Fonte: http://mondoweiss.ne https://comedonchisciotte.org/ 15 maggio 2018
Queste sono le domande che qualunque giornalista dovrebbe chiedere all’esercito israeliano di Yossi Gurvitz Scelto e tradotto da EP
Mentre queste righe vengono scritte i cecchini dell’IDF hanno ucciso più di 40 palestinesi vicino alla barriera di Gaza e ferito altri 2,200, una dozzina è considerata essere stata ferita mortalmente. Nello stesso momento in cui leggete queste parole, i numeri sono probabilmente già saliti. Il portavoce dell’IDF ha l’abitudine di sostenere che i suoi cecchini fossero “in pericolo”. Quando sentite queste parole, pensate all’operazione Speedy Express. Speedy Express venne effettuata dalla nona divisione di fanteria dell’esercito statunitense nel delta del Mekong nel 1969. L’esercito statunitense sosteneva di avere ucciso 10,899 combattenti avversari. Soffrì soltanto 244 perdite. Stando a Saigon, un giovane genio chiamato Alexander Demitri Shimkin, un veterano delle marce per i diritti civili, lasciava perplessi i suoi colleghi giornalisti con uno strano passatempo: si scomodava a leggere davvero i comunicati ufficiali e tabulava quel che c’era scritto. Dopo alcuni mesi, Shimkin mise insieme una strana statistica: la nona divisione sosteneva di avere ucciso 10,899 combattenti ma aveva catturato soltanto 748 armi. La conclusione di Shimkin era semplice: la disparità tra i morti e le armi catturate significa che la maggioranza delle persone uccise in Speedy Express non erano combattenti ma civili. Fu problematico per Shimkin trovare un editore disposto a pubblicare questo primo esempio di data journalism e il Newsweek lo pubblicó solo nel 1972. Ció nonostante la pubblicazione causò una tempesta di fuoco politica, con l’esercito statunitense forzato a prendere rifugio nella disperata affermazione che “molte unità della guerriglia non erano armate di armi”. Speedy Express dovrebbe essere una lezione per tutti i giornalisti che hanno a che fare con informazioni fornite dall’esercito (qualsiasi esercito): guarda bene ai dati e poni domande sgradevoli ma necessarie. Le domande che ogni giornalista dovrebbe fare intervistando il portavoce dell’IDF sarebbero: Quante perdite accidentali ha subito l’IDF a Gaza? Se il numero è zero (e lo è mentre queste righe vengono scritte) o quasi zero, allora le forze armate non erano in pericolo e questa non era un’operazione militare ma un massacro. Quante armi ha catturato l’IDF, o almeno ha documentato essere state usate dai palestinesi? Se il numero è zero (e attualmente lo è) o meno del numero delle persone uccise o ferite, allora almeno alcuni tra quelli colpiti non presentavano un pericolo per l’IDF. Oggi gli israeliani di sinistra si chiedevano sui social media perche l’IDF abbia sempre un’attitudine da pistola facile quando si tratta di Gaza. Purtroppo mi sa che la risposta arrivi dagli abissi della psicologia nazionale: con la loro stessa esistenza, gli abitanti di Gaza ricordano gli israeliani della Nakba, sono fantasmi che continuano a perseguitare le ammutolite “grandi notti di orrore” del 1948. Sono fantasmi che ricordano agli israeliani che il loro paese è costruito su di un enorme cimitero; per questo devono essere fatti tacere, in qualsiasi modo possibile. Quando l’IDF sostiene di fronteggiare “una minaccia” da Gaza, non intende una minaccia terrena, fisica: alcune pistole improvvisate e alcune bombe fatte a mano. Sotto la banalità di “una minaccia” si nasconde la coscienza tormentata di Lady MacBeth: “Ma, queste mani saranno mai pulite?” Link: http://mondoweiss.net/2018/05/questions-journalist-military/ 14.05.2018
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