http://www.lintellettualedissidente.it/ 24 luglio 2018
Il vero volto d’Israele di Emanuel Pietrobon
La Knesset, con l'approvazione della legge sullo stato-nazione, pone fine a decenni di menzogne e ipocrisie svelando al mondo la vera natura del sionismo.
La Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato a maggioranza assoluta la promulgazione della cosiddetta legge Israele stato-nazione ebraico, fortemente voluta dal governo Netanyahu e frutto di un lungo, travagliato e discusso iter legislativo. Una legge che sancisce il primato degli ebrei sulla terra israeliana e che giunge in un momento intenso del conflitto israelo-palestinese. Israele, similmente al Regno Unito, non possiede una costituzione scritta, ma si articola su un insieme di leggi fondamentali dalla valenza costituzionale che disegnano il sistema giuridico, politico e legale nazionale; per questo la legge recentemente approvata produrrà cambiamenti radicali sulla natura multiconfessionale e multiculturale dell’unica democrazia del Medio Oriente. L’ultima mossa del governo più a destra della storia israeliana ha suscitato sentimenti di sdegno misto a sorpresa tra i politologi, gli analisti e i commentatori delle relazioni internazionali, reazioni che mostrano in maniera alquanto sconfortante quanto il sionismo sia ancora oggi scarsamente conosciuto fra coloro che si dicono conoscitori del funzionamento del mondo e della storia.
L’approvazione della legge è stata considerata una pietra miliare nella storia del sionismo dal primo ministro Netanyahu ed approfondisce il processo di giudaizzazione, tra l’altro già avanzato, della Terra Santa, ed è facile capire il perché: 1) L’ebraico diventa l’unica lingua ufficiale del paese, mentre l’arabo viene declassato a idioma d’interesse particolare; 2) Gerusalemme viene dichiarata capitale unica ed indivisibile dello Stato; 3) Le festività ebraiche ed il calendario ebraico assumono valenza nazionale; 4) La promozione degli insediamenti ebraici (ndr. colonie) diventa un interesse nazionale da difendere; 5) Israele viene dichiarata patria storica del popolo ebraico, che ha un diritto esclusivo all’autodeterminazione nazionale, e lo Stato si impegna a favorire ulteriormente il rientro degli ebrei della diaspora nella terra che JHWH promise alla stirpe di Abramo.
Benjamin Netanyahu
Lo sdegno passa velocemente quando, ad uno sguardo più accurato, ci si accorge che in sostanza non cambia nulla, perché Israele infatti è uno stato-nazione creato dopo un secolo di sforzi e pressioni lobbistiche dell’internazionale sionista per dar rifugio agli eredi di Abramo, Isacco, Giacobbe e Davide, in fuga dalle persecuzioni millenarie subite in ogni terra e continente, infine sfociate in un tentativo di sterminio pianificato da parte delle potenze dell’Asse. Il simbolo di Israele è la stella di Davide, l’inno è Hatikvah (let. La speranza) e richiama al sogno recondito di tutti gli ebrei del mondo di ritornare un giorno nella Terra Promessa in attesa della Venuta del Messia, ed ogni festività ebraica è rigidamente osservata, sorprende quindi lo stupore di chi ritiene che Likud, il partito di governo, stia sfruttando il sistema egemonico creato a livello culturale e politico per giudeizzare uno Stato che, storicamente, nasce ebraico per gli ebrei. Netanyahu ha ragione: è un traguardo storico per il sionismo, soprattutto perché a sostenere l’agenda israeliana non ci sono più soltanto gli Stati Uniti, ma anche la maggioranza (silenziosa) del mondo islamico, in primis Arabia Saudita, Marocco, Egitto e Giordania, le principali potenze alla guida della umma. Agli ebrei viene riconosciuta l’esclusività del diritto all’autodeterminazione nella Terra dei Profeti, un diritto che invece agli arabi di Palestina è stato e continua ad essere negato.
L’amministrazione Trump e i consiglieri reali di Mohammad bin Salman continuano a lavorare al piano per la Palestina che, anche senza il consenso dei palestinesi – a detta del re saudita, risolverà definitivamente la questione palestinese. Le mosse spregiudicate di Netanyahu, che seguono la decisione di Trump di spostare l’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, dicono molto sulla misteriosa soluzione statunitense-saudita, innanzitutto che Gerusalemme ricadrà sotto sovranità israeliana, che continuerà ad espandersi a tempo indefinito a detrimento dei territori palestinesi attraverso la nascita di nuovi insediamenti ebraici.
Annichilita la minaccia all’esistenza di Israele con la fine dell’era dei grandi statisti partoriti dal nazionalismo arabo come Gamal Nasser e re Faysal al-Saud, l’agenda sionista ha potuto riprendere a gran velocità i lavori per la costruzione di quel sogno proibito chiamato Grande Israele, fortemente voluto dalla destra nazionalista e da una parte importante del clero e dei fedeli, a cui viene erroneamente attribuito un mero significato materiale, ossia l’estensione territoriale, ma in realtà avente un carattere molto più ampio, ossia la rinascita dell’ebraismo a livello internazionale, l’esportazione dei valori rabbinico-talmudici nelle comunità diasporiche e la costruzione di rapporti basati sul rispetto e sull’uguaglianza con le maggiori religioni mondiali.
