le avevano guadagnato pubblicità negativa e una sospensione per ‘discredito’. Più significativamente, la Rose è diventata una direttrice del Jewish Labour Movement dopo aver lavorato presso l’ambasciata israeliana come ‘funzionaria degli affari pubblici tra il settembre 2015 e l’agosto 2016… Notizie di stampa a luglio che annunciavano la nomina della Rose non hanno rivelato il collegamento con l’ambasciata, citando soltanto la sua precedente carica di presidente dell’Unione degli Studenti Ebrei” (la corsia preferenziale della Rose nel Partito Laburista ha perciò suscitato sospetti di entrismo). Le riprese della Rose sono divenute disponibili perché ha partecipato al documentario sotto copertura in quattro parti di Al Jazeera ‘The Lobby’. Esso ha rivelato che l’ambasciata israeliana nel Regno Unito stava finanziando e addestrando attivisti per sovvertire il processo politico britannico interno, in particolare quando era critico dell’apartheid israeliano. L’ambasciata aveva anche una lista nera di politici britannici che voleva distruggere o screditare. In modo stupefacente, le rivelazioni di Al Jazeera sono state in larga misura sepolte dai media britannici e non è stato consentito loro alcun impatto sul panico morale dell’antisemitismo o alcuna rivisitazione critica di esso. Tuttavia, anche i media industriali hanno dovuto ammettere che in conseguenza della denuncia il funzionario dell’ambasciata israeliana Shai Masot era stato costretto a lasciare il paese. Come parte del servizio clandestino di Al Jazeera, la Rose è stata colta in video ad ammettere: “Lavoriamo con Shai; lo conosciamo molto bene”. Il che suscita la domanda: questo non sarebbe considerato uno scandalo se l’ambasciata russa avesse usato surrogati britannici per interferire nella politica interna?
Val la pena di notare che il panico morale per l’antisemitismo ha avuto luogo senza che nessuno dei giornali nazionali avesse aderito a IMPRESS, l’organizzazione creata dal Documento Reale per la Disciplina della Stampa come richiesto dall’inchiesta Leveson. Il Financial Times, il Guardian e l’Independent si sono chiamati fuori e non hanno nemmeno aderito al ‘sospetto’ organismo di autodisciplina dell’industria IPSO.
Significativamente, le pratiche della stampa neoliberista ex progressista sono state tra le peggiori responsabili del panico morale, e purtroppo qui c’è solo spazio per grattarne la superficie. Per quanto può essere accertato, l’Independent non ha risposto alle segnalazioni di doppi metri razzisti negli articoli. Ha consegnato la maggior parte del suo giornalismo sull’antisemitismo a Benjamin Kentish la cui produzione è stata prolifica. Ha anche usato regolarmente le varianti del linguaggio del ‘coup d’etat’, compresa la ‘cacciata’, per diffamare membri della base che hanno fatto cadere col voto neoliberisti che hanno una storia di ospitalità nei confronti del lobbismo finanziario dei ‘grandi soldi’. Kentish scrive anche occasionalmente per http://jewishnews.timesofisrael.com. Fuori dal Jewish Chronicle nessuno è stato altrettanto prolifico nello scrivere articoli a proposito di presunto antisemitismo quanto il giornalista opinionista del Guardian Jonathan Freedland (che occasionalmente scrive anche per l’israeliano Haaretz). Pochi motori di ricerca sembrano in grado di contenerne il volume. Come gli scritti di Kentish, pochi dei suoi hanno citato esempi di condanne legali, nemmeno di processi non riusciti, ma piuttosto gli occasionali giudizi della ‘disputa laburista’. Inoltre, in contrasto con il suo sostanzioso materiale pubblicato evocante un apparente antisemitismo, gli articoli di Freedland su singole figure riguardanti solo occasionalmente i temi di Windrush e delle morti nere, sono innegabilmente sproporzionatamente brevi e un’inversione della genuina esperienza sociale e della realtà demografica. Come opinionista forse alcune delle più sfacciate manipolazioni nei titoli e negazioni del diritto di replica possono essere anch’esse attribuite a lui. In termini di tattiche retoriche pare esserci poco cui non si sia abbassato. E’ stato responsabile della calunnia di negazionismo dell’Olocausto contro Ken Loach.
Norman Finkelstein, analogamente a Loach, ha così protestato: “Quando il mio libro ‘L’industria dell’Olocausto’ è uscito nel 2000, Freedland ha scritto che io ero ‘più vicino a quelli che crearono l’Olocausto che a quelli che lo subirono’ … Non ha ritenuto immorale suggerire che io somigliassi ai nazisti che hanno gassato la mia famiglia. Né l’appropriazione culturale della vittimizzazione razzista è fuori dalla portata di Freedland. C’è una secolare espressione di paternalistica deroga nei confronti del razzismo bianco contro i neri, così antica che ha di fatto cambiato versione lungo le generazioni. Soleva essere ‘Io non sono razzista, alcuni dei miei migliori amici sono di colore’; è cambiata in ‘non razzista, alcuni dei miei migliori amici sono negri’; è evoluta nel tempo a ‘non razzista, alcuni dei miei migliori amici sono neri’ e oggi alla fine negli USA è diventata ‘i miei migliori amici sono afroamericani’.
Freedland ha preso questa espressione e l’ha fatta apparire ai nuovi lettori più giovani come un’esperienza e una frase unicamente ebrea. Questa tattica fortemente razzialmente offensiva dell’appropriazione culturale è stata qualcosa che egli ha avuto in comune con Jeremy Newmark che ha preso la vecchia ingiuria ‘N*gr* spocchioso’ e l’ha modificata ai fini dell’attuale panico morale in ‘Ebreo invadente’ (nonostante, bizzarramente, in realtà sia ‘l’ebreo timoroso’ lo storico stereotipo razzista). Newmark è stato anche accusato di essersi riferito a Jackie Walker come all’”ebrea del tribunale”, un’appropriazione dell’etichetta di Malcom X ‘Negro di casa/Schiavo di casa’ (un’appropriazione crudelmente ironica, considerata l’accusa di antisemitismo contro Malcom in parti dei media filoisraeliani).
