Originale: Truthdig

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7 agosto 2018

 

Fascismo neoliberista ed echi della storia

di Henry A. Giroux

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Gli incubi che hanno plasmato il passato e attendono di tornare appena sotto la superficie della società statunitense sono in procinto di seminare nuovamente il caos tra di noi. Gli Stati Uniti sono arrivati a un incrocio peculiare nel quale i principi e le pratiche di un passato fascista e di un presente neoliberista si sono fusi per produrre quello che Philip Roth ha chiamato una volta “il terrore dell’inatteso”.

 

Dagli anni ’70 la società statunitense vive sotto la maledizione del neoliberismo o di quello che può essere chiamato lo stadio più estremo del capitalismo predatorio. Come parte di un più vasto disegno complessivo, l’obiettivo prioritario del neoliberismo consiste nel consolidare il potere nelle mani dell’élite finanziaria. Come modo di razionalità funziona pedagogicamente in molteplici spazi culturali per assicurare che non possa essere immaginata o costruita alcuna alternativa al suo modo di governo.

 

Centrale nella sua filosofia è l’assunto che il mercato guidi non solo l’economia ma anche l’intera vita sociale. Interpreta il conseguimento del profitto come l’essenza della democrazia e i consumi come la sola forma esercitabile dell’agire. Ridefinisce identità, desideri e valori attraverso una logica di mercato che favorisce l’egoismo, un’etica della sopravvivenza dei più adatti e di individualismo sfrenato. Sotto il neoliberismo la competizione interminabile e risucchiatrice di vita è un concetto centrale per definire la libertà umana.

 

Come politica economica crea un mercato onnicomprensivo guidato dai principi della privatizzazione, della liberalizzazione, della mercificazione e del libero flusso del capitale. Promuovendo questi programmi indebolisce i sindacati, ridimensiona radicalmente lo stato sociale e conduce un assalto ai beni pubblici. Mentre lo stato viene svuotato, le grandi imprese assumono le funzioni del governo, imponendo severe misure d’austerità, ridistribuendo la ricchezza verso l’alto ai ricchi e potenti e rafforzando un’idea della società come fatta da vincitori e perdenti. In parole semplici, il neoliberismo dà campo libero al capitale finanziario e cerca di liberare il mercato da qualsiasi limitazione imposta dallo stato. Oggi i governi esistono prevalentemente per massimizzare i profitti, le risorse e il potere dei ricchi.

 

Come programma politico svuota il governo di ogni sostanza e denuncia qualsiasi idea vitale del contratto sociale. Inoltre il neoliberismo produce diffusa miseria e sofferenza, indebolendo ogni vestigia di democrazia che interferisca con la sua visione di un mercato che si autodisciplina.

 

Dal punto di vista teorico il neoliberismo è spesso associato all’opera di Friedrich August von Hayek e alla Mount Pelerin Society, a Milton Friedman e alla scuola di economia di Chicago e più notoriamente alla politica di Augusto Pinochet in Cile, del presidente Ronald Reagan negli Stati Uniti e del primo ministro Margaret Thatcher in Gran Bretagna. Politicamente è sostenuto da vari gruppi di esperti quali la Heritage Foundation e da miliardari quali i fratelli Koch.

 

L’odio del neoliberismo per la democrazia, il bene comune e il contratto sociale ha scatenato elementi generici di un passato fascista nel quale la supremazia dei bianchi, l’ultranazionalismo, la misoginia rabbiosa e il fanatismo nei confronti dei migranti si uniscono in una miscela tossica di militarismo, violenza dello stato e politica della spendibilità. Modi di espressione fascista si adattano variamente a differenti contesti politici storici assicurando forme di quasi apartheid razziale negli Stati Uniti postbellici e pubblici campi e stermini nella Germania nazista. Il fascismo, nella sua indiscutibile fede nell’obbedienza a un uomo forte potente, la violenza come forma di purificazione politica, l’odio come atto di patriottismo, la pulizia etnica e razziale e la superiorità di un gruppo etnico o nazionale, sono riemersi negli Stati Uniti. In questa miscela di barbarie economica, nichilismo politico, purezza razziale, ortodossia economica e sonnambulismo etico è stata prodotta una formazione politico-economica che io definisco fascismo neoliberista.

 

Neoliberismo come nuovo fascismo

La guerra contro la democrazia liberale è divenuta un fenomeno globale. Regimi autoritari si sono diffusi dalla Turchia, Polonia, Ungheria e India agli Stati Uniti e a numerosi altri paesi. Movimenti populisti di destra sono in marcia, vomitando una miscela velenosa di ultranazionalismo, suprematismo bianco, antisemitismo, islamofobia e xenofobia. Il linguaggio del declino nazionale, dell’umiliazione e della demonizzazione alimenta proposte e politiche pericolose mirate alla purificazione razziale e alla suddivisione sociale promuovendo una mascolinizzazione dell’agire e un militarismo evocativo di dittature del passato. Nella situazione attuale, le forze che hanno prodotto le storie della violenza di massa, della tortura, del genocidio e del fascismo non sono state lasciate alle spalle. Conseguentemente è stato più difficile sostenere che l’eredità del fascismo non ha nulla di insegnarci riguardo a come “la questione del fascismo e del potere appartiene chiaramente al presente”. Il fascismo ha molte storie, per la maggior parte collegate a democrazie fallite in Italia e Germania negli anni ’30 e al rovesciamento di governi democratici dall’esercito, come in Argentina e in Cile negli anni ’70. Inoltre la storia tra fascismo e populismo comporta una miscela complessa di relazioni nel tempo. Ciò che è distintivo del fascismo di questo millennio è che la sua storia di “un ordine totalitario violento che ha condotto a forme radicali di violenza politica e genocidio” è stata ammorbidita da tentativi di ricalibrare la sua eredità postbellica a un registro meno liberaldemocratico. Ad esempio, in Ungheria, Turchia, Polonia e in numerosi altri stati fascisti emergenti l’espressione “democrazia illiberale” è usata come espressione in codice per sostituire presumibilmente una “forma ritenuta fuori moda di democrazia liberale”. In realtà l’espressione è utilizzata per giustificare una forma di autoritarismo populista il cui obiettivo consiste nell’attaccare le fondamenta stesse della democrazia. Questi sostegni fascisti si stanno espandendo anche negli Stati Uniti. Nel copione spaccone del presidente Donald Trump il concetto di “popolo” è divenuto uno strumento retorico per legittimare un movimento di massa di destra a sostegno di un ritorno ai bei vecchi tempi dell’apartheid statunitense.

 

Mentre le idee, i valori e le istituzioni cruciali per una democrazia si sono avvizziti sotto un neoliberismo feroce in costruzione da cinquant’anni, concetti fascisti di superiorità razziale, pulizia sociale, populismo apocalittico, iper-militarismo e ultranazionalismo hanno guadagnato intensità, passando dai recessi repressi della storia statunitense al centro del potere dello stato e delle imprese. Decenni di disuguaglianza di massa, schiavitù del salario, crollo del settore manifatturiero, regali fiscali all’élite finanziaria e feroci politiche di austerità che muovono un attacco frontale allo stato sociale hanno ulteriormente rafforzato discorsi fascisti. Hanno anche reindirizzato la rabbia populista contro popolazioni vulnerabili e immigrati privi di documenti, mussulmani, i razzialmente oppressi, le donne, le persone LBGTQ, i dipendenti pubblici, gli intellettuali critici e i lavoratori. Non solo il neoliberismo ha minato gli elementi fondamentali della democrazia intensificando le dinamiche mutualmente rafforzantesi della disuguaglianza economica e della disuguaglianza politica, accentuando la spirale al ribasso della mobilità sociale ed economica – ma ha anche creato condizioni che rendono le idee e i principi fascisti più attraenti.

 

In queste circostanze in accelerazione, il neoliberismo e il fascismo  si uniscono e progrediscono in una movimento comodo e mutualmente compatibile che collega i peggiori eccessi del capitalismo con gli ideali autoritari dell’”uomo forte”: la venerazione della guerra, l’odio della ragione e della verità, una celebrazione dell’ultranazionalismo e della purezza razziale, la soppressione della libertà e del dissenso, una cultura che promuove menzogne, spettacoli, capri espiatori, un discorso in deterioramento, violenza brutale e alla fine l’eruzione della violenza dello stato in forme eterogenee.

