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21 febbraio 2018

 

Sull’astensionismo

di Tonguessy

 

Per poter capire ciò che intendo esporre, occorre prima illustrare con un breve preambolo le differenze tra sistemi lineari e non-lineari. Per semplicità ho estratto alcune frasi dal bel libro divulgativo di Paul Davies  “The Cosmic Blueprint”.

Un sistema lineare è quello in cui causa ed effetto sono messi in relazione in modo proporzionale: un elastico sottoposto ad una certa forza si estende, e con una forza doppia si estende il doppio. In linea generale in un sistema lineare l’intero è semplicemente la somma delle parti che lo costituiscono.
Viceversa in un sistema non-lineare l’intero rappresenta qualcosa di enormemente superiore alla somma delle parti e non può essere analizzato come nei sistemi lineari. Inoltre le sue proprietà risultanti possono essere inaspettate, impreviste, complicate e impossibili da trattare matematicamente. E’ facile mostrare come la natura sia per principio tanto deterministica quanto casuale. Nella pratica, comunque, il determinismo è un mito. Nelle parole di Joseph Ford: “i sistemi non-caotici sono rari come i denti di una gallina. Il determinismo regna solo in pochi domini; al di fuori di questo piccolo paradiso dell’ordine si snoda il vasto ed inesplorato territorio selvaggio del caos”.

Nella realtà il nostro universo non è un sistema meccanico lineare di tipo Newtoniano: è un sistema caotico. Il futuro è sconosciuto ed in principio inconoscibile. Nessuna intelligenza finita, non importa quanto potente, è in grado di sapere in anticipo quali forme o sistemi nuovi nasceranno in futuro.

Questo è quanto sostiene Paul Davies e non è riferibile unicamente all’ambiente della “hard science” qual’è la fisica, ma trova infiniti campi di applicazioni. Anche in politica. Basti pensare alla improvvisa fine della DC, alla impensabile nemesi del PCI diventato il magma neoliberista del PD, alla subitanea morte di PSI, PSDI, PLI, MSI etc. alla fulminea nascita della Lega o più recentemente del M5S (senza citare i molti embrioni politici tra cui spiccano oggi i movimenti sovranisti).
E’ un ambiente caotico con sprazzi di linearità, non viceversa. In politica come in natura le cose evolvono per cambiamenti improvvisi che non lasciano molto spazio a previsioni. Esistono però parametri che fanno capire di essere in prossimità di un evento caotico. Dice Davies che i sistemi in equilibrio non hanno fluttuazioni ma quando il sistema è forzato lontano dal suo punto di equilibrio allora raggiunge un punto critico conosciuto come punto di biforcazione: il sistema diventa instabile e sta per essere sottoposto ad un cambiamento improvviso.

Fu proprio grazie all’analisi incrociata di alcuni parametri che E. Todd riuscì a prevedere il crollo dell’ex URSS così come ha recentemente previsto il crollo degli USA: la società si posiziona in un punto distante dal suo equilibrio e la biforcazione la sposta rapidamente in un nuovo quadrante.
Gli fa eco Johan Galtung, il sociologo candidato al Premio Nobel per la Pace e conosciuto come ‘il padre fondatore’ della disciplina accademica “Studi per la pace e sui conflitti”. Ha previsto in modo dettagliato, grazie alla “sinergia delle contraddizioni sincronizzate” (il modello a fondamento delle sue previsioni) molti eventi importanti a livello mondiale tra i quali, oltre al declino dell’Impero Sovietico, la rivoluzione iraniana del 1978, la protesta di piazza Tienanmen avvenuta in Cina nel 1989, le crisi economiche del 1987, 2008 e 2011, e anche gli attacchi dell’11 settembre. Aveva previsto il crollo dell’impero USA per il 2025, ma grazie a Bush ci sarà un anticipo di 5 anni. Adesso con Trump ci sarà un ulteriore anticipo.
Il suo modello funziona così: più le contraddizioni aumentano, maggiore è la probabilità che causeranno una crisi sociale che potrebbe sovvertire l’ordine esistente.[1]

