Originale: Truthout http://znetitaly.altervista.org/ 22 novembre 2018
La politica statunitense definita dalla depravazione morale di Noam Chomsky e CJ Polychroniou traduzione di Giuseppe Volpe Le elezioni statunitensi di medio termine del 6 novembre 2018 hanno prodotto un Congresso diviso e hanno essenzialmente riaffermato l’esistenza di due nazioni in un solo paese. Ma anche rivelato, ancora una volta, il profondo stato di depravazione morale e politica che prevale nella cultura politica del paese, almeno per quanto riguarda le campagne politiche. Nell’intervista esclusiva qui di seguito, lo studioso e intellettuale pubblico di fama mondiale Noam Chomsky discute come i maggiori temi che hanno di fronte gli Stati Uniti e il mondo in generale sono stati a malapena affrontati dalla maggioranza dei candidati di entrambi i partiti. CJ Polychroniou: Noam, mentre ancora di discute dei vincitori e dei perdenti nelle elezioni di medio termine del 2018 (e c’è chiaramente molto da dire su che cosa significhino tali elezioni) quali ritieni siano le caratteristiche che più colpiscono nella più recente manifestazione della democrazia statunitense in azione? Noam Chomsky: Le caratteristiche che colpiscono di più sono di una chiarezza brutale. L’umanità fronteggia due minacce esistenziali imminenti: la catastrofe ambientale e la guerra nucleare. Esse sono state virtualmente ignorate nella retorica elettorale e nella copertura generale. Ci sono state un mucchio di critiche dell’amministrazione Trump, ma a malapena una parola riguardo alle posizioni di gran lunga più nefaste assunte dall’amministrazione: l’aumento della minaccia già tragica della guerra nucleare e la corsa a distruggere l’ambiente fisico di cui la società umana organizzata ha bisogno per sopravvivere. Queste sono le questioni più cruciali e urgenti sorte in tutta la storia umana. Il fatto che siano state scarsamente apparse nella campagna è davvero sbalorditivo e reca con sé alcune lezioni importante, anche se sgradevoli, riguardo alla nostra cultura morale e intellettuale. Di certo non tutti hanno ignorato queste materie. Sono state centrali per quelli che sono costantemente vigili nella loro dura lotta di classe per preservare il loro immenso potere e i loro immensi privilegi. Diversi stati hanno avuto importanti iniziative elettorali che hanno affrontato l’incombente catastrofe ambientale. L’industria dei combustibili fossili ha speso somme enormi, a volte da record, per sconfiggere le iniziative – compresa un’imposta sul carbonio nello stato prevalentemente Democratico di Washington – e per la maggior parte ha avuto successo. Dovremmo riconoscere che questo sono crimini contro l’umanità straordinari. Proseguono con scarsa menzione. I Democratici hanno contribuito a sconfiggere queste iniziative crucialmente importanti ignorandole. Le hanno a malapena menzionate “in inserzioni digitali o televisive, nelle loro pubblicazioni elettorali o sui media sociali”, ha rilevato un’indagine del New York Times. Né, ovviamente, sono state citate dai Repubblicani, la cui dirigenza è dedita a spingere quanto prima possibile l’umanità oltre ciglio del burrone, nella piena consapevolezza di quel che sta facendo, come facilmente dimostrato. L’articolo del Times prosegue spiegando che “attivisti ambientalisti e politologi affermano che si tratta di un riflesso della perpetua bassa posizione del problema tra gli elettori, anche elettori Democratici, e dell’intensa polarizzazione lungo linee di partito che si è sviluppata riguardo al riscaldamento globale”. L’articolo ha mancato di aggiungere che tale valutazione è un’incredibile messa in stato d’accusa del paese e delle sue istituzioni politiche, sociali, economiche e mediatiche, le quali tutte, questo afferma la valutazione, sono precipitate a un tale livello di depravazione che la questione se la società umana organizzata possa sopravvivere in una qualsiasi forma minimamente tollerabile nel prossimo futuro è di scarsa importanza. Non possiamo essere certi che tale messa in stato d’accusa inespressa sia corretta. E’ forse di qualche significato che un solo candidato Democratico, Sean Casten, ha fatto svoltare un distretto Repubblicano facendo dell’incombente disastro climatico il