Nell’amministrazione Trump il fascismo neoliberista è sotto steroidi e rappresenta una fusione delle peggiori dimensioni ed eccessi del capitalismo delinquenziale con gli ideali fascisti del nazionalismo bianco e della supremazia razziale associati agli orrori del passato. La trasformazione strutturale neoliberista ha minato e riconfigurato “i principi, le pratiche, le culture, i soggetti e le istituzioni della democrazia intesa come governo del popolo”.  Dai primi anni ’70 il progetto neoliberista si è trasformato in una rivolta contro i diritti umani e la democrazia e ha creato una narrazione potente che riconfigura la libertà e l’autorità in modo da legittimare e produrre grandi iniquità in ricchezza e potere. Le sue pratiche di delocalizzazione e ristrutturazione di ogni cosa in accordo con i dettami dei margini di profitto, tagliando la tassazione progressiva, eliminando la disciplina delle imprese, consentendo privatizzazioni incontrollate e la continua commercializzazione di tutte le interazioni sociali “infliggono una miseria alienante” a un sistema di governo nuovamente vulnerabile a ideali e retoriche fasciste e a movimenti politicamente estremisti.

 

Inoltre la fusione di neoliberismo e fascismo è accelerata con l’erosione della cultura civica, la scomparsa di concetti di cittadinanza e responsabilità condivise e la sostituzione della ragione e del giudizio informato con le forze dell’analfabetismo civico. Attacchi avallati dallo stato alla verità, ai fatti e alla ragione scientifica negli Stati Uniti di Trump sono camuffati come ci si aspetterebbe quando guidati dal primo presidente dei reality televisivi, da una cultura di volgarità controllata dalle imprese che fonde la cultura della celebrità con uno spettacolo ininterrotto di violenza. Il neoliberismo spoglia la democrazia di ogni sostanza promuovendo una fede irrazionale nella capacità del mercato di risolvere tutti i problemi sociali e di modellare tutti gli aspetti della società. Questa svolta da un’economia di mercato a una società guidata dal mercato è stata accompagnata da un attacco feroce all’uguaglianza, al contratto sociale e a provvidenze sociali mentre i salari sono stati abbattuti, le pensioni distrutte, l’assistenza sanitaria posta fuori portata per milioni di persone, la sicurezza del lavoro minata e l’accesso a beni pubblici cruciali, come l’istruzione pubblica e superiore, considerevolmente indebolito per le classi inferiori e medie.

Nell’attuale momento storico, il neoliberismo costituisce più che una forma di iper-capitalismo; esso denota anche la morte della democrazia se non della politica stessa. L’articolazione di Anis Shivani della minaccia che il neoliberismo pone alla democrazia merita di essere cita per esteso:

 

Il neoliberismo ritiene che i mercati siano di per sé autosufficienti, che non abbiano necessità di disciplina e che siano i migliori garanti del benessere umano. Tutto ciò che promuove il mercato, cioè privatizzazioni, liberalizzazioni, mobilità della finanza e del capitale, abbandono dell’assistenza sociale offerta dal governo e la nuova concezione degli esseri umani come capitale umano, deve essere incoraggiato, mentre tutto ciò che si presume riduca il mercato, cioè servizi governativi, disciplina, restrizioni alla finanza e al capitale, e la concezione degli esseri umani in termini trascendenti, deve essere scoraggiato. Un modo per sintetizzare il neoliberismo consiste nell’affermare che tutto – tutto – deve essere rimodellato a immagine del mercato, compresi stato, società civile e naturalmente esseri umani.  La democrazia finisce reinterpretata come il mercato e la politica soccombe alla teoria economica neoliberista, dunque stiamo parlando della fine della politica democratica come l’abbiamo conosciuta nel corso di due secoli e mezzo.

 

Ciò che è particolarmente distintivo riguardo al congiungimento di neoliberismo e fascismo è il modo in cui la liberazione a tutto campo del capitale oggi si fonde con un attacco totale alle popolazioni razzialmente oppresse e vulnerabili considerate sacrificabili. Non solo le oppressive strutture politiche, economiche e finanziario del capitalismo d’azzardo gravano sulle vite delle persone, ma c’è anche un attacco frontale alle intese e alle convinzioni che tengono insieme un popolo. Uno spazio cruciale e distintivo nel quale neoliberismo e fascismo convergono è nel minare i legami sociali e i confini morali. Cacciate, disintegrazione, atomizzazione, isolamento e sradicamento sociali hanno una lunga storia negli Stati Uniti che è stata aggressivamente sfruttata da Trump, assumendo un distintivo registro di destra del ventunesimo secolo. C’è qui all’opera qualcosa di più che il pesante pedaggio neoliberista dell’abbandono sociale. C’è anche, sotto un’incessante propaganda pedagogica della destra e di media controllati dalle imprese, una cultura che è diventare crudele e coltiva un appetito di malvagità che ha minato la capacità di empatia, rendendo le persone indifferenti alle sofferenze degli altri o, peggio ancora, partecipanti volenterosi alla loro esclusione violenta.

 

Il giornalista irlandese Fintan O’Toole avverte che il fascismo smonta l’immaginario etico attraverso un processo nel quale gli individui alla fine “imparano a pensare l’impensabile…”, seguito, egli scrive, “da un passo successivo cruciale, solitamente il più subdolo di tutti”:

 

“Si devono minare i confini morali, abituare le persone all’accettazione di atti di crudeltà estrema. Come levrieri, alla gente deve essere fatto annusare il sangue. Deve essere dato loro il gusto della ferocia. Il fascismo lo costruendo una sensazione di minaccia da parte di un gruppo estraneo detestato. Questo consente che ai membri di quel gruppo sia negata l’umanità. Una volta ottenuto questo, si può gradualmente alzare l’asticella, passando attraverso gli stadi dalla rottura delle vetrine allo sterminio”. 

 

Quella che è spesso etichettata come una crisi economica nella società statunitense, è anche una crisi di moralità, socialità e comunità. Dagli anni ’70 un capitalismo sempre più liberalizzato si è indurito in una forma di fondamentalismo del mercato che ha accelerato lo svuotamento della democrazia attraverso la sua capacità di rimodellare le autorevoli istituzioni politiche, sociali ed economiche della società statunitense, rendendole vulnerabili alle soluzioni fasciste proposte da Trump. In quanto sistema integrato di strutture, ideologie e valori, il neoliberismo rende economico ogni aspetto della vita, separa l’attività economica dai costi sociali e depoliticizza il pubblico mediante macchine di disimmaginazione controllate dall’industria che commerciano in narrazioni post-verità, venerano lo spettacolo della violenza, degradano il linguaggio e distorcono la storia.

Il neoliberismo conduce oggi una battaglia contro ogni nozione percorribile del contratto sociale, della solidarietà, dell’immaginazione collettiva, del bene pubblico e delle istituzioni che li sostengono. Quando il regno del politico è definito in termini strettamente economici, le istituzioni, i beni pubblici, le culture formative e le modalità dell’identità essenziali per una democrazia scompaiono, assieme ai cittadini informati necessari per sostenerli.

 

Crisi della ragione e fantasie di libertà

Mentre un potere sempre maggiore è concentrato nelle mani dell’élite imprenditoriale e finanziaria, la libertà è definita esclusivamente in termini di mercato, la disuguaglianza è presentata come una virtù e la logica della privatizzazione accumula disprezzo nei confronti della compassione civica e dello stato sociale. Il fatale effetto conseguente è che il neoliberismo è emerso come il nuovo volto del fascismo. Con i cinquant’anni di progresso del neoliberismo la libertà è diventata il suo opposto. E la democrazia, un tempo l’arco della libertà civica, oggi diviene il suo nemico, poiché il governo democratico non ha più priorità sull’operatività incontrollata del mercato. Il neoliberismo mina sia il sociale sia il pubblico e nel farlo indebolisce l’idea di responsabilità e obblighi morali condivisi. Come sostiene Zygmunt Bauman “la sedazione etica” è oggi normalizzata in base all’assunto che la libertà è limitata al diritto unicamente di far progredire il proprio interesse e gli interessi del mercato. La libertà, nel copione neoliberista, ripudia qualsiasi idea di responsabilità che non sia quella verso sé stessi.

 

Come sostiene Wendy Brown, la politica e la democrazia sono oggi viste come nemiche dei mercati e “la politica è presentata come nemica della libertà, dell’ordine e del progresso”. La politica oggi diviene un misto di idee regressive di libertà e autorità il cui scopo consiste nel proteggere principi e pratiche mossi dal mercato. Ciò che scompare in questa omnicomprensiva estensione del capitale è la nozione di libertà civica, che è sostituita da una garanzia di sicurezza organizzata per proteggere le illecite dinamiche del movente del profitto e la barbarie delle politiche neoliberiste di austerità. Inoltre, con la libertà che diviene privatizzata, essa alimenta una mancanza di interesse per la politica e fa crescere l’indifferenza morale. In conseguenza, il neoliberismo scatena le passioni di un passato fascista nel quale il terreno della politica, dell’agire e delle relazioni sociali comincia a sembrare una zona di guerra, una specie di sport sanguinario e una forma di lotta in gabbia.