A 70 anni di distanza dalla nascita di Israele e a pochi giorni dal richiamo alle ambizioni sioniste di Netanyahu, le reazioni dell’intellighenzia intellettuale anti-sionista rivelano la necessità di ripercorrere la nascita, l’evoluzione storica e le componenti ideologiche del sionismo, in modo tale da capire quali saranno le future direttrici dell’agenda israeliana su temi domestici ed esteri, perché questa ideologia continua a plasmare ogni aspetto della nazione ebraica. Il sionismo nasce sull’onda dei moti nazional-rivoluzionari che scossero il Vecchio Continente fra il 1789 ed il 1860 e scaturisce dalle elucubrazioni intellettuali di importanti rabbini, filosofi e pensatori, e dalle azioni di importanti banchieri, lobbisti e finanzieri, uniti dalla comune ascendenza giudaica e dalla volontà di risolvere la cosiddetta questione ebraica, sorta in concomitanza alle questioni nazionali di Italia e Germania e dei paesi slavi, attraverso un progetto di occupazione graduale della Terra Promessa, all’epoca sotto dominio ottomano, per mezzo di migrazioni pianificate (aliyah) sostenute da lungimiranti piani d’acquisizione di terre e costruzione d’infrastrutture ad opera di ricche famiglie ebraiche come i Montefiore e i Rothschild.
Il sionismo, seppure sia oggi un movimento estremamente variegato comprendente elementi laici, liberali e socialisti, sorge in ambito rabbinico-religioso e riceve ampia eco per il supporto ottenuto dai principali esponenti della Haskalah, il cosiddetto illuminismo ebraico, e la componente escatologica intrisa di millenarismo, attese messianiche ed elementi fatalisti-apocalittici continua a permeare l’Israele contemporaneo. I manifesti ideologici del movimento che avrebbe ricondotto il popolo eletto a Sion nel giro di mezzo secolo sono principalmente opere religiose ispirate alle profezie dei patriarchi contenute nella Bibbia ebraica o comunque contenenti riferimenti alla primazia ebraica per ragioni bibliche: Roma e Gerusalemme (1862) di Moses Hess, Derishat Zion (1862) di Zvi Hirsch Kalischer, Autoemancipazione (1882) di Leon Pinkser, Aruchas Bas-Ammi (1883) di Isaac Rult.
Zvi Hirsch Kalischer
I pensatori sionisti sfruttarono le loro reti di conoscenze per raggiungere i personaggi ebrei più importanti nello scenario politico ed economico europeo, convincendoli a finanziare direttamente l’ambizioso progetto di riconquistare silenziosamente la Palestina o ad utilizzare le loro ricchezze come strumento di pressione sui governi laddove possibile. Ed è proprio così che sorgono le prime organizzazioni sioniste, come la Società per l’Insediamento del Grande Israele (1852) del rabbino Judah ben Solomon Chai Alkalai, l’Alleanza Israelitica Universale (1860) del politico francese Adolphe Crémieux, Hovevei Zion e Bilu, impegnate nel favorire l’emigrazione ebraica in Palestina da Russia ed Europa centro-orientale ed entrambe sovvenzionate dalla famiglia Rothschild, e vengono fondati i primi insediamenti esclusivamente ebraici in Palestina e finanziata l’espansione dei sobborghi ebraici a Gerusalemme da parte delle famiglie Montefiore, Rothschild e Hirsch.
Il personaggio più importante della prima era del sionismo resta comunque il giornalista, poi scrittore, attivista e lobbista per la causa sionista, Theodor Herzl, un austro-ungarico ashkenazita convinto che per gli ebrei fosse impossibile concepire una convivenza pacifica e rispettosa con gli europei alla luce di una storia fatta di persecuzioni, ghettizzazioni, linciaggi e periodici scandali causati da deliri giudeofobici. Herzl fu l’autore di quello che è considerato il manifesto per eccellenza del sionismo politico, Der Judenstaat, pubblicato nel 1896 e presto tradotto nelle principali lingue europee, diventando un best-seller.
