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20 luglio 2018 

 

Ora è legge: Israele non è più una democrazia

di Daniele Perra

 

Con buona pace di chi per decenni ha continuato ad affermare, a dispetto dell'evidenza, che Israele fosse l'unica democrazia del Vicino Oriente; ora, grazie al voto della Knesset, è stato messo nero su bianco: lo Stato nazionale ebraico, declassando a cittadini di serie B la sua componente non ebraica, ammette la sua essenza non democratica.

 

Nel 1917 il futuro primo presidente di Israele Chaim Weizmann, interrogato dal filosofo Arthur Ruppin (anch’egli convinto sionista) riguardo i possibili rapporti degli immigrati ebraici con la popolazione nativa palestinese, rispose in modo seccato:

“Gli inglesi ci hanno assicurato che in Palestina ci sono solo qualche migliaio di kushim 

(negri) che non contano nulla”.

 

Più o meno negli stessi anni, Leo Motzkin, considerato a torto o ragione (ma decisamente più a torto) come uno degli esponenti più “liberali” del sionismo, ribadì la necessità di proseguire nella colonizzazione della Palestina ricollocando la popolazione araba ivi residente ai confini di Eretz Israel(quel “Grande Israele” che nei progetti sionisti avrebbe compreso i suoi confini tra i fiumi Nilo ed Eufrate). Il progetto di Motzkin, nonostante la Nakba, non riuscì del tutto e, ancora oggi, all’interno dei confini di quello che la legge passata alla Knesset definisce come lo “Stato-nazione del popolo ebraico” permane una cospicua comunità araba (all’incirca il 20% della popolazione totale). Una legge che rende parola scritta la suddetta affermazione di Weizmann: quel qualche migliaio di kushim

 (diventati col passare del tempo qualche milione) che non contavano nulla, ora, anche legalmente, continuano a non contare nulla. Ergo, non dovremmo scandalizzarci di fronte a ciò che questa legge, qualora ve ne fosse ancora bisogno, ha semplicemente reso evidente al mondo intero.

 

Qui, ai fini del nostro discorso, non ci interessa ripercorrere i drammatici fatti storici che, con la nefasta partecipazione europea (memorandum di Jules Cambon e dichiarazione Balfour), portarono alla formazione ed affermazione di questo avamposto coloniale nel Vicino Oriente. Oramai questo è un dato di fatto storico incontrovertibile che solo taluni prezzolati professionisti della menzogna potrebbero negare o cercare di controvertire. Non ci interessa neppure sottolineare come non esista un popolo ebraico etnicamente (e non solo confessionalmente) omogeneo anche se tale legge sembrerebbe suggerirlo. La maggioranza dell’odierna popolazione israeliana, ad esempio, non è di origine semitica. Ciò che ci interessa è cercare di comprendere perché permanga nei confronti di Israele quest’aurea di impunità, di perenne giustificazione dell’ingiustificabile che spesso raggiunge il suo culmine in affermazioni alla stregua di però fanno il gay pride(sic!).

 

Di fronte ad un Occidente totalmente acquiescente, se non addirittura complice (amministrazione Trump e suoi affini), appare quasi naturale e dovuto per un governo come quello di Benjamin Netanyahu fare ciò che si vuole spingendosi ben oltre ciò che fecero i suoi predecessori. Se non vengono posti dei limiti e tutto viene permesso, è naturale che un popolo che fonda il suo logosfilosofico-esistenziale sulla personale elezione divina si sentirà autorizzato ad uccidere migliaia di palestinesi disarmati ai confini con la Striscia di Gaza o a riconoscere gli insediamenti illegali in Cisgiordania senza timore di alcuna ripercussione. Tanto, in Occidente, ci sarà sempre qualcuno che giustificherà tali atti come diritto all’autodifesa, che parlerà di Israele come modello da imitare e che soccomberà di fronte ai sacerdoti ed ai riti della religione olocaustica.

 

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