In questo caso gli oppressi sono non solo cacciati dalla storia con l’inganno; sono indotti a credere che sotto il fascismo neoliberista non ci siano alternative e che il futuro possa solo imitare il presente. Non solo questa posizione cancella ogni senso di responsabilità e resistenza; produce quello che Timothy Snyder chiama “una specie di camminare nel sonno e deve finire andando a sbattere”.  Quest’ultimo è rafforzato da un governo che considera pericolosa la verità e la realtà comincia con un tweet che segnala la legittimazione di infinite menzogne e forme di potere che rincretiniscono e depoliticizzano, poiché non lasciano spazi per standard di linguaggio capaci di chiamare il potere a rispondere. Ancor peggio, la guerra di Trump al linguaggio e alla verità fa più che limitare la libertà a finzioni in competizione; cancella anche la distinzione tra depravazione morale e giustizia, bene e male. Come ho detto altrove: “Il ministero delle balle di Trump lavora incessantemente a porre limiti a ciò che è pensabile, affermando che ragione, evidenza, coerenza e logica non servono più alla verità, poiché si tratta di strumenti ideologici corrotti usati da nemici dello stato. “Reati di pensiero” sono oggi etichettati “notizie farlocche” [fake news].

 

Timothy Snyder ha ragione nel sostenere che “abbandonare i fatti è abbandonare la libertà. Se nulla è vero, allora non si può criticare il potere perché non ci sono basi per farlo. Se nulla è vero, allora tutto è spettacolo”. La società della post-verità è una diversione e uno spettacolo patrocinato dallo stato. Il suo proposito è camuffare una crisi morale e politica che ha messo in gioco un insieme di soluzioni neoliberiste brutali. Piuttosto che considerare la verità come la moneta della democrazia, Trump e i suoi accoliti considerano essa e la democrazia come i nemici del potere. Tali versioni mettono a rischio la democrazia e creano un progetto educativo e politico ricettivo della moneta politica della supremazia bianca. Come maestro di esibizioni di ciarpame, Trump twitta e parla in larga misura alla sua base arrabbiata, risentita, spesso usando un linguaggio crudo nel quale la minaccia di violenza e repressione risulta funzionare per il suo uditorio come una fonte di “corteggiamento, piacere e fantasia”. Questi sostenitori rappresentano, al meglio, quella che Philip Roth ha definito una volta generosamente “i non istruiti e oberati”. Ma essi coltivano anche quelli che Erin Aubry Kaplan chiama “gli impulsi statunitensi davvero peggiori, dalla xenofobia, al vanto di non saper nulla, al disdegno per necessità sociali quali l’istruzione pubblica e l’acqua pulita [e la loro] qualità distintiva è il razzismo”.

 

Il fascismo rimesso in scena all’interno della democrazia

Anziché scomparire nel dimenticatoio della memoria, il fascismo è ricomparso in una forma diversa negli Stati Uniti, echeggiando l’avvertimento di Theodor Adorno: “Ritengo la sopravvivenza del nazionalsocialismo all’interno della democrazia potenzialmente più minaccioso della sopravvivenza di tendenze fasciste contro la democrazia”. Teorici, romanzieri, storici e scrittori che includono luminari quali Hannah Arendt, Sinclair Lewis, Bertram Gross, Umberto Eco, Robert O. Paxton, Timothy Snyder, Susan Sontag e Sheldon Wolin hanno sostenuto convincentemente che il fascismo resta un continuo pericolo e ha la capacità di diventare rilevante in condizioni nuove. Dopo la caduta della Germania nazista, la Arendt avvertì che il totalitarismo era dall’essere una cosa del passato, poiché le condizioni di precarietà e incertezza estreme che lo producono hanno probabilità di cristallizzarsi in forme nuove”.

 

Ciò che la Arendt pensava fosse cruciale riconoscere per ciascuna generazione era che la presenza dei campi e della politica di sterminio nazista dovrebbero essere intesi non solo come l’esito logico di una società totalitaria o semplicemente un ritorno del passato, ma anche per quello che le loro storie suggeriscono a proposito di prevedere un “possibile modello del futuro”. L’incubo del passato del fascismo non può sfuggire dalla memoria perché deve essere rinarrato in continuazione in modo da riconoscere quando si sta presentando di nuovo. Anziché svanire nel passato, povertà di massa, una condizione incontrollata di senzatetto, mancanza di radici su larga scala, diffusione di paure, atomizzazione sociale, terrorismo di stato e la politica di eliminazione hanno fornito i semi per la comparsa di nuove forme di fascismo. Paxton, il famoso storico del fascismo, sostiene nel suo “The Anatomy of Fascism” che la struttura del fascismo statunitense non imiterebbe forme tradizionali europee, ma sarebbe radicata nel linguaggio, nei simboli e nella cultura della vita quotidiana:

 

Niente svastiche nel fascismo statunitense, ma Stelle e Strisce (o Stelle e Barre) e croci cristiane. Niente saluto fascista, ma recite di masso della Promessa di Fedeltà  [alla bandiera degli Stati Uniti – n.d.t.]. Questi simboli non hanno in sé alcun sentore di fascismo, naturalmente, ma un fascismo statunitense li trasformerebbe in cartine di tornasole per individuare il nemico interno. 

 

Considerati i segnali allarmanti che sono entrati in gioco sotto l’amministrazione Trump, è difficile guardare dall’altra parte e tollerare la soppressione della storia e del linguaggio del fascismo e la loro rilevanza per comprendere il volo degli Stati Uniti dalla promessa e dagli ideali di una democrazia concreta. Con questo non si vuol suggerire che il solo paradigma per affrontare l’eredità del fascismo sia indicare la Germania nazista, il più estremo degli stati fascisti, o, quanto a questo, il genere di fascismo di Mussolini. Non solo il paragone non funziona, ma tende a interpretare gli ideali fascisti sono nelle loro espressioni più estreme.

 

Anche se è vero che gli Stati Uniti non stanno mettendo milioni nelle camere a gas o promuovendo il genocidio, nel presente permangono elementi rielaborati del passato. Ad esempio, ci sono già echi del passato in infrastrutture di punizione esistenti e in espansione – corrispondenti a uno stato carcerario – che sono cresciute esponenzialmente negli ultimi quattro decenni. Di fatto, gli Stati Uniti hanno il più vasto sistema carcerario del mondo, con più di 2,5 milioni di detenuti. Sorprendentemente, questa cifra non include i centri di detenzione dei migranti e altre forme di campi attorno al confine statunitense con il Messico. La visibilità di questo apparato punitivo avallato dallo stato e la sua somiglianza con una storia fascista è stata evidente recentemente con l’imprigionamento di giovani bambini migranti che sono stati separati a forza dai loro genitori al confine meridionale per mesi alla volta. Superfluo dirlo, tali istituzioni e azioni echeggiano eventi profondamente inquietanti di un passato buio nel quale la separazione violenta dalle famiglie era la caratteristica distintiva della brutalità fascista.

 

Sulla stampa compaiono sempre più spesso notizie di violenze diffuse contro bambini migranti incarcerati non accompagnati, separati dai loro genitori. Detenuti in condizioni inumane e crudeli, a molti di questi bambini in centri di detenzione governativi risulterebbero essere somministrati farmaci, sarebbero violentati sessualmente e sottoposto a una varietà di azioni disumane. In Texas un giudice federale ha ordinato a un centro di detenzione di smettere di costringere bambini ad assumere farmaci psicotropi, quali Clonazepam, Divalproex, Benztropine e Duloxetine, al fine di controllare il loro comportamento. [… – possibile ripetizione dal paragrafo precedente – n.d.t.].

E’ su questo sfondo che io ritengo improduttivi gli attuali dibattiti che scartano il fatto gli USA sotto Trump siano una società fascista. L’argomento contro questo riconoscimento procede in genere affermando o che il fascismo è un rudere del passato, fissato in un determinato periodo storico senza alcuna rilevanza per il presente, oppure che le differenze tra le politiche di Trump e quelle di Hitler e Mussolini sono sufficienti per rendere irrilevante qualsiasi paragone. Molti commentatori denunciano ogni riferimento a Trump e ai nazisti del passato come esagerato, estremo o inapplicabile. In questa visione il fascismo è sempre da qualche altra parte, relegato a un tempo e a un luogo che suggerisce una piacevole distanza, una distanza che corre il rischio di scollegare la memoria storica e gli orrori di un’altra età dalla possibilità di un fascismo risorto in una forma differente, appena sintonizzata con il suo momento. Viviamo in un’età nella quale c’è da parte dei critici il terrore di immaginare la plasticità del fascismo.

 

Le passioni mobilitanti del fascismo

Il fascismo non è né un momento statico o fissato nella storia e le forme che assume non occorre imitino modelli storici precedenti. E’ un’ideologia autoritaria e una forma di comportamento politico definiti da quella che Paxton chiama una serie di “passioni mobilitanti”.  Esse comprendono un attacco aperto alla democrazia, l’appello a un uomo forte, un disprezzo per la debolezza umana, un’ossessione per l’iper-mascolinità, un militarismo aggressivo, un appello alla grandezza nazionale, un disdegno per il femminile, un investimento nel linguaggio del declino culturale, la denigrazione dei diritti umani, la soppressione del dissenso, una propensione alla violenza, disprezzo per gli intellettuali, un odio per la ragione e fantasie di superiorità razziale e politiche eliminazioniste mirate alla pulizia sociale.

