http://www.affarinternazionali.it/ 14 Mag 2018
Iran - nucleare, Trump, scelta pericolosa senza calcolo razionale di Francesco Bascone Ambasciatore d’Italia
Non è certo la prima volta che Donald Trump opera una scelta unilaterale, pericolosa per la sicurezza internazionale e irrispettosa verso i principali alleati e le Nazioni Unite; e non sarà l’ultima. Ma la decisione di ritirarsi dall’accordo con l’Iran non rientra nella politica del sacro egoismo, dell'”America first!”. In questo caso a prevalere non è l’interesse nazionale, che al contrario detterebbe il consolidamento dei passi fatti verso la non-proliferazione, il rafforzamento dei moderati al potere a Teheran, la distensione nello scacchiere mediorientale, e quindi coinciderebbe con l’interesse generale. Semplicemente, non c’è un calcolo razionale. Il filo conduttore della demolizione e della credibilità Diciamo allora che, avendo impostato la campagna elettorale sulla denigrazione di quanto fatto da Obama, e avendo quindi dichiarato che l’accordo Jcpoa era il peggior trattato mai concluso, Trump era impaziente di affondarlo per dimostrare la propria credibilità. E’ questa, infatti, la principale ossessione che guida le sue azioni. Le riserve, fin dall’inizio dei repubblicani Ai Repubblicani rimaneva un’arma: una risoluzione contraria, purché avesse raccolto 60 voti su 100. Votando compatti, e con l’apporto di alcuni democratici, arrivarono a sfiorare quella soglia, ma senza oltrepassarla. Obama, mediante una serie di incontri e telefonate con singoli senatori del suo partito era riuscito, per un pelo, a sventare quella mossa. L’azione efficace delle lobbies saudita e israeliana La prima, forte di illimitate disponibilità finanziarie, beneficia ora anche della buona intesa instauratasi fra il principe ereditario MbS e il ‘primo genero’ Jared Kushner. La seconda, da sempre più influente, ha ora l’uomo di punta nel miliardario Sheldon Adelson, il re di Las Vegas, strenuo paladino di Benjamin Netanyahu e fautore dell’uso della minaccia nucleare contro Teheran: già primo contributore della campagna elettorale di Trump, è un suo autorevole suggeritore soprattutto per le questioni mediorientali, sia direttamente che tramite il nuovo consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton. E’ stato lui a patrocinare lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, promettendo di sostenerne tutte le spese. Israele e l’ombrello strategico americano Qual è allora la logica che spinge Gerusalemme a battersi per smantellare un accordo che soddisfa una esigenza fondamentale per la sicurezza di Israele, in quanto assicura almeno per 10-15 anni il mantenimento del suo monopolio nucleare, necessario a bilanciare la sua inferiorità demografica e la mancanza di profondità strategica? La logica sta in un’altra esigenza, ancora più inderogabile: che l’America continui a garantire il suo ombrello, strategico (deterrente, fornitura delle armi più avanzate), politico (Consiglio di Sicurezza) e finanziario, astenendosi da qualsiasi pressione e anche da critiche (per l’espansione degli insediamenti, le rappresaglie sanguinose a Gaza o in Libano, i bombardamenti su obiettivi siriani o iraniani). A questo fine è importante che l’Iran appaia come una minaccia mortale alla sopravvivenza di Israele. Anche a prezzo di rendere reale questa minaccia, fomentando il rafforzamento della già potente fazione radicale a Teheran (un caso di self-fulfilling prophecy). Verso la fine della presidenza Obama si era infatti temuto a Gerusalemme che l’America considerasse cessata l’emergenza in Medio Oriente e desse esecuzione all’annunciato “pivot to Asia”, cioè un ribaltamento delle priorità. Indubbiamente ha un peso anche la connessa preoccupazione che l’Iran, liberato dalle sanzioni, si rafforzi militarmente ed abbia più risorse da spendere per armare Hezbollah. Ma è poco plausibile che un Iran azzoppato dalle sanzioni si trovi nell’impossibilità di rifornire la milizia sciita libanese e di mantenere i pasdaran in territorio siriano, o che Netanyahu lo creda. Preminenti rimangono le considerazioni politico-strategiche di cui sopra. Un’umiliazione per l’Europa Le diplomazie europee si sforzeranno di certo di convincere il governo iraniano che l’accordo multilaterale può e deve sopravvivere alla defezione di un solo co-firmatario. Ma il problema non è quello di convincere il presidente Rohani; il problema è che lo schiaffo ricevuto da Trump lo indebolisce rispetto ai suoi rivali radicali. Se, Allah non voglia, la Guida Suprema dovesse dare ragione a loro e dichiarare decaduto l’accordo a causa del ritiro americano, Trump otterrebbe una certificazione dell’irrilevanza dell’Europa. Con piena soddisfazione non solo di Netanyahu, ma anche di Putin.
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