punto centrale della sua campagna. C’è un mucchio di concorrenza quanto a depravazione morale nell’attuale straordinario momento della storia umana. Forse il primo premio va alla burocrazia, forse in onore di Kafka: all’agenzia nazionale sulla sicurezza del traffico di Trump. Giusto nel mezzo della campagna ha prodotto uno studio dettagliato che sollecitava la fine delle norme sulle emissioni con una tesi razionale: estrapolando le tendenze correnti risulta che entro la fine del secolo la partita sarà finita. Le emissioni automobilistiche non contribuiscono molto alla catastrofe, dunque non c’è alcun motivo per cercare di limitarle. In breve, rubiamo mentre il pianeta brucia, mettendo in ombra il povero Nerone. Questo si qualifica sicuramente come sfidante nella gara per il documento più disgraziato della storia. Di nuovo, non un tema nella campagna. Ci sono stati molti mostri nel passato… ma sarebbe difficile trovarne uno dedicato a minare le prospettive di sopravvivenza della società umana organizzata, non in un futuro distante, a fine di mettere qualche altro dollaro in tasche già strapiene. E’ difficile trovare parole per descrivere quel che sta succedendo sotto i nostri occhi. Lo stesso vale per la seconda minaccia realmente esistenziale: la guerra nucleare. Alcune settimane prima dell’elezione Trump ha annunciato che gli USA si stavano ritirando dal trattato INF, che eliminava i missili a breve raggio dispiegati in Europa occidentale e in Russia, armi estremamente pericolose che hanno solo pochi minuti di volo per arrivare a Mosca, ponendo una minaccia di esecuzione capitale, un attacco improvviso che distruggerebbe qualsiasi possibilità di reazione. Ciò, naturalmente, accresce pesantemente il pericolo di una reazione nucleare ad allarmi lanciati da sistemi automatizzati che spesso hanno sbagliato in passato, mettendo fine a tutti noi. Chiunque abbia familiarità con i precedenti sa che è virtualmente un miracolo se sinora abbiamo evitato una guerra nucleare terminale. La minaccia, che era già grave, è stata accresciuta dalla revisione dell’atteggiamento sul nucleare da parte di Trump che ha autorizzato nuove armi destabilizzanti e abbassato la soglia per un attacco nucleare. La mossa più recente accresce ulteriormente la minaccia. Scarse le menzioni durante la campagna elettorale o nella sua copertura. Gli USA si stanno ritirando dal trattato perché la Cina non ne è partner e i russi l’hanno violato; questi ultimi a loro volta affermano che sono stati gli USA a violarlo. E’ semplice come affrontare questi problemi: attraverso ispezioni e diplomazia, nessuna delle quali è stata tentata. Piuttosto aumentiamo spensieratamente la minaccia di una distruzione totale. E ignoriamo tutto questo nelle vaste esternazioni della campagna politica. Di nuovo, dobbiamo porre alcune domande serie riguardo alla cultura morale e intellettuale prevalente, e riguardo all’urgenza di fornire rimedi, al più presto. Mettiamo da parte quelle che sono semplicemente le questioni più significative della storia umana e passiamo al regno del dibattito. Un fatto impressionante riguardo all’elezione è che essa ha dimostrato ancora una volta l’incapacità del Partito Democratico, nel suo complesso, di occuparsi dei problemi che contano per i lavoratori. Anche se i lavoratori di colore hanno largamente appoggiato il Partito Democratico, ancor più del passato, il partito ha perso la popolazione bianca non laureata. Per di più ciò pare di scarso interesse, almeno per i leader del Partito Democratico, i “Democratici di Wall Street” come sono a volte chiamati. Sono stati entusiasti dei loro successi nei quartieri benestanti, dove gli elettori normalmente Repubblicani sono stati disgustati dalla volgarità di Trump. Che gli sproloqui di Trump siano naturali o costruiti essi mantengono in linea il suo elettorato della classe lavoratrice bianca, mentre il suo partito lo accoltella alla schiena ad ogni svolta, servendo contemporaneamente il suo elettorato vero, la grande ricchezza e il potere industriale, con una dedizione impressionante. Il tradimento degli USA lavoratori difficilmente potrebbe essere più chiaro, anche se, per fortuna, alcuni si stanno liberando dalla slealtà. Una caratteristica positiva