 

Il fantasma del fascismo deve essere ripescato dalla storia e riportato a “un posto appropriato nelle discussioni dei limiti morali e politici di ciò che è accettabile”, specialmente in un momento nel quale la crisi della democrazia non può essere separata dalla crisi del neoliberismo. Come strumento euristico per confrontare forme di potere statale, l’eredità del fascismo offre un’opportunità di riconoscere quando sono all’orizzonte indicatori autoritari.

 

Ad esempio, sotto Trump lo spettacolo regna sovrano, richiamando alla memoria un tempo precedente nella storia nel quale la spacconeria, l’ignoranza armata e le esibizioni teatrali offrivano un modello di comunità che reprimevano il ricordo, addomesticavano il pensiero e aprivano la porta a seguaci di un uomo forte per ripudiare il loro ruolo di agenti critici a favore di diventare spettatori ciechi, se non intenzionali. Riguardo al presente, è cruciale riconoscere l’influenza di Trump politicamente in seno al flusso della storia, piuttosto che contro di esso.

 

Il fascismo negli Stati Uniti è arrivato lentamente mediante sovversione dall’interno. Le sue radici sono state in evidenza per decenni e sono emerse più visibilmente con la guerra al terrore del presidente George W. Bush e poi del presidente Barack Obama. Bush, in particolare, ha abbracciato impudentemente un’esibizione rozza di potere che ha approvato la tortura, lo spionaggio interno, le carceri segrete, le liste della morte, leggi che autorizzano la detenzione indefinita, perquisizioni non autorizzate e crimini di guerra. Obama ha fatto poco per correggere queste illegalità legali e Trump ha solo insufflato nuova vita in esse. Invece dell’improvvisa apparizione nelle strade statunitensi di teppisti, camicie brune, purghe e massiva violenza dello stato – nonostante la violenza statale attuata contro gli afroamericani – il fascismo è stato fatto risorgere attraverso la forza agevolatrice del capitalismo d’azzardo, che ha scatenato e mobilitato una serie di fondamentalismi economici, politici, religiosi ed educativi.

 

Questo è più evidente nella sovversione del potere da parte di baroni briganti della finanza e dell’industria, nell’addomesticamento del dissenso, nella coltivazione di identità tribali, nella celebrazione di orbite di egoismo e iper-individualismo rispetto al bene comune, nella privatizzazione e liberalizzazione della vita e delle istituzioni pubbliche, nella legittimazione del fanatismo e dell’intolleranza, nella trasformazione delle elezioni in una battaglia tra miliardari e nella produzione di una cultura di avidità e di crudeltà. Ma, come chiarisce la teorica della politica Wendy Brown, è anche evidente in una rivolta populista generata dalla decimazione neoliberista dei “mezzi di sostentamento e dei quartieri”, nell’”evacuazione e delegittimazione della democrazia”, nella “svalutazione del sapere, a parte l’addestramento al lavoro” e nell’”erosione della sovranità nazionale”.

 

L’ortodossia, specialmente sotto Trump, ha trasformato l’istruzione in una fabbrica di ignoranza nella quale è somministrata una dura disciplina a studenti poveri e a giovani di colore. La politica è stata totalmente corrotta dall’alta finanza e da banchieri, gestori di fondi speculativi e magnati industriali moralmente deficitari. E molti gruppi evangelici e di altre religioni appoggiano, o ne sono complici, un presidente schierato con i suprematisti e che usa il linguaggio della malignità e della brutalità.

 

Lo stato dell’industria, alimentato da un fondamentalismo del mercato e da una lunga eredità di apartheid razziale, ha imposto una crudeltà quasi incomprensibile contro popolazioni nere povere e vulnerabili. La fusione di neoliberismo e di elementi fascisti di suprematismo bianco e di razzismo sistemico è particolarmente evidente nel razzismo ambientale, nelle scuole che cadono a pezzi e nell’inquinamento dell’aria che sono venuti alla luce recentemente. La breve lista si spinge fino al sacrificare bambini neri poveri a Flint, Michigan, ai pericoli dell’avvelenamento da piombo per aumentare i profitti, all’assoggettare la popolazione di Puerto Rico a una disperazione non necessaria rifiutando di fornire servizi governativi adeguati dopo l’uragano Maria, e al creare condizioni nelle quali “i bambini più piccoli degli Stati Uniti, circa il 4,7 per cento” sotto l’età di cinque anni, “vivono in famiglie a basso reddito o povere”. Il concetto di W.E.B. Du Bois di una “dittatura razziale” nel suo classico “Black Reconstruction in America” è stato fatto risorgere sotto Trump. Come ha riferito lo Speciale Relatore dell’ONU Philip Alston, in mezzo a una massiccia concentrazione della ricchezza presso l’un per cento al vertice negli Stati Uniti, 40 milioni di persone vivono in povertà e 18,5 milioni di statunitensi vivono in povertà estrema. Secondo Alston, tali politiche neoliberiste sono “aggressivamente regressive” nella loro promozione di richieste di duro lavoro per i beneficiari dell’assistenza sociale, del taglio di programmi per dar da mangiare ai bambini poveri e della volontà sia di incarcerare bambini piccoli, sia di separarli dai loro genitori. Al tempo stesso l’amministrazione Trump ha deviato enormi risorse ai ricchi in seguito a una politica fiscale che strappa 1,5 trilioni di dollari dal bilancio federale.

 

Dagli anni ’70 i salari sono in stagnazione, le banche hanno truffato milioni dalle loro case mediante politiche di mutui truccati e gli intermediari del potere politico hanno imposto una rovina finanziaria a minoranze di classe e razza. La guerra contro povertà avviata dall’amministrazione del presidente Lyndon B. Johnson era stata trasformata in una guerra contro i poveri dal presidente Ronald Reagan e ha accelerato e conseguito la sua apoteosi sotto il regime di Trump. Con un entusiasmo patologico il Congresso statunitense privo di morale di Trump ha tagliato sussidi cruciali ai poveri, come il programma dei buoni alimentari, imponendo contemporaneamente prescrizioni di duro lavoro ai beneficiari di Medicare [programma di assistenza sanitaria – n.d.t.]. E’ all’opera qui più che la convinzione neoliberista egoista e vendicativa che il governo è un male quando ostacola i mercati e non serve gli interessi dei ricchi. C’è anche un intenzionale sostegno feroce a livelli enormi di disuguaglianza, di squallore umano, di criminalizzazione di problemi sociali e una cultura fiorente di punizione, miseria e sofferenza.

 

Una conseguenza è un panorama statunitense tormentato, contrassegnato dalla crescente crisi degli oppiacei, dalla criminalizzazione di proteste pacifiche, da avvelenamento dell’ambiente su base razziale, tassi di longevità più brevi per gli statunitensi della classe media e un tasso di incarcerazione che si classifica ai primi posti nel mondo. La guerra alla democrazia si è anche trasformata in una guerra ai giovani mentre un numero sempre maggiore di bambini è senzatetto, sottoposto a massicce sparatorie nelle scuole, frequentante scuole costruite a modello di prigioni e sempre più introdotto nel percorso scuola-carcere e apparati di disciplina che li tratta da criminali. Nella lunga storia del neoliberismo negli Stati Uniti, è stato sviluppo un investimento perverso di umiliazione e di punizione degli individui più vulnerabili, quelli considerati altri, e in un crescente registro dei considerati sacrificabili.

 

Riconsiderazione della politica come totalitarismo alla rovescia

Quello che è cruciale comprendere è che il neoliberismo non è solo un elemento più estremo del capitalismo; ha anche consentito l’emergere di una ristrutturazione radicale del potere, dello stato e della politica, e nel farlo converge con uno stile di fascismo adatto al contesto statunitense. Il politologo Sheldon Wolin, nel suo libro “Democracy Incorporated”, è stato uno dei primi ad analizzare la trasformazione di una democrazia capitalista in quella che ha definito una forma di totalitarismo alla rovescia. Secondo Wolin, lo stato politico è stato sostituito da uno stato industriale che sfrutta tutti salvo le classi dominanti, svuota la politica di ogni sostanza attraverso elezioni manipolate, usa il potere del capitale per definire i cittadini in larga misura come consumatori di prodotti, e applica il potere dello stato industriale come ariete per far passare politiche che rafforzano il potere del capitale.