Theodor Herzl
L’anno seguente, Herzl diede vita all’Organizzazione Sionista con l’obiettivo di creare un corpo unico sovrintendente i vari tentativi all’epoca in corso, a livello di individui e organizzazioni, per riconquistare la Palestina, per facilitare e accelerare il ritorno degli ebrei nella Terra Promessa. Il primo congresso sionista, indetto nel 1897 dall’Organizzazione Sionista, riunì a Basilea i principali sostenitori e sponsor del ritorno a Sion, e si concluse nella pubblicazione d’un documento d’intenti, il Programma di Basilea, stabilente che: il sionismo si poneva come scopo esistenziale la creazione di uno Stato per gli ebrei in Palestina, pubblicamente riconosciuto dalle principali potenze europee e da esse legalmente garantito, realizzabile attraverso un’opera di colonizzazione demografica. Herzl ritenne il programma di Basilea il punto più alto mai raggiunto dall’internazionale sionista e, nel suo diario, scrisse di essere particolarmente ottimista circa la realizzazione dei punti suscritti, che secondo lui sarebbe avvenuta entro 50 anni da quella data – e la storia gli ha dato ragione. Forte del potente sostegno della casa Rothschild, e quindi della Gran Bretagna – dipendente dal capitale della famiglia di banchieri per il finanziamento di guerre e progetti coloniali e pertanto acquiescente alle loro richieste, Herzl fu accolto dai regnanti e capi di Stato delle principali potenze europee, tra i quali Abdul Hamid II di Turchia, Pio X, Vittorio Emanuele III d’Italia e Guglielmo II di Germania.
L’assenza d’interesse dimostrata dai regnanti incontrati da Herzl, lo spinse a ripiegare sull’aiuto dei privati, ossia le grandi famiglie di banchieri, che intensificarono la loro partecipazione nella causa sionista fondando una serie di organizzazioni-ombrello come il Jewish Colonial Trust (1899), il Fondo Nazionale Ebraico (1901), l’Anglo-Palestine Bank (1903), Keren Hayesod (1920), utilizzate per destinare i capitali miranti all’acquisizione di terreni sui quali praticare attività agricole e industriali e costruire case, scuole, ospedali, ad uso esclusivo degli ebrei giunti annualmente in maniera pianificata da tutta Europa. Nello stesso periodo, gli ebrei fuggiti dalla Russia fondarono le prime Kibbutz, comunità agricole organizzate su basi collettivistiche e comuniste ancora oggi esistenti, vietate ai cristiani e ai musulmani. Il 1917 è passato alla storia come l’anno della dichiarazione Balfour, con la quale l’allora governo britannico si impegnava a garantire la creazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina in caso di vittoria sull’impero ottomano. La dichiarazione fu firmata da Arthur James Balfour, l’allora Segretario agli Affari Esteri per il Regno Unito, e Lionel Walter Rothschild, il più importante creditore del Regno Unito durante la prima guerra mondiale, su intermediazione di Chaim Weizmann, l’allora presidente della Federazione sionista di Gran Bretagna e Irlanda e futuro presidente di Israele.
La famiglia Rothschild
Nel 1923, l’Organizzazione Sionista diede il consenso alla nascita dell’Agenzia Ebraica, alla quale le autorità inglesi, investite di ruolo mandatario sulla Palestina dalla Società delle Nazioni, conferirono poteri parastatali e di autogoverno nel 1929. Nello stesso periodo, la Palestine Jewish Colonization Association di Edmond James de Rothschild acquistò oltre 560 chilometri quadrati di terreni, poi regalati all’Agenzia Ebraica, e le notizie delle buone condizioni di vita per un ebreo in Palestina alimentarono nuove ondate migratorie dall’Europa. Il malcontento della popolazione autoctona, impaurita dal crescente peso numerico e di autorità degli ebrei, sfociò in pesanti scontri, di cui si ricorda la sanguinosa grande rivolta araba (1936-39), portando l’Organizzazione Sionista e l’Agenzia Ebraica a dare il consenso alla formazione di milizie, forze paramilitari e organizzazioni terroristiche, come la Banda Stern, l’Haganah di David ben Gurion (futuro presidente d’Israele) e l’Irgun di Menachem Begin (futuro presidente d’Israele), coinvolte sia in scontri e attentati contro gli arabi, che contro le autorità britanniche, ritenute una presenza ostile da combattere al pari degli arabi.
Ciò che accadde dopo la seconda guerra mondiale è storia: i paesi arabi rifiutarono la risoluzione 181 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite perché ritenuta ingiusta, nell’assegnare il 55% del mandato di Palestina agli ebrei (meno di 1/3 della popolazione totale) e privare la parte araba delle principali fonti idriche e di sbocchi sul mar Rosso, e invalida, non riconoscendo l’autorità dell’Assemblea, invadendo Israele. La popolazione ebraica in Palestina crebbe dalle 25mila unità del 1882 alle 610mila censite dall’Onu nel 1947, il più grande esodo controllato a scopo destabilizzante della storia, precursore di quelle che la politologa Kelly Greenhill ha ribattezzato migrazioni progettate in Armi di migrazione di massa. Coloro che restano scioccati dalle azioni di Netanyahu mostrano quindi un’ignoranza abissale sul sionismo, religione prima politica, il movimento che è riuscito a riportare a Gerusalemme i figli di Sion, nell’attesa della Venuta del loro Messia. |