delle elezioni di medio termine è stata il successo di un gruppo diversificato di giovani candidati progressisti, prevalentemente donne, un tributo all’attivismo popolare degli anni recenti e un segnale ottimistico per il futuro, se riuscirà ad espandersi e a fiorire. A livello superficiale pare che il successo di Trump presso gran parte dell’elettorato possa essere attribuito ad appelli razzisti e xenofobi, particolarmente riguardanti l’imminente minaccia di un’”invasione” da parte di orde di terroristi e criminali in avvicinamento ai nostri confini su cui egli ha concentrato i suoi sbrocchi fino all’elezione, poi abbandonando il tema quando non era più necessario per schierare i fedeli. Pochi sembrano aver ricordato che Trump stava usando una pagina del copione di Reagan. Nel 1985 il nostro intrepido leader indossò i suoi stivali da cowboy e dichiarò un’emergenza nazionale perché truppe nicaraguensi erano a due giorni di macchina da Harlingen, Texas, e la gente non è morta dal ridere. Trump ha fatto una mossa simile avvertendo che se i fuggitivi dalla miseria e dall’oppressione (miseria e oppressione delle quali siamo in larga misura responsabili) raggiungeranno i nostri confini cercheranno di ucciderci tutti. Milizie pesantemente armate si sono dirette al confine per appoggiare le migliaia di soldati dispiegati a difenderci e pare che la cosa abbia funzionato. Indagini riferiscono che la gente ha effettivamente votato a favore di Trump perché solo lui poteva difenderci dalla distruzione da parte di queste orde criminali. Anche in questo ci sono delle lezioni. Ma quando ci chiediamo perché la strategia di Trump funziona, troviamo qualcosa di più profondo che si estende praticamente a tutto il mondo, con particolarità da luogo a luogo. In condizioni di difficoltà economiche, di disprezzo giustificato per le istituzioni e di rabbia e risentimento comprensibili riguardo a ciò che è stato fatto loro, le persone possono diventare facile preda di demagoghi che indirizzano la loro rabbia verso capri espiatori, solitamente quelli ancor più vulnerabili e di chi incoraggia i sintomi che tendono a salire in superficie in tali circostanze. Ciò è successo in tutto il mondo. Lo vediamo in elezione dopo elezione in molti paesi, e in altri modi. Negli Stati Uniti i lavoratori hanno subito quarant’anni di stagnazione mentre la ricchezza si concentra in pochissime mani, determinando una disuguaglianza impressionante. I Democratici hanno ignorato tutto questo e, peggio, hanno attuato le politiche neoliberiste decollate con Reagan e Thatcher e hanno imposto queste conseguenze progettualmente. E per i progettisti i programmi neoliberisti sono stati brillantemente vincenti, in modi che non è necessario passare in rassegna qui. Nonostante la bassa disoccupazione, la crescita dei salari, dopo un aumento nel 2014-15, oggi a malapena è al passo con l’inflazione mentre i profitti delle imprese volano alle stelle, particolarmente per le istituzioni finanziarie predatrici, emerse dalla crisi, della quali erano responsabili, ancor più ricche e potenti di prima. Un effetto collaterale è che la ricchezza del paese è trasferita da ricerca e sviluppo, innovazione e sviluppo di prodotti, a transazioni finanziarie nell’interesse dei ricchissimi. Bene per loro, ma disastroso per la salute e per il futuro della società. La concentrazione della ricchezza e il rafforzamento del potere delle grandi imprese si traducono automaticamente nel declino della democrazia. La ricerca nelle scienze politiche accademiche ha rivelato che una vasta maggioranza di elettori è letteralmente emarginata per il fatto che i suoi stessi rappresentanti non presta alcuna attenzione ai suoi desideri ma ascolta le voci della classe dei donatori. E’ inoltre ben stabilito che le elezioni sono praticamente comprate: l’eleggibilità, e dunque la politica, è prevedibile con rimarchevole precisione dalla singola variabile della spesa elettorale, sia per l’esecutivo sia per il Congresso. Il lavoro di Thomas Ferguson è particolarmente rivelatore, ritornando all’elezione del 2016 e includendola. E quello è solo l’inizio. Le leggi sono comunemente plasmate, persino scritte, da lobbisti delle imprese, mentre gli eletti che le firmano hanno gli