 

Per Wolin il neoliberismo è stato il punto finale di un lungo processo “di trasformazione di ogni cosa – ogni oggetto, ogni essere vivente, ogni fatto del pianeta – a sua immagine”. Egli riteneva che questa nuova formazione politica e forma di sovranità nella quale l’economia dominava la politica fosse ostile sia alla spesa sociale sia allo stato sociale. Wolin sosteneva correttamente che sotto il neoliberismo la sovranità politica è largamente sostituita dalla sovranità economica con lo stato industriale che s’impossessa delle redini del governo. La politica è oggi plasmata da lobbisti che rappresentano le grandi imprese quali le compagnie farmaceutiche e dell’assicurazione sanitaria, che, nel caso dei produttori di farmaci, si spingono sino a promuovere la crisi degli oppiacei per aumentare i loro profitti.

Sotto il neoliberismo lo stato assistenziale è stato largamente smantellato, mentre potere di un apparato punitivo di un emergente stato di polizia è stato ampliato, sostenuto da una cultura pervasiva di paura che si esonera dalle legalità e dagli obblighi costituzionali di una democrazia, comunque castrata. Wolin era anche acutamente consapevole della ferocia della cultura industriale nella sua volontà di produrre disuguaglianze impressionanti in una guerra epica alla promessa e agli ideali di una democrazia reale.

 

Il grande contributo di Wolin alle teorie del totalitarismo sta nella sua capacità di mettere a nudo le tendenze economiche autoritarie del neoliberismo e la sua minaccia alla democrazia. Quello che egli non ha fatto è stato associare il neoliberismo e i suoi effetti debilitanti abbastanza in prossimità di certe eredità del fascismo. In tale assenza non è stato in grado di prevedere la resurrezione della politica dell’uomo forte negli Stati Uniti e gli investimenti fascisti in ascesa in suprematismo bianco, divisione razziale, ultranazionalismo, guerra di giovani, ai diritti riproduttivi delle donne e una politica eliminazionista di sacrificabilità su basi razziali. Ciò che egli ha evidenziato in misura insufficiente è stato che il neoliberismo impoverisce non solo la società economicamente servendo gli interessi dei ricchi, ma crea anche una narrativa potente che normalizza l’inazione politica nello spostare il peso e la responsabilità di tutti i problemi sociali sugli individui anziché sulla società.

 

Nell’era della costruzione del mito neoliberista, carenze sistemiche come povertà, mancanza di casa e occupazione precaria sono oggi relegate a fallimenti individuali, deficit di carattere e depravazione morale. Corrispondentemente idee di sociale, sistemico e pubblico scompaiono, servendo a espandere la base di quelli che si sentono senza voce e impotenti, aprendoli agli appelli emotivi grezzi e semplicistici di figure autoritarie come Trump. In modo realmente demagogico Trump promette un nuovo ordine mondiale che sarà costruito sul trombonismo retorico della disumanizzazione, del fanatismo e di un appello armato alla paura e all’odio. Mentre i poveri e gli scartati scompaiono dal discorso politico della democrazia, diventano ricettivi a una “volatilità e furia che [mutila] la politica contemporanea che prospera sull’appetito di impulsi autoritari e fascisti”.

 

Giro di prova del fascismo nell’era di Trump

In una ponderata analisi il giornalista irlandese O’Toole afferma che il neoliberismo crea le condizioni per consentire quello che chiama un giro di prova per uno stato conclamato di fascismo contemporaneo:

 

“Per afferrare quello che sta succedendo oggi nel mondo, dobbiamo riflettere su due cose. Una è che siamo in una fase di giri di prova. L’altra è che quello che viene messo alla prova è il fascismo, una parola che dovrebbe essere usata con attenzione ma non elusa quando è così chiaramente all’orizzonte. Dimenticate il ‘post-fascismo’; quello che stiamo vivendo è pre-fascismo. Anziché rovesciare la democrazia in un colpo solo, deve sovvertire attraverso elezioni manipolate, la creazione di identità tribali ed essere legittimato attraverso ‘una macchina di propaganda così efficace che crea per i suoi seguaci un universo di ‘fatti alternativi’ impervi a realtà indesiderate’… Il fascismo non sorge improvvisamente in una democrazia esistente. Non è facile indurre le persone a   rinunciare alle loro idee di libertà e civiltà. Si devono fare dei giri di prova che, se condotti bene, servono a due scopi. Abituano le persone a qualcosa da cui inizialmente si sarebbero ritratte e consentono di affinare e calibrare. Questo è ciò che sta accadendo ora e saremmo degli sciocchi a non vederlo.”

 

Versioni ultranazionaliste e contemporanee del fascismo stanno guadagnandosi seguito nel mondo in paesi quali la Grecia (Alba Dorata), l’Ungheria (Jobbik), India (Bharatiya Janata Party) e Italia (la Lega) e in innumerevoli altri. Superfluo dire che sono stati incoraggiati da Trump, che ha mostrato una forte ammirazione per leader autoritari quali il russo Vladimir Putin, il turco Recep Tayyip Erdogan e il cinese Xi Jinping. Egli ha recentemente elogiato il leader nordcoreano Kim Jong-un per il suo “intelletto e personalità” e senza ironia ha affermato: “Lui parla e il suo popolo sta seduto attento. Voglio che la mia gente faccia lo stesso”.

 

Trump ha anche usato il suo potere per graziare persone quali il guru di destra Dinesh D’Souza e l’ex sceriffo dell’Arizona Joe Arpaio che ha disobbedito a ordini di un tribunale di smettere di profilare razzialmente i latinoamericani. Ha pubblicamente accusato i Democratici al Congresso di non essersi alzati in piedi dopo il suo Discorso sullo Stato dell’Unione e ha condotto una politica estera che distrugge alleati occidentali celebrando contemporaneamente uomini forti autoritari.

 

In aggiunta, Trump promuove costantemente politiche estremiste e si circonda di ideologhi di estrema destra, come il Procuratore Generale Jeff Sessions, il Consigliere della Sicurezza Nazionale John Bolton e il consigliere capo Stephen Miller, tutti sostenitori della linea dura praticamente su ogni argomento. L’iniziale presenza di Steve Bannon nell’amministrazione Trump è stata simbolica dell’estremismo introdotto da Trump alla Casa Bianca. Bannon, che è stato ex consigliere capo del presidente, gestiva Breitbart, un tabloid nazionalista bianco. Oggi libero professionista, Bannon continua a rendere normali idee suprematiste bianche nei suoi interminabili discorsi e apparizioni pubbliche. Trump condivide la dedizione di Bannon alle idee del suprematismo bianco e ha sempre compiaciuto le paure razziali e le ansie economiche di una classe lavoratrice bianca abbandonata. Inoltre ha creato una nuova sinergia tra la sua demagogia autoritaria e una serie di gruppi fascisti che include la destra alternativa, nazionalisti bianchi, gruppi di milizie e altri che abbracciano il suo militarismo, il suo programma di legge e ordine su basi razziali e il suo aperto disprezzo per gli immigrati illegali e i mussulmani.

 

Trump si è elevato a santo patrono di un neoliberismo feroce. Questo è evidente nei vari miracoli che ha messo in atto per i ricchi e i potenti. Ha sistematicamente cancellato norme che si estendono dalle protezioni dell’ambiente alla sicurezza dei lavoratori. Ha promulgato una politica fiscale da 1,5 miliardi di dollari che corrisponde a un enorme regalo all’élite finanziaria, contemporaneamente conservando il suo atteggiamento di “uomo del popolo”. Ha nominato una serie di fondamentalisti neoliberisti a guidare importanti posti governativi intesi a servire il pubblico. I più, come Scott Pruitt, l’ex capo dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente, e Betsy DeVos, Segretaria all’Istruzione, si dimostrati o corrotti o incompetenti o spesso entrambe le cose. Assieme al Congresso Repubblicano, Trump ha cospicuamente aumentato il bilancio militare a 717 miliardi di dollari, creando enormi profitti per il complesso militare-industriale-della difesa, istituendo contemporaneamente politiche che svuotano lo stato sociale ed espandono ulteriormente una macchina da guerra che genera sofferenze e morti di massa.

 

Trump ha ridotto l’assistenza alimentare a quelli che sono costretti a scegliere tra mangiare e prendere medicine e le sue politiche hanno impedito a milioni di ricevere un’assistenza sanitaria adeguata. Ultimo ma non di minore importanza, è diventato un sostenitore dell’industria delle armi e della sicurezza spingendosi sino a chiedere di armare gli insegnanti come mezzo per rimediare alle sparatorie di massa nelle scuole della nazione. Tutte queste politiche servono a scatenare passioni antidemocratiche e antiliberali, paure, ansie e rabbie necessarie per rendere dominante il fascismo.

