vedi anche: http://www.reteccp.org/biblioteca/disponibili/guerraepace/guerra/yinon/yinon52.html Fonte: Alberto Negri https://www.ariannaeditrice.it/articoli/ 02/03/2018
L’ultra-centenario più potente del mondo. E colpevole di tanti disastri di Alberto Negri
Questa è la storia dell'ultra-centenario più influente del mondo, le cui idee continuano a incidere sul nostro destino. Nato in Gran Bretagna nel 1916 da famiglia di origine ebraica, Bernard Lewis si è appassionato in gioventù agli studi e alle lingue del Medio Oriente. Durante la seconda guerra mondiale prestò servizio nell'intelligence militare. Considerato uno dei massimi studiosi del Medio Oriente, è stato professore nella School of Oriental and African Studies dell'Università di Londra e professore emerito alla Princeton University. Arabista e turcologo specializzato sulla storia dei popoli islamici e nelle relazioni tra l'Islam e l'Occidente, i suoi rapporti hanno influenzato in maniera importante, se non decisiva, la politica americana dell'ultimo mezzo secolo.
Nel novembre del ’78 il presidente americano Jimmy Carter nominò il diplomatico George Ball, membro del Guppo Bilderberg e della Commissione Trilaterale capo di un task force incaricata di elaborare un rapporto sull’Iran che riferiva al Consigliere della sicurezza nazionale, il celebre Zbigniew Brzezinski. Già sottosegretario nelle amministrazioni Kennedy e Johnson, contrario all’intervento in Vietnam, spirito brillante e caustico, ex ambasciatore all’Onu, Ball assegnava ben poche chance alla dinastia Palhevi di restare sul trono del Pavone e raccomandava di sostenere l’opposizione guidata da Khomeini.
George Ball, in realtà, aveva ricalcato con abilità uno studio sul fondamentalismo islamico di uno dei massimi esperti mondiali, l’inglese Bernard Lewis, già allora professore emerito all’Università di Princeton. Il progetto di Lewis era stato reso noto durante l’incontro del Bilderberg Group nell’aprile del 1979 in Austria ed elaborato molti mesi prima della rivoluzione: il rapporto di Lewis appoggiava i movimenti radicali islamici dei Fratelli Musulmani e di Khomeini con l’intento di promuovere la balcanizzazione dell’intero Medio Oriente lungo linee tribali e religiose. Più o meno quello che è accaduto negli ultimi decenni.
Lewis sosteneva che l’Occidente dovesse incoraggiare gruppi indipendenti come i curdi, gli armeni, i maroniti libanesi, i copti etiopi, i turchi dell’Azerbaijan. Il disordine sarebbe sfociato in quello che il professore definì un “Arco di Crisi”, per poi diffondersi anche nelle repubbliche musulmane dell’Unione Sovietica. L’espressione “arco della crisi”, coniata da Lewis, ebbe un’enorme fortuna, fu ripresa da Brzezinski insieme alla teoria di utilizzare l’Islam in funzione antisovietica e si diffuse sui media.
L’Iran, sfortunatamente per l’amministrazione Carter, si rivelò più un problema per gli Stati Uniti che per Mosca ma l’invasione dell’Afghanistan da parte dell’Armata Rossa nel dicembre ’79 diede un impulso straordinario alla teoria di Lewis: gli Stati Uniti con l’appoggio militare e logistico del Pakistan e quello finanziario dell’Arabia Saudita armarono migliaia di mujaheddin che inchiodarono i russi nel Jihad, una “guerra santa” decennale, un conflitto disastroso che nell’89 costrinse i sovietici a ritirarsi.
Vent’anni dopo la rivoluzione iraniana, Bernard Lewis, ispiratore del non intervento americano a favore dello Shah nel ’79, è stato probabilmente l’intellettuale più influente nella decisione americana di invadere l’Iraq nel 2003. Il presidente George Bush jr circolava con i suoi saggi e articoli sottolineati dai collaboratori nei passaggi più significativi. Nel ’78 Lewis pensava di utilizzare gli islamici in funzione anti-sovietica, poi fu il più strenuo sostenitore della necessità di rovesciare Saddam Hussein: lo definì “un passo decisivo per dare una spinta modernizzatrice a tutto il Medio Oriente”.