Considerato il forte odore di citazioni coordinate e di strategie di propaganda del panico morale, val la pena di riflettere brevemente sull’attuale logica economica dei media neoliberisti. Con poche eccezioni non c’è alcun sostegno finanziario nella nostra era alle notizie serie d’inchiesta. Questo pone la domanda: chi sta finanziando la perlustrazione di anni di post su media sociali da parte di apparentemente migliaia di sostenitori del Partito Laburista? In luogo di genuine notizie serie risalite alla fonte, gran parte del materiale nei media industriali è fornito ai giornalisti sotto forma di comunicati stampa da siti di interessi di parte, scritti nello stile interno dei canali giornalistici, cui i giornalisti sono semplicemente invitati ad apporre pigramente la loro firma, oppure sono forniti da blogger di parte che stanno sul messaggio, assimilati a siti giornalistici. Dunque, quanto di questo panico morale può essere scartato come solo sfacciata copia di pubblicità politica? La caduta delle vendite ha significato che l’Independent ha perso le sue copie a stampa qualche tempo addietro. L’Independent non avendo entrate da vendite è pertanto totalmente alla mercé dei capricci dei suoi inserzionisti e donatori finanziari. Ogni anno le vendite del Guardian scendono rispetto persino ai bassi livelli dell’anno precedente. Ogni articolo sulle pagine in rete del Guardian contiene oggi una richiesta di una donazione finanziaria. E’ perciò possibile escludere gli interventi finanziari israeliani a favore dei nostri media, considerato che il primo ministro israeliano Netanyahu si è intrufolato analogamente nel vertice della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale con offerte di fondi di supervisione per provvisori un miliardo di dollari esagerando “il vostro sostegno nel respingere pregiudizi antisraeliani presso le Nazioni Unite e in organismi quali l’Assemblea Generale, l’UNESCO e il Comitato Diritti Umani”? Nel momento in cui scrivo – dopo il conto delle vittime del 21 maggio 2018 – Israele ha ucciso altri 112 palestinesi disarmati (13 dei quali bambini) e ne ha feriti 13.190. Se non fosse per il panico morale riguardo all’antisemitismo, non è possibile che qualcuno a sinistra o come politica del Partito Laburista avesse sollecitato un boicottaggio ufficiale?
Quale che sia la portata dell’intervento di Israele presso i nostri media, la realtà economica è che il panico morale circa l’antisemitismo è indicativo di una stampa britannica, nel suo servizio al potere istituzionale e ai ‘grandi soldi’, ha in larga misura perso il suo rapporto con il pubblico generale. I due giornali con le maggiori vendite nazionali raggiungono solo le cifre di 1,5 e 1,3 milioni, su una popolazione di 65,4 milioni dei quali più di 50 milioni sono adulti, e questa demografia dei clienti sta invecchiando e verosimilmente è semplicemente meno frequentatrice di fonti giornalistiche in rete. Negli ultimi due decenni abbiamo avuto media che sono divenuti omogeneamente contro i lavoratori e hanno acriticamente promosso un ritorno al Razzismo-Imperialismo del diciannovesimo secolo come politica estera. Hanno curato la propaganda di politici complici di torture. E apparentemente oggi sembrano disposti a fare l’ingrato lavoro maccartista per un regime straniero di apartheid. In base a ogni misura e finalità, la sfera pubblica britannica non esiste più.
Postfazione – Schiavismo eccetera Merita di essere chiarito che non avrebbe avuto senso citare o estrapolare dalla tesi di Jackie Walker riguardo agli imprenditori ebrei e al commercio degli schiavi se si fosse trattato semplicemente di alimentare un pregiudizio riguardo a caratteristiche ebree innate; ciò sarebbe stato antisemitismo. Tuttavia, il problema dell’omissione degli Olocausti neri e della tradizione coloniale bianca è importante. Né i neri dovrebbero mai trovarsi in una posizione in cui è loro negato il diritto di esporre le specificità della loro storia di oppressione razziale. C’è anche il problema di come accuse di antisemitismo siano utilizzate per impedire alla sinistra e ai movimenti di base di manifestare le loro tradizionali posizioni di solidarietà sociale con i più deboli e di muovere critiche al potere. Storicamente, una parte tradizionale dell’analisi di sinistra è stata costituita da critiche dello sfruttamento basato su privilegi di classe, economici, mercantili, di genere, coloniali e razzisti bianchi. È ora suggerito che a certi individui o vasti gruppi di persone, quando rilevati attivi in queste élite sfruttatrici deve essere concesso di evitare le normali censure invocando nozioni di identità religiose fondamentaliste. In anni recenti abbiamo avuto una situazione nella quale si può criticare lo schiavismo, ma non quando include la partecipazione ebraica; si può criticare il colonialismo bianco ma non quando include Israele; si può criticare l’apartheid ma non quando include Israele; si può criticare l’influenza dei ‘grandi soldi’ sul governo, ma non quando include la Goldman Sachs; si può criticare l’omofobia ma non quando vi è coinvolto un giornalista ebreo; un elenco cui sarà indubbiamente presto aggiunta l’appropriazione culturale razzista. Ovviamente in un tempo nel quale sono imputati di antisemitismo genuini antirazzisti ebrei, questo maccartismo merita di essere combattuto.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/hijacking-victimhood-and-demonizing-dissent/
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