 

Le politiche di Trump della sacrificabilità

Il neoliberismo di Trump si allinea al fascismo particolarmente attraverso il suo abbraccio del suprematismo bianco e il suo impegno ad ampliare l’idea di sacrificabilità. L’idea di sacrificabilità di Trump assume un doppio registro. Innanzitutto produce politiche economiche che sostengono la convinzione neoliberista che gli esseri umani senza valore economico, quelli che offrono alcun contributo al mercato, sono rifiuti, scarti ed eccedenze, e non hanno alcun uso sociale possibile. Nell’ethos neoliberista della sopravvivenza dei più adatti, che corrisponde a una forma di econocidio, la ridondanza diviene un termine in codice per la sacrificabilità in termini economici. Le sole relazioni che contano sono quelle compatibili con il processo decisionale economico e con gli imperativi del capitale. Come osserva Anis Shivani: “Chiunque non sia disposto a concepire sé stesso come sempre e pienamente presente sul mercato”, che costituisce un onere per lo stato, o che rifiuti “di investire nel proprio futuro … sarà sottoposto a disciplina e gli sarà rifiutato il riconoscimento di essere umano”.

 

Trump estende la logica della ridondanza e della sacrificabilità oltre le categorie economiche a tutti gli altri che non sono in grado di rientrare in un copione nazionalista bianco. Questo è il linguaggio dello stato di polizia, creato dalla storia dell’apartheid statunitense. L’estremo del linguaggio del suprematismo bianco attraverso una politica penale regressiva è una forma di morte sociale, o anche peggio. Quello che spaventa nel vocabolario razzista di Trump è che registra un passaggio dal linguaggio codificato del benevolo disinteresse a politiche contraddistinte da una crudeltà maligna che legittima la violenza dello stato.

 

La devozione di Trump al suprematismo bianco è difficile da non cogliere, anche se molti la negano concentrandosi sulle sue politiche economiche piuttosto che sul suo programma suprematista bianco. Ta-Nehisi Coates offre un’acuta analisi dell’ideologia suprematista bianca di Trump:

 

“Si dice spesso che Trump non ha nessuna ideologia reale, il che non è vero: la sua ideologia è il suprematismo bianco in tutto il suo truculento e bigotto potere… La sua carriera politica è iniziata promuovendo il nativismo, quella moderna ripresentazione del vecchio precetto statunitense che i neri non sono adatti a essere cittadini del paese che hanno costruito. Ma molto prima del nativismo, Trump ha reso chiara la sua visione del mondo. Ha lottato per tenere i neri fuori dai suoi edifici, secondo il governo statunitense; ha chiesto la pena di morte per i Cinque di Central Park alla fine scagionati e ha inveito contro i dipendenti neri ‘pigri’… Trump ha inaugurato la sua campagna presentandosi come il difensore della verginità bianca contro gli ‘stupratori’ messicani, solo per essere più tardi denunciato da molteplici accusatrici, e dalle sue stesse parole orgogliose, per essere egli stesso un violentatore sessuale… In Trump i suprematisti bianchi vedono uno dei loro”. 

 

Lo scrittore John Feffer si spinge più in là e sostiene che l’odio di Trump nei confronti degli immigrati è chiaro non solo nella sua spinta per “misure estreme per tenerli fuori dagli Stati Uniti: un muro, un divieto di trasferimento, una politica di separazione delle famiglie a tolleranza zero”, ma indica anche la sua visione di loro come “minaccia che trascende il politico. E’ una questione di sangue e di suolo, le pietre di paragone del nazionalismo estremo”. Quello che Feffer non riconosce è che la visione di Trump della selezione etnica è anche evocativa di una politica centrale di precedenti forme del fascismo. Sotto il giro di vite confinario “a tolleranza zero” di Trump, le famiglie dei migranti nel linguaggio di un passato fascista scompaiono, vanno perse o sono descritte come “unità familiari cancellate”.

Gli Stati Uniti si trovano in un momento pericoloso della loro storia, il che rende tanto più cruciale comprendere come una forma distintiva di fascismo neoliberista grava oggi sul presente e minaccia di aprire la porta a un periodo di barbarie senza precedenti in un futuro non molto lontano. In un tentativo di affrontare questa nuova congiuntura politica, voglio suggerire che anziché considerare il fascismo come una semplice ripetizione del passato, sia cruciale forgiare un nuovo vocabolario e una nuova politica per afferrare come il fascismo neoliberista sia diventato un modello peculiarmente statunitense del presente. Un modo per affrontare questo consiste nel ripensare quali lezioni si possano apprendere interrogando che le questioni di linguaggio e memoria possano essere utilizzate per illuminare le forze oscure che collegano il passato al presente come parte del nuovo incubo politico ibridato.

 

Il linguaggio del fascismo

Il fascismo comincia non con la violenza, le aggressioni della polizia o le uccisioni di massa, ma con il linguaggio. Trump ci ha ricordato questo nel 2016 nell’annunciare la sua candidatura a presidente. Ha affermato, senza ironia o vergogna, che “quando il Messico ci manda la sua gente, non ci sta mandando i migliori. Ci manda persone che hanno un mucchio di problemi e si portano quei problemi con sé. Portano droghe, portano criminalità. Sono stupratori e alcuni, presumo, sono persone perbene…” Questo è più che linguaggio di polarizzazione o un fischietto per cani * strategico, è un discorso e un’esibizione teatrale trasparente al servizio del suprematismo bianco e della violenza razzista, una logica largamente non colta dalla stampa dominante all’epoca. Lo scoppio iniziale di invettive razziste è servito a preannunciare come la campagna e la presidenza di Trump avrebbero allettato i nazionalisti bianchi, la destra alternativa e altri gruppi neonazisti. [L’espressione indica, spesso in senso spregiativo, un linguaggio che ha un certo significato per un uditorio comune, ma uno diverso per uno specifico pubblico; l’analogia è con il fischietto per cani che, essendo a ultrasuoni, è udito da questi ultimi ma non dagli umani – n.d.t.]

 

Il linguaggio della violenza fascista assume molte forme e Trump ha fornito un altro esempio inquietante del suo uso del linguaggio come strumento di potere e dominio che espande quello che avevano fatto regimi fascisti precedenti. Agli inizi della sua presidenza, Trump ha fatto vietare dalla sua amministrazione ai funzionari dei Centri per il Controllo delle Malattie di usare termini quali “vulnerabile”, “sussidio”, “diversità”, “transgender”, “feto”, “basato su evidenze”, “basato sulla scienza”. Vietare termini quali “vulnerabile”, “diversità” e “feto” segnala la guerra di Trump all’empatia, all’uguaglianza e ai diritti riproduttivi delle donne. Poco tempo dopo l’amministrazione Trump ha cominciato a cancellare tutti i riferimenti al cambiamento climatico e ai gas serra dai siti governativi nonché informazioni sugli statunitensi LGBTQ”.

 

Tali azioni condividono un’eredità di censura statale, la repressione del dissenso mettendo al bando la libertà di espressione e i roghi dei libri, tutte cose che fanno parte del repertorio dei regimi fascisti. L’autrice Ruth Ben-Ghiat è nel giusto quando afferma che ciascuna delle parole sulla lista della censura di Trump “fa parte di una guerra continua riguardo al futuro dei nostri diritti di libera espressione e libera ricerca, di controllo dei nostri corpi e delle nostre identità e di una vita senza paura di essere messi nel mirino dallo stato a causa della nostra fede, colore della pelle o orientamento sessuale”.

 

Val la pena di notare che le parole non sono solo una questione di produzione di significato anche di come generano conseguenze, specialmente alla luce di come tali significati – rinforzati da relazioni di potere avallate dallo stato – operano in contesti più vasti. Alcuni significati hanno una forza che altri non hanno, specialmente perché il potere conferisce autorità e mette in moto una pluralità di effetti. Questo è particolarmente chiaro alla luce di come Trump usa a volte il potere della presidenza quando reagisce a critici, specialmente quelli che acquisiscono attenzione pubblica attraverso le loro critiche di lui e delle sue politiche. I suoi tentativi di reprimere il dissenso assumono un registro piuttosto spietato quando spesso umilia pubblicamente quelli che lo criticano, minaccia i loro mezzi di sostentamento e usa un linguaggio che funziona per incitare violenza contro i suoi critici. Abbiamo visto sin troppi casi nei quali i seguaci di Trump hanno malmenato critici, attaccato giornalisti e coperto di urla ogni forma di critica alle politiche di Trump, per non dir nulla dell’esercito di troll scatenato contro intellettuali e giornalisti critici dell’amministrazione.

 

Come strumento della repressione statale il linguaggio ha il potenziale di aprire la porta al fascismo. Come ha osservato Rose Sydney Parfitt: “Il linguaggio, i simboli e la logica del fascismo sono impiegati oggi più apertamente che in qualsiasi altro momento dai primi anni ‘40”. Trump usa un linguaggio che disumanizzare e rende più accettabile agli individui razionalizzare convinzioni e pratiche razziste. Nell’ambito della “Strategia del Sud” dei Repubblicani e in seguito nelle amministrazioni Clinton, Bush e Obama il razzismo è stato codificato o in discorsi da fischietto per cani o reso indicibile nel linguaggio del daltonismo. Trump ha scartato tali formalità rendendo aperto il linguaggio razzista, scandalosamente impiegato come medaglia al valore, e usato pragmaticamente come una strizzatina d’occhio alla sua base di sostegno.