Ricapitolando: all’interno di un ambiente apparentemente lineare ma sostanzialmente caotico come quello politico esistono parametri che permettono di identificare l’allontanamento dal punto di equilibrio e l’avvicinamento di una biforcazione. Un esempio: novembre 1989 svolta della Bolognina che porterà allo scioglimento del PCI. Dicembre 1989: nasce ufficialmente la Lega Nord. L’astensionismo storico (1948-1976) si attesta attorno al 10% ma sale a quasi il doppio nel periodo 1988-1991. [2] Ancora: la UE nasce nel 1993 e contemporaneamente è aumentato l’astensionismo al punto che “fra i paesi membri originari dell’Unione a 12 (che costituiscono una buona base di confronto, per la loro struttura istituzionale e politica più omogenea nel periodo considerato), neanche uno oggi mostra tassi di partecipazione alle elezioni parlamentari confrontabili con quelli che si registravano negli anni ‘60-’70”.[3] E’ a mio avviso ipotizzabile che l’astensionismo possa essere un importante parametro che permette di capire quanto il sistema sia vicino al suo equilibrio o al contrario quanto sia prossimo ad una biforcazione.

Tra le cause che determinano l’allontanamento dai seggi elettorali gioca sicuramente una parte dominante la mancanza di chiarezza delle offerte politiche. Se negli anno d’oro della partecipazione  al voto esisteva una netta distinzione tra le forze operanti (destra, sinistra e centro), oggi viceversa esiste un movimento trasversale che si appella al né destra né sinistra in qualità di proposta innovativa ma che, stando a quanto dicono le statistiche, non riesce a convincere. Al crollo delle ideologie può far seguito l’entusiasmo per il pensiero debole, destinato però a trasformarsi in rapido disincanto; basti pensare alla Ostalgie che colpisce i tedeschi della ex-DDR. Nella società dello spettacolo anche le secolarizzazioni seguono i ritmi televisivi, ed il nuovo che avanza diventa già vecchio dopo poche puntate senza neanche avere mai riscosso picchi interessanti di auditel.

L’Italia ha impiegato davvero poco per uscire dalle devastazioni della guerra e diventare una Nazione industriale di prima fascia, garantendosi nel frattempo spazi sociali di tutto rispetto. I portavoce e  garanti delle diverse istanze sedevano tra i banchi delle Camere, suddivisi tra destra e sinistra così come la tradizione della Rivoluzione francese aveva insegnato. Con l’arrivo della banda del né-né finisce la semantica politica che aveva contraddistinto ideologicamente la seconda metà del secolo scorso, trascinando verso il baratro anche le percentuali bulgare di partecipazione elettorale. Viene instaurata così la “democrazia dei rimasugli” (postdemocrazia) dove non contano più i grandi numeri che caratterizzavano le precedenti tornate, ma si assiste al patetico conteggio delle rimanenze, ovvero di quello che resta della vecchia democrazia partecipata.

Qui si alza la voce imperiosa di chi sostiene che questo è un buon motivo per andare a votare: non importa cosa voti, ma vota. NON IMPORTA? Questa è, in ultima analisi, il succo della politica del né-né: se la cifra della postmodernità è l’indifferenziato, allora è giusto votare indifferenziato, dimostrando di essere in linea con i tempi. O tempora o mores…una croce a caso e subito dopo una passeggiata per un centro commerciale a vedere gli ultimi modelli di smartphone. Il problema è che non funziona. Il voto né-né rappresenta una risicata maggioranza (per il momento) che sta portando la democrazia al di fuori della zona di equilibrio e trascinandola furiosamente verso la biforcazione di cui sopra.