occhi sui finanziamenti per l’elezione successiva. Le elezioni di medio termine hanno evidenziato altri sviluppi sinistri. I Repubblicani hanno aumentato la loro maggioranza al Senato, con a malapena il 40 per cento dei voti espresso. Oggi 60 senatori sono eletti da stati con il 25 per cento della popolazione, il che significa circa il 15 per cento del voto (prevalentemente rurale, bianco, religioso, scettico della scienza, pesantemente armato). E la tendenza sta crescendo. E’ difficile vedere come possa essere evitata una qualche forma di conflitto civile a meno che i Democratici non invertano di netto il corso e diventino un partito politico che non abbandona semplicemente la classe lavoratrice al suo duro nemico di classe, come hanno fatto per quarant’anni. Come spieghiamo il fatto che mentre la politica statunitense pare più incattivita, più polarizzata e più divisa che in qualsiasi altro momento della storia recente, entrambi i partiti evitano di affrontate i temi più cruciali che affrontano il paese e il mondo in generale? Nel 1895 il gestore molto vincente di campagne elettorali Mark Hanna disse notoriamente: “Ci sono due cose che sono importanti in politica. Il prima è il denaro e non riesco a ricordarmi quale sia la seconda”. Quelli che controllano la ricchezza del paese hanno le loro priorità specifiche, principalmente l’auto-arricchimento e il rafforzamento del potere decisionale. E queste sono le priorità che prevalgono in una democrazia neoliberista con il pubblico seccante scartato nelle stanze sul retro, dov’è il suo posto. Gli amministratori delle banche maggiori comprendono sicuramente la straordinaria minaccia della catastrofe ambientale ma stanno aumentando gli investimenti in combustibili fossili perché è lì che stanno i soldi. Come le imprese dell’energia, non sono certo ansiosi di appoggiare candidati che avvertono dei gravi crimini che loro stanno commettendo. La Lockheed-Martin e i suoi compagni sono ben felici di vedere vasti aumenti del bilancio militare e sono certamente deliziati di dichiarazioni quali la nuova Strategia della Difesa Nazionale dell’amministrazione Trump, appena pubblicata dall’Istituto Statunitense per la Pace (priva del senso dell’ironia, la burocrazia è molto felice di caricaturare Orwell). Il fosco documento avverte che il nostro esercito pericolosamente impoverito, che quasi schiaccia il resto del mondo messo insieme, potrebbe non essere in grado di prevalere in una guerra su due fronti contro Russia e Cina. Naturalmente né l’industria militare né i distinti autori del rapporto credono che una simile guerra possa essere mai combattuta senza una distruzione terminale, ma è un gran modo di travasare soldi da assurdità quali la salute e l’istruzione alle tasche meritorie dei capitani dell’industria e della finanza. Non sono molte le figure politiche che oseranno scartare tali grandiose minacce alla nostra sicurezza. Quanto all’incattivimento, esso è largamente una conseguenza della svolta a destra di entrambi i partiti durante gli anni neoliberisti con i Democratici che sono diventati quelli che sono stati chiamati “Repubblicani moderati” (o spesso peggio) e i Repubblicani alla deriva fuori dallo spettro, con una devozione alla ricchezza e al potere delle imprese così estrema che non hanno possibilità di vincere elezioni sulla base delle loro effettive politiche. Sono stati perciò costretti a mobilitare elettorati su “temi culturali”, deviando l’attenzione dalle politiche reali. Per mantenerli in riga è naturale per la dirigenza demonizzare l’opposizione politica non semplicemente come sbagliata bensì come intenta a demolire i suoi valori più profondamente sentiti, e per questo a ricorrere al disprezzo per i “deplorevoli”. Presto gli antagonismi degenerano in conflitto. Ci sono molti esempi di come la dirigenza Repubblicana ha cercato di organizzare un elettorato, alcuni dei quali abbiamo discusso in precedenza. Un caso rivelatore è il diritto all’aborto. Negli anni ’60 il Partito Repubblicano era fortemente a favore della libertà di scelta, compresa la dirigenza (Reagan, Ford, George H.W. Bush e altri). Lo stesso gli elettori. Nel 1972 due terzi dei Repubblicani ritenevano che l’aborto fosse una questione privata, senza