 

Ricordando tattiche naziste per disumanizzare i nemici, ha chiamato alcuni immigrati illegali “animali” e “criminali” e ha usato il termine “infestare” riferendosi a migranti al confine meridionale. L’editorialista e scrittrice Aviya Kushner ha affermato che il tweet di Trump che affermava che gli immigrati “infesteranno il nostro paese” ha una somiglianza allarmante con l’affermazione dei nazisti che gli ebrei erano portatori di malattie. In reazione all’uso del termine “animali” da parte di Trump per riferirsi ad alcuni immigrati, Juan Cole sostiene che i nazisti usavano il temine come “termine tecnico, ‘Untermensch’ o uomo inferiore, sub-umano” nel riferirsi a “ebrei, zingari, gay e altri gruppi nonché al massacro di ragazzi russi sul fronte orientale”. Farli apparire meno che umani aprì la strada “a consentire la loro eliminazione”. Una convergenza tra il linguaggio di Trump e l’ideologia razzia dei nazisti dell’era dell’Olocausto si è avvertita chiaramente quando Trump ha implicato un’equivalenza morale tra la violenza perpetrata da suprematisti bianchi e neonazisti in marcia a Charlottesville e la presenza di dimostranti pacifici che manifestavano per la rimozione di una statua confederata. La retorica dei capi espiatori di Trump di demonizzazione e fanatismo non solo disumanizza gli altri su basi razziali, ma prepara anche il terreno per incoraggiare gruppi di odio e un’intensificazione di reati di odio.

 

L’FBI ha riferito che dalle elezioni del 2016, i reati di odio sono aumentati; c’è stato un numero inquietante di vicende che includono svastiche naziste dipinte su pareti scolastiche, sinagoghe oggetto di bombe incendiarie e un’impennata di attacchi violenti contro mussulmani e stranieri. L’uso da parte di Trump di un linguaggio disumanizzante sollecita paragoni con l’insidiosa retorica del fascismo del passato. Non solo la sua grettezza, volgarità e i suoi tweet umilianti hanno capovolto standard tradizionali di comportamento presidenziale (per non parlare del governo); egli ha anche resuscitato un linguaggio di malvagia violenza che echeggia “i primi segnali di allarme di potenziale genocidio e di altri crimini atroci”.

 

Fascismo, storia e lavoro della memoria

Il fascismo neoliberista converge con una forma precedente di fascismo nella sua dedizione a un linguaggio di cancellazione e a una politica di sacrificabilità. Nel copione fascista la memoria storica diventa un peso, persino pericolo quando funziona pedagogicamente per informare la nostra immaginazione politica e sociale. Questo è particolarmente vero quando la memoria agisce per identificare forme di ingiustizia sociale e consente una riflessione critica sulle storie degli altri repressi. E’ stato certamente così considerato l’imbarazzante contraccolpo verificatosi quando Ben Carson, i Segretario statunitense alla Casa e allo Sviluppo Urbano, ha affermato che gli schiavi erano migranti e quando la Segretaria all’Istruzione Betsy DeVos ha affermato che i college e le università per neri erano “pionieri della scelta scolastica”.

 

Non sorprendentemente la memoria storica come forma di chiarimento e di demistificazione cozza certamente con l’abuso di Trump della storia come forma di amnesia sociale e di camuffamento politico. Ad esempio, l’uso di Trump dello slogan degli anni ’30 “gli Stati Uniti al primo posto” segna un ritorno regressivo a un tempo nel quale nativismo, misoginia e xenofobia definivano l’esperienza statunitense. Questa vaga nostalgia riscrive la storia in un’aura calda e nella “fede nell’essenziale innocenza statunitense, nel totale eccezionalismo, nella singolarità etica e nel destino manifesto degli Stati Uniti”. Philip Roth caratterizza appropriatamente questa forma gratuita di nostalgia nel suo “Pastorale americana” come “passato non detonato”. L’innocenza in questo copione è la materia di mitologie che distorcono la storia e cancellano il significato politico della testimonianza morale e della memoria storica come modi di lettura, traduzione e interrogazione del passato nel suo impatto e a volte nella sua esplosione nel presente.

Sotto Trump linguaggio e memoria sono disattivati, con le parole che sono svuotate di contenuto concreto ed è eviscerato lo spazio di una realtà condivisa cruciale per ogni democrazia. La storia e il linguaggio in questo copione fascista contemporaneo sono paralizzati nell’immediatezza dell’esperienza twittata, nell’eccitazione del momento e nel conforto di una scarica emotiva catartica. Il pericolo, come la storia ci ha insegnato, è quando le parole sono utilizzate sistematicamente per coprire menzogne, falsità e la capacità di pensare criticamente.

 

In tali casi le sfere pubbliche essenziali per una democrazia avvizziscono e muoiono, aprendo la porta a idee, valori e relazioni sociali fasciste: Trump ha avallato la tortura, strappato infanti dalle braccia dei loro genitori, incarcerato migliaia di piccoli bambini migranti, e ha dichiarato i media, assieme a intere razze e religioni, nemici del popolo statunitense. Nel farlo parla a una storia, legittimandola, nella quale la violenza dello stato diviene un principio organizzativo di governo e, perversamente, una potenziale esperienza catartica per i suoi seguaci.

 

Al tempo stesso la corruzione del linguaggio è spesso seguita dalla corruzione della memoria, della moralità e alla fine dalla scomparsa di libri, idee ed esseri umani. Eminenti storici tedeschi come Richard J. Evans e Victor Klemperer hanno chiarito che per i dittatori fascisti la dinamica della censura e repressione statale ebbe un estremo in una politica di sparizione, sterminio e campi della morte.

 

Il linguaggio di Trump di sparizione, disumanizzazione e censura è un’eco e una cancellazione degli orrori e della barbarie di un altro tempo. Il suo uso regressivo del linguaggio e la sua negazione della storia vanno contrastati in modo che energie emancipative e narrazioni persuasive possano essere richiamate per trovare nuovi modi per sfidare le ideologie e le relazioni di potere che le hanno messe in gioco. La distorsione del linguaggio e della memoria pubblica da parte di Trump fanno pare di una politica autoritaria più vasta di pulizia etnica e razziale che elimina la violenza genocida attuata contro i nativi americani, gli schiavi neri e gli afroamericani.

 

Indifferente alle impronte storiche che segnano manifestazioni della violenza dello stato, l’amministrazione Trump usa l’amnesia storica come arma di (dis)educazione, di potere e di politica, consentendo che la memoria pubblica avvizzisca e l’architettura del fascismo passi incontrastata. Ciò che è sotto assedio nel momento presente è la necessità critica di continuare a tener d’occhio la narrativa repressa del lavoro della memoria. La lotta contro una cancellazione fascista della storia deve cominciare con una comprensione acuta del fatto che la memoria presenta sempre una domanda sul presente, rifiutandosi di accettare l’ignoranza come innocenza.

 

Mentre la realtà collassa nelle notizie farlocche, la testimonianza morale scompare negli spettacoli vuoti della macchina mediatica di destra, che è un arsenale avallato dallo stato mirato a distorcere la verità, sopprimere il dissenso e attaccare i media critici. Trump usa Twitter come guerra lampo di propaganda per attaccare chiunque, dai suoi nemici politici a celebrità che lo hanno criticato. La fusione del giornalismo come intrattenimento con una cultura drogata di velocità, brevità e della pornografica esposizione che il digitale consente ha svuotato il discorso di ogni sostanza e legittima ulteriormente l’indicibile. Il linguaggio non espande più la portata della storia, dell’etica e della giustizia. Al contrario, oggi opera al servizio di slogan, fanatismo e violenza. Le parole sono oggi trasformate in una massa indifferenziata di ceneri, il discorso critico è ridotto in macerie e il giudizio informato in un orizzonte distante radioattivo.

 

Sotto la presidenza Trump, il fascismo neoliberista ha ristrutturato una vita civica che valorizza l’ignoranza, la cupidigia e la smemoratezza intenzionale. Nell’attuale momento trumpiano l’urlare sostituisce l’imperativo pedagogico di ascoltare e rinforza le storie che il fascismo neoliberista ci racconta riguardo a noi stessi, alle nostre relazioni con gli altri e al mondo più in generale. In tale situazione sono commessi atti mostruosi sotto la crescente normalizzazione di modalità civiche e storiche di analfabetismo. Una conseguenza è che i paragoni con il passato nazista possono avvizzire nella falsa convinzione che gli eventi storici sono fissati nel tempo e nello spazio e posso essere ripetuti solo nei libri di storia. In un’età contrassegnata dalla guerra al terrore, una cultura di paura e di normalizzazione dell’incertezza, l’amnesia sociale è divenuta uno strumento potente per smantellare la democrazia. In effetti, in questa età di smemoratezza la società statunitense appare gozzovigliare in ciò di cui ci si dovrebbe vergognare e di cui si dovrebbe essere allarmati.

