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Israele, morte da terra e cielo di Enrico Campofreda Domenica di fuoco nella Striscia di Gaza, dove le forze speciali dell’Idf intervengono da terra e dal cielo, uccidono sette palestinesi, fra cui Nour Barakeh, comandante delle Brigate al Qassam di Hamas, perdono nell’assalto un loro ufficiale e coprono la ritirata oltre il confine, ormai insanguinato da mesi, con un’aviazione che distrugge abitazioni e amplia il panico fra gli abitanti. Il ritorno al passato delle esecuzioni mirate non è un cambio di rotta. Tel Aviv, col consenso della politica aggressiva di Trump verso i palestinesi mostrata con l’appoggio all’ipotesi di Gerusalemme capitale israeliana, ripresenta tutta la consolidata linea di sopraffazione: fucilazioni lungo il confine, bombardamenti indiscriminati sulla popolazione, rilancio dell’assassinio di personalità pubbliche sul fronte avverso. Al bastone si ripropone la carota e la vicenda viene trattata con dovizia di particolari sulla stampa locale. Yedioth Ahronoth, il quotidiano più diffuso fra gli israeliani, offre ampio risalto alla nota, già trattata da altri media, dei fondi che il Qatar ha previsto per dare conforto a due tipologie di famiglie della Striscia. Le oltre cinquantamila che risultano in condizione d’indigenza e i nuclei che contano feriti su quello che è diventato un vero fronte, il confine con Israele, a seguito della marcia per il ritorno lanciata dal 30 marzo. Le conseguenti manifestazioni, soprattutto dopo la preghiera del venerdì, hanno costellato le cronache di questi mesi con centinaia di morti e migliaia di feriti fra la popolazione gazawi. L’emirato qatarino prevede di distribuire 100 dollari per ciascuna di queste famiglie. Il governo israeliano finora ha congelato l’operazione, ma adesso si registra una diversità d’opinione fra il premier Netanyahu (favorevole) e il ministro degli Esteri (Lieberman) assolutamente contrario. Le posizioni dei due sembrano irrinunciabili, e probabilmente vanno oltre la vicenda in sé. Introducono una competizione fra i due leader, nell’ipotesi che il fondatore di Israel Beitenu, il partito dell’ultradestra sionista su cui si regge il governo, possa definitivamente fare ombra al capo del Likud, proponendosi come futuro primo ministro. Concorrenza a parte, il patto fra i falchi Bibi e Avigdor sviluppato sul terreno dell’intransigenza, prevede sempre eccessi militari, legislativi, sociali. Può, però, incrociare tattiche differenti frutto non d’una visione ideologica, peraltro comune, ma d’interpretazione utilitaristica degli eventi. Ora il denaro che il Qatar offre di far giungere nella travagliata Striscia, secondo certa stampa israeliana, servirà anche a coprire un congruo anticipo di quegli stipendi che Hamas non riesce a elargire ai dipendenti delle strutture burocratiche di Gaza. Ne scaturirebbe un tacito accordo con Hamas per una tranquillità socio-politica. Vera o falsa che sia la notizia può non incidere più di tanto sulle turbolenze, sia per la presenza d’un terzo incomodo pur minoritario (Jihad islamica), sia perché tanta gioventù si muove da sola. E anche perché con l’attacco di ieri, la stessa Hamas è sotto tiro. |