alcun coinvolgimento governativo. Nixon e compagni si resero conto che potevano attirare il voto cattolico, tradizionalmente Democratico, adottando un programma antiabortista. Successivamente negli anni ’70 gli evangelici hanno cominciato a organizzarsi per l’azione politica. Tra le loro richieste c’era il mantenimento di scuole segregate. L’operativo Repubblicano Paul Weyrich riconobbe un’opportunità. Un appello aperto alle scuole segregate non avrebbe funzionato, ma se il Partito Repubblicano avesse finto di opporsi all’aborto avrebbe potuto raccogliere in grande voto evangelico, a quel punto una parte centrale della base elettorale di Trump. La dirigenza, in conseguenza, si trasformò in promotrice appassionata della “difesa della vita”, compresi quelli che a volte si ritiene abbiano un certo carattere e onestà, come Bush I, che si adeguarono al resto. Contemporaneamente il vero elettorato del Partito Repubblicano resta la grande ricchezza e il potere delle imprese, ancor più spettacolarmente sotto Trump. E’ un notevole risultato servire questo elettorato reale con dedizione mantenendo contemporaneamente la presa sulla base elettorale. Con l’arretramento della loro base elettorale i leader Repubblicani capiscono che il partito sta diventando di minoranza, ed è per questo che sono impegnati a trovare modi di soppressione dei votanti e di colmare i tribunali di reazionari che appoggeranno i loro sforzi. Andrebbe anche notato che l’opinione popolare è diversa da quella della dirigenza del partito su molti temi centrali. Ma, come già detto, poiché la maggioranza della popolazione è emarginata, ciò non importa molto. Per fare solo un esempio, per quarant’anni di sondaggi la popolazione ha fortemente favorito tasse più alte ai ricchi, mentre le tassi ai ricchi diminuiscono. Bernie Sanders è stato rieletto al Senato mentre la sua protetta Alexandria Ocasio-Cortez ha conseguito una vittoria formidabile contro il suo avversario Repubblicano per il quattordicesimo distretto di New York ed è divenuta, di fatto, la donna più giovane eletta al Congresso. In realtà ci sono alla Camera probabilmente tanti Democratici socialisti quanti conservatori, dunque la domanda è se i progressisti dovrebbero proseguire a formare un terzo partito o cercare di cambiare il Partito Democratico dall’interno. Qual è la tua idea su questo? Nel diciottesimo secolo, nonostante i suoi estremi difetti, il sistema costituzionale statunitense era un grande passo avanti nella partecipazione democratica rispetto all’Europa. Persino il concetto di “noi, il popolo”, anche se esageratamente fuorviante, era una svolta concettuale. Negli anni, tuttavia, secondo parametri comparativi il sistema si classifica sempre più come molto regressivo. E’ dubbio, ad esempio, che l’Europa ammetterebbe come suo nuovo membro un paese con il sistema statunitense. In particolare, il sistema è radicalmente truccato contro qualsiasi sfida al duopolio governativo. Sviluppare una base per un terzo partito richiederebbe uno sforzo serio e sostenuto di mobilitazione popolare, non impossibile ma oggi non all’orizzonte. Sembra che ci siano effettivamente possibilità di cambiare il carattere del Partito Democratico, almeno riportandolo alle sue origini moderne del New Deal e oltre (è già considerevolmente oltre per certi aspetti come risultato dell’effetto civilizzatore dell’attivismo degli anni ’60 e successivo). Ci sono possibilità di sviluppo di partiti indipendenti, partendo a livello locale, adottando politiche di fusione per elezioni più generali, forse conquistando un seguito sufficiente a prendere parte più attivamente al sistema politico. Ma non dovremmo mai dimenticare che la politica elettorale, anche se non da buttare, non dovrebbe essere il principale oggetto di una seria azione politica radicale, che miri a cambiare le istituzioni fondamentali che sostengono il sistema politico, a smantellare le ideologie egemoni e a contribuire a sviluppare il genere di coscienza di massa che deve essere la base di un cambiamento sociale e politico estremamente, persino disperatamente, necessario. Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/moral-depravity-defines-us-politics/
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