Persino con la conoscenza della storia, i paragoni tra i vecchi ordini di fascismo e il regime di brutalità, aggressione e crudeltà di Trump sono considerati troppo estremi dai commentatori. Tale cautela ha un costo. Come segnala sul The Guardian il giornalista Jonathan Friedlander: “Se l’era nazista è resa interdetta, considerata tanto fuori dal regno della normale esperienza umana che avrebbe benissimo potuto aver luogo in un pianeta lontano – il Pianeta Auschwitz – allora rischiamo di non imparare le sue lezioni”. Sapere come altri hanno combattuto con successo contro demagoghi eletti come Trump è cruciale per una strategia politica che inverta l’imminente catastrofe globale.

 

La storia di un passato fascista deve essere rinarrata non semplicemente per fare dei confronti con il presente, anche se ciò è un progetto non privo di valore, ma per essere in grado di immaginare una nuova politica nella quale sarà costruito un nuovo sapere e, come afferma la Arendt, “nuove intuizioni… nuovo sapere… nuove memorie [e] nuovi atti troveranno il loro punto di partenza”. Questo non è per suggerire che la storia sia una cittadella di verità che possa essere facilmente minata. La storia non offre garanzie e può essere usata nell’interesse della violenza così come dell’emancipazione. Ad esempio, come osserva lo scrittore Ariel Dorfman, quando i suprematisti bianchi e i neonazisti hanno marciato a Charlottesville:

 

“[Portavano torce] per evocare memorie di terrore, di parate del passato di odio e aggressione del Ku Klux Klan negli Stati Uniti e dei Freikorps di Adolf Hitler in Germania. Gli organizzatori volevano trasmettere un avvertimento agli spettatori: che la violenza del passato, perpetrata in difesa del ‘sangue e del suolo’ della razza bianca sarebbe stata ancora una volta bardata e impiegata negli Stati Uniti di Donald Trump”.

 

La selettiva appropriazione della storia da parte di Trump conduce una guerra contro il passato, scegliendo di celebrare, anziché mettere in discussione, gli orrori fascisti. Il passato in questo caso è un copione che deve essere seguito, anziché essere interrogato. La visione della storia da parte di Trump è a un tempo “orrenda e rivelatrice”. Tali narrazioni minano la testimonianza morale, trasformano l’agire in un’arma di violenza e usano la storia come mezzo di propaganda. Tutte ragioni in più perché, con l’ascesa del fascismo neoliberista, ci sia necessità di modalità di indagine storica e storie che contrastino le distorsioni del passato, trascendano l’interesse privato e mettano il pubblico statunitense in grado di collegare temi privati a contesti storici e politici più vasti.

 

La produzione di una nuova narrativa accompagnata da indagini critiche sul passato aiuterebbe a spiegare perché ci fu partecipazione agli orrori del fascismo e che cosa ci vorrebbe per prevenire che tale complicità abbia nuovamente luogo nel presente. Paragonare l’ideologia, le politiche e il linguaggio di Trump a un passato fascista offre la possibilità di apprendere che cosa è nuovo e che cosa è vecchio nei tempi bui che sono scesi sugli Stati Uniti. La pressante rilevanza degli anni ’30 è cruciale per far fronte a come idee e pratiche fasciste si originino e si adattino a nuove condizioni e a come le persone capitolino a esse e anche vi si oppongano.

 

La scomparsa del sociale

Dagli anni ’70 la struttura sociale è stata incessantemente sotto attacco da parte di un insieme di forze politiche, economiche ed educative di programmi organizzati neoliberisti. Tutte le istituzioni al comando del capitalismo industriale hanno sancito una nozione di cittadinanza che riduce gli individui a consumatori promuovendo contemporaneamente idee di libertà di scelta definite principalmente dalla pratica degli scambi commerciali. La libertà, nella versione neoliberista, è stata trasformata in un’ossessione di egoismo, parte di una cultura di guerra che spinge ferocemente gli individui gli uni contro gli altri legittimando contemporaneamente una cultura di indifferenza, violenza e crudeltà che rigetta ogni senso di responsabilità politica e morale. Questo spesso assume la forma della libertà di essere razzisti, omofobi e sessisti, di vivere la libertà di odiare e demonizzare gli altri e di infliggere violenza e ferite morali sotto la maschera della libertà di espressione. Tali valori anche deridono qualsiasi forma di dipendenza, empatia e compassione per gli altri.

 

Atomizzazione, paura e ansia sono il terreno di coltura del fascismo. Non solo tali forze erodono l’immaginazione radicale e la resistenza collettiva; esse situano linguaggio e memoria nella morsa di una politica di spoliticizzazione. Il fascismo neoliberista insiste che tutto, compresi gli esseri umani, deve essere fatto a immagine del mercato. Tutti sono oggi soggetti a un linguaggio paralizzante di responsabilità individuale e a un apparato di disciplina che rivede al ribasso il sogno statunitense della mobilità sociale. Il tempo oggi è un peso per la maggior parte delle persone e la lezione da ricavare da questa ideologia neoliberista punitiva è che tutti sono soli a navigare nel proprio destino.

 

All’opera qui c’è un progetto neoliberista di ridurre le persone a capitale umano e di ridefinire l’agire umano oltre i legami della socialità, dell’uguaglianza, dell’appartenenza e del dovere. Tutti i problemi e le loro soluzioni sono ora definiti esclusivamente nell’ambito dell’individuo. Questo è un discorso spoliticizzante che sostiene idee mitiche di autonomia e di carattere individuale per promuovere lo strappo di solidarietà sociali e di sfere pubbliche che le sostengono.

 

Tutti gli aspetti del sociale e del pubblico sono ora considerati sospetti, compresi lo spazio sociale, le provvidenze sociali, le protezioni sociali e la dipendenza sociale, specialmente per i poveri e i vulnerabili. Secondo il filosofo Byung-Chul Han, i soggetti in una “economia neoliberista non costituiscono un ‘noi’ capace di azione collettiva. La montante promozione dell’ego e atomizzazione della società sta restringendo lo spazio dell’azione collettiva. In quanto tale blocca la formazione di un contropotere che potrebbe essere in grado di mettere in discussione l’ordine capitalista”.

 

Al cuore del fascismo neoliberista c’è un’idea di soggettivismo che celebra un iper-individualismo narcisista che s’irradia con mancanza d’interesse quasi sociopatica per gli altri con i quali condivide un globo sull’orlo della catastrofe. Questo progetto è sposato a una politica che produce un’elevata soglia di sparizione e serve a scollegare le ancore e le devastazioni materiali del fascismo neoliberista dalle sue sottostanti relazioni di potere.

Il neoliberismo fascista prospera producendo soggetti che interiorizzano i suoi valori, corrodendo la capacità di immaginare un mondo alternativo. In tale situazione non solo l’agire è spoliticizzato, ma il politico è svuotato di qualsiasi sostanza reale e incapace di contrastare la fede del neoliberismo nell’estrema disuguaglianza e nell’abbandono sociale. Ciò favorisce l’investimento profondamente radicato del fascismo nell’ultranazionalismo, nella purezza razziale e nella politica dell’esclusione terminale.

 

Viviamo in un tempo nel quale il sociale è individualizzato e in conflitto con l’idea di solidarietà un tempo descritta dal teorico della Scuola di Francoforte Herbert Marcuse come “il rifiuto di permettere che la felicità individuale coesista con la sofferenza degli altri”. Marcuse evoca un concetto dimenticato del sociale nel quale uno è disposto non solo a fare sacrifici per gli altri ma anche “a impegnarsi in una lotta comune contro la causa della sofferenza o contro un avversario comune”.

 

Un passo verso la lotta e il superamento del macchinario criminogeno dell’esclusione terminale e della morte sociale endemiche nel fascismo neoliberista consiste nel rendere l’istruzione centrale per una politica che cambia il modo nel quale le persone pensano, desiderano, sperano e agiscono. Come potrebbero linguaggio e storia adottare modi di persuasione che ancorino la vita democratica a un impegno all’uguaglianza economica, alla giustizia sociale e a una vasta visione condivisa? La sfida che abbiamo di fronte sotto un fascismo incoraggiato da un neoliberismo selvaggio consiste nel chiedere e agire su che cosa linguaggio, memoria e istruzione come pratica della libertà potrebbero significare in una democrazia. Quale lavoro possono svolgere, come può essere nutrita la speranza dall’azione collettiva e dalla continua lotta per creare un movimento democratico socialista dalla vasta base? Quale lavoro deve essere compiuto per “immaginare una politica nella quale possa crescere l’emancipazione e fiorire la libertà senza violenza? Quali istituzioni devono essere difese e per quali si deve combattere se lo spirito di una democrazia radicale deve tornare alla vista e sopravvivere?

 

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/neoliberal-fascism-and-the-echoes-of-history/

 

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