L’ipotetico evento non-lineare potrebbe quindi essere strettamente legato all’astensionismo. Prendiamo le elezioni tedesche durante la repubblica di Weimar: la partecipazione nel 1919 fu dell’83% ed ebbe come risultato una coalizione poco stabile al punto che l’anno successivo le elezioni vennero ripetute e l’affluenza fu del 79% con un netto calo percentuale dei socialdemocratici ed un cospicuo avanzamento dei partiti di sinistra. Ma la Germania è ancora governata dalla coalizione di centro. Notate la progressione: 1924 -77.4%, 1928-75.6%, 1930-82%. Cos’era successo? Negli anni 20 nonostante la costante progressione dei partiti di sinistra, la coalizione rimaneva saldamente in mano ai socialdemocratici mentre le condizioni economiche e sociali non miglioravano. Quindi l’affluenza segnava un vistoso calo. Poi entra in scena il NSDAP, il partito di Hitler, che sa catalizzare le speranze. Ecco che aumentano le percentuali di partecipazione al voto. Sappiamo poi com’è andata a finire.

Fatte le debite differenze (e scongiuri) oggi in Italia parrebbe esserci una situazione analoga, con il M5S capace di catalizzare l’attenzione dei delusi. Ma è veramente così? Vediamo la progressione dei votanti: 1994-86.3%, 1996-82,8%, 2001-81,3%, 2006- 81,2%, 2008-78,1%, 2013-72,2%. Con il recente 27.8%  gli astensionisti dimostrano di essere la più cospicua forza politica italiana, peraltro in continua ascesa. Nelle ultime amministrative (2017) segnavano un clamoroso 54%, il che lascia supporre che neanche alle prossime politiche ci sarà quell’aumento di interesse popolare verso il voto che guidò l’ascesa di Hitler (mi perdonino i pentastellati per i continui paralleli), anche se ci sono punti di somiglianza storica: la crisi, la stanchezza verso una classe politica che non sa fronteggiarla adeguatamente, la presunta volontà di superare il dualismo destra-sinistra collocandosi dalla parte del popolo, l’uso del populismo come arte antisistema e via elencando. Con queste percentuali la biforcazione si fa sempre più vicina: il bacino dei “delusi” si fa sempre più grande e questo non può che allontanare la democrazia dal suo stato di equilibrio. Manca però (a mio avviso) l’elemento catartico. Manca Hitler mentre abbondano i neoliberisti-europeisti. I numeri dicono questo.

Il sistema Italia non ha apparentemente capito che scagliandosi contro gli astensionisti o trasformando il dibattito politico in caciara o in proclami indifferenziati (il né-né,  l’a-ideologico, il trasversale etc.) sta segando il ramo su cui è seduto: l’unico metodo per allontanare l’imminente biforcazione  è rappresentato dal sostanziale aumento delle quote di partecipazione al voto. Il che vuol dire dotare di significato i programmi politici. Gli italiani pare abbiano capito molto bene il caos che regna e se ne stanno a debita distanza ad osservare l’indefessa attività delle seghe.
“Siamo in un mondo virtualmente banalizzato, neutralizzato, dove per una sorta di terrore preventivo niente può più aver luogo” scriveva J. Baudrillard sintetizzando splendidamente il senso del né-né.[4]

A questo punto ritornare ad un equilibrio democratico può avvenire se e solo se l’offerta politica diventa interessante per i votanti. Viceversa proseguendo con l’attuale banalizzazione del né-né le percentuali di astensione sono destinate ad aumentare, rendendo di fatto la democrazia un vuoto esercizio retorico foriero di sorti imprevedibili. Demos si riferisce al popolo, non ad una percentuale minoritaria. Le ultime amministrative non possono essere definite democratiche, ma oligarchiche: un sistema politico dove una minoranza (46%) suddivisa in rissose ed irrisorie percentuali decide le sorti della cittadinanza non mi pare possa essere definita democrazia.

L’indifferenziato postmoderno oltre alla politica colpisce anche la semantica, rendendo caotici anche i concetti più semplici quali democrazia e oligarchia. La politica diventa apolitica, i politici sono ormai apolidi difensori di una nazione senza più confini e degli interessi internazionali, il senso stesso di democrazia sprofonda nei lugubri meandri della oligarchia al grido di “ordo ab chao” massonico.
Alla biforcazione voi dove andrete? A destra o a sinistra?

 

Il caos è solo ordine che attende di essere decifrato (José Saramago)

 

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