Fonte: Aurora sito
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17/03/2018
Dobbiamo combattere contro una rete internazionale organizzata
di Viktor Orbán
Traduzione di Alessandro Lattanzio
In occasione della Giornata Nazionale e tre settimane prima delle elezioni, Viktor Orbán dimostrava la propria popolarità e determinazione a lottare contro “una rete internazionale organizzata”. Il 15 marzo, l’Ungheria celebra la rivoluzione per l’indipendenza del 1848-1849. Questo è un giorno eminentemente politico per gli ungheresi, e tradizionalmente ogni partito organizza un evento coi propri sostenitori. I vari partiti di opposizione hanno raccolto circa un migliaio di partecipanti. Ma l’evento del giorno era innegabilmente la “marcia della pace”. Il Fidesz, partito di Viktor Orbán, organizzò tra il 2012 e il 2014 queste “marce della pace” per dimostrare la propria popolarità ed ineguagliata capacità di radunare le folle. La prima marcia mirava a dimostrare all’Unione europea il sostegno che Viktor Orbán gode in Ungheria, mentre negoziava sulla nuova costituzione. Ma dal 2014 non fu organizzata alcuna marcia per la pace. E quest’anno è stato un record: circa 500000 persone, nonostante la pioggia, hanno marciato a Budapest per esprimere il sostegno a Viktor Orbán. La vera dimostrazione di forza per indecisi, opposizione ed estero, la marcia dei sostenitori di Viktor Orbán riunitisi al richiamo del polemista e presentatore televisivo Zsolt Bayer, si concluse presso il parlamento dove il Primo Ministro ungherese tenne il suo discorso, il 15 marzo. Prima dell’inizio della marcia, Zsolt Bayer, personaggio storico di Fidesz e della televisione ungherese, affermò che i partecipanti sono coloro che sanno ancora cosa significa “Dio, Nazione e Patria, chi sa cos’è la famiglia e cosa i bambini rappresentano, e riconosce i due generi, donna e uomo“.
Ecco i punti salienti del discorso di Viktor Orbán del 15 marzo 2018:
All’apertura del discorso, Viktor Orbán salutava i partecipanti, in particolare le centinaia di polacchi presenti, ricordando i forti e antichi legami che uniscono Polonia e Ungheria. Per il Primo Ministro ungherese, la forza di ogni Paese è una garanzia per l’altra. E in questo senso, “la marcia della pace di quest’anno non è stata solo una questione nazionale, è stata anche un sostegno alla Polonia”. “Nelle prossime elezioni che si terranno tra tre settimane, non si tratta di votare per i prossimi quattro anni […] il problema è il futuro del Paese“. Per Viktor Orbán, i suoi sostenitori sono gli eredi dei combattenti per la libertà del 1848-49. Ricordando che per trent’anni i suoi sostenitori, unitisi dietro di lui, hanno combattuto numerose e importanti lotte, Viktor Orbán annunciava che “la battaglia principale deve ancora venire“, perché “alcuni vogliono toglierci il nostro Paese“. “Vogliono che nel giro di pochi decenni, di nostra spontanea volontà, abbandoniamo il nostro Paese ad altri, estranei di altre parti del mondo che non parlano la nostra lingua, non rispettano la nostra cultura, le nostre leggi e i nostri modi di vita. Chi vuole sostituire il nostro popolo col proprio. Vogliono in futuro che non siano noi e i nostri discendenti a vivere qui, ma altri. E non c’è esagerazione nelle mie parole“, aveva detto il Primo Ministro ungherese, spiegando la situazione nell’Europa occidentale e presentandola come controesempio. “Chi non ferma l’immigrazione ai propri confini sparirà“. Secondo Viktor Orbán, “alcune forze esterne e potenze internazionali cercano d’imporci questo“. E le elezioni dell’8 aprile sono a suo parere una buona opportunità per queste forze di far valere i loro obiettivi. “Quindi non vogliamo solo vincere un’elezione, ma il nostro futuro“. “L’Europa, e al suo interno, l’Ungheria, è arrivata a un punto critico: mai le forze patriottiche e internazionaliste si sono contrapposte così“. Per l’uomo forte di Budapest, l’opposizione è tra i milioni di patrioti e democratici e le élite globaliste antidemocratiche. “Dobbiamo confrontarci col passaggio di persone che minaccia il nostro modo di vivere. (…) Non sono i piccoli deboli partiti di opposizione che dobbiamo combattere, ma una rete internazionale organizzata come un vero impero. Media supportati da consorzi stranieri e oligarchi locali, attivisti ed agitatori pagati, ONG finanziate da speculatori internazionali, ciò che George Soros rappresenta e incarna. È questo mondo che dobbiamo combattere per preservare il nostro“.
Con retorica marziale, Viktor Orbán considerava l’opposizione nell’insieme un obiettivo alleato di George Soros e dei suoi interessi. “L’Europa è invasa. Se non facciamo nulla, decine e decine di milioni di persone da Africa e Medio Oriente verranno in Europa“. Rifiutando la passività dell’Europa occidentale, Viktor Orbán l’avvertiva contro la futura demografia africana. “Bruxelles non difende l’Europa“, aveva detto insistendo sulla disponibilità di Bruxelles a sostenere tale immigrazione. “Dopo le elezioni, cercheremo un risarcimento. Moralmente, politicamente e legalmente“. Per l’opposizione, questa frase sembrava una minaccia. “Come i nostri antenati hanno giustamente detto, un popolo codardo non ha nazione. […] Abbiamo sempre combattuto e alla fine abbiamo sempre vinto. Abbiamo rimandato a casa il Sultano e i suoi giannizzeri, abbiamo espulso l’imperatore asburgico e i suoi soldati, i sovietici e i loro compagni, e ora stiamo per espellere George Soros e le sue reti. Gli chiediamo di tornarsene negli USA e badare a loro!” Tornando al tema dell’immigrazione, Viktor Orbán spiegava che basta un solo errore: “se la diga crolla e l’acqua scorre“, diceva, “la conquista culturale diverrà irreversibile“. In conclusione, il Primo Ministro ungherese rivolse un appello ai giovani sull’importanza di avere una patria. “Caro giovane ungherese, la Patria ha bisogno di te, vieni ed unisciti a noi nella nostra lotta in modo che quando avrai bisogno della patria ne avrai ancora una“.
Il discorso si concluse con la recitazione, non il canto, dell’inno nazionale, una preghiera, e l’invito a combattere.