Tutti i neo conservatori dell’amministrazione Bush andarono a lezione da lui e nel 2007, all’American Enterprise Institute, Lewis _ che oggi ha 101 anni _ fu accolto con una standing ovation guidata dal vicepresidente Dick Cheney. “Se avremo successo nell’abbattere il regime iracheno e iraniano _ aveva scritto Lewis nel 2002 _ vedremo a Baghdad e Teheran scene di giubilo ancora maggiori di quelle seguite alla liberazione di Kabul”. Purtroppo né a Kabul né a Baghdad ci furono le manifestazioni gioiose immaginate dal professor Lewis, che durante la seconda guerra mondiale fu anche al servizio di Sua Maestà nell’ intelligence britannica, dal 1941 al ’45.
Quello che colpisce non sono le previsioni sbagliate ma i discorsi che hanno accompagnato le azioni americane in Medio Oriente. Più che confortare le fantasiose teorie del complotto, questi studi e rapporti sul “nuovo” Medio Oriente rispondevano alla necessità evidente dell’Amministrazione di Washington _ democratica o repubblicana che fosse _ di giustificare “a posteriori” le proprie azioni davanti ai media e all’opinione pubblica, senza sapere prima dove si andasse a parare. Come nel ’78 per l’Iran, gli Stati Uniti in Iraq non avevano nessun piano concreto, a parte quello puramente militare. A meno che non si volessero chiamare “piani” la montagna di carta accumulata nella Zona Verde di Baghdad, dove un battaglione di burocrati parlava di un Iraq immaginario, che non vedeva mai. Oggi con la Siria è la stessa cosa: dopo avere partecipato alla battaglia contro l’Isis in Iraq e in Siria, l’amministrazione Usa non sa cosa fare. Sostiene i curdi siriani ma non vuole scontrarsi con la Turchia di Erdogan, alleato della Nato ma arci-nemico dei curdi e alla fine lascia che a proteggerli siano le truppe di Assad, cioè dell’uomo che qualche anno fa gli americani, con arabi e turchi, avrebbero voluto abbattere dando il via libera all’afflusso di migliaia di jihadisti in Siria.
L’aspetto più sconfortante di questi piani americani, apparentemente sofisticati, e delle dotte analisi che circolano tra lobby e think tank non è soltanto il loro fallimento alla prova dei fatti. E’ che ad ascoltare le relazioni degli esperti, talora bravissimi, ci sono persone che poi sui media discettano di argomenti che non conoscono e di luoghi che non hanno mai visto, formando poi con i loro interventi l’opinione pubblica occidentale. Più che alle teorie sui complotti, anche queste elaborate di solito “dopo” gli eventi, bisogna fare attenzione alla disinformazione quotidiana. Non solo l’America nel 1979 perse un alleato chiave ma nel 2003, eliminato il potere secolare dei sunniti, consegnò il governo dell’Iraq agli sciiti, il 60% della popolazione, C’è da stupirsi se oggi la potenza straniera più influente in Iraq e in Siria sia, con la Russia, proprio l’Iran?
Ma nella regione più turbolenta del mondo si trova sempre qualche asso da giocare. Questa volta è Benjamin Netanyahu, il premier israeliano, che agitando un pezzo di drone iraniano, vorrebbe fare la guerra a Teheran. Ma questa volta, forse, nessuno abboccherà all’amo come accadde nel 2003 con la “pistola fumante” esibita all’Onu dal segretario di Stato Usa Powell, le prove delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein che non furono ami trovate. Fu quella la “madre di tutte le bufale”, oggi elegantemente chiamate anche qui da noi le “fake news”.
|