Fonte: Libero
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19/11/2018
L’Italia può vincere la guerra all’Europa
di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Martedì sera Bloomberg ha scritto: «I populisti in Italia scoprono il bluff della Ue», ripresentando il budget dell’Italia tale e quale, senza nessuna riduzione del deficit pubblico indicato al 2,4% che la Ue voleva invece tenere all’1,8%. È un mese che scriviamo su questo giornale la stessa cosa: la Ue non ha nessuna carta in mano contro il governo, sta bluffando pensando che i nostri si sarebbero lasciati intimidire dal rialzo dei tassi sui Btp. Ma negli ultimi giorni si sono moltiplicati sulla stampa estera gli editoriali e le analisi a sostegno della manovra (debolmente) espansiva del governo italiano. Paradossalmente trovi l’allarmismo solo in Italia e nella Commissione europea e la riprova ora viene dal ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz che ha detto al canale finanziario Cnbc: «Bisogna comprendere le ragioni dell’Italia» nel fare questo piccolo deficit «per sostenere il reddito di chi non trova lavoro da anni» (cioè il reddito di cittadinanza). Lo spauracchio dello spread questa volta non funziona, perché, la situazione è completamente diversa da quella del 2011 in quanto anni di massicci acquisti di miliardi di titoli pubblici da parte della Bce hanno schiacciato i rendimenti del debito a zero o sottozero in gran parte d’Europa.
SPINTA AGLI ACQUISTI
Il fatto che l’Italia ora si ritrovi a pagare un 3,3% sui Btp a lunga scadenza è in realtà qualcosa che può spingere investitori sia italiani che stranieri a comprarli. Perché nel resto d’Europa ricevi zero e in America ricevi il 3% e rotti, ma con inflazione vicina al 3% e un deficit che sta esplodendo a 800 miliardi di dollari l’anno (altro che i 40 mld l’anno dell’Italia). Oggi i titoli di stato italiani sul mercato sono detenuti per un 30% da stranieri, ma per un altro 30% da Bce, Bankitalia e Banche italiane e infine per un 40% (850 miliardi circa) da fondi, fondi pensione, assicurazioni, poste italiane, cioè dalle famiglie italiane ma senza accorgersene, in modo indiretto.
Un rendimento dei Btp al 3,3% come quello attuale («lo spread»!) non ha nessun effetto su Bce, Bankitalia e banche italiane e invece può indurre sia esteri che istituzioni finanziarie che gestiscono il risparmio degli italiani a comprarne, dal momento che nel resto del mondo non ottengono nessun rendimento!
Lo sappiamo che molti commentatori agitano lo spettro delle povere banche italiane con 370 miliardi di Btp a bilancio che ora soffrirebbero perdite e poi aumentano i mutui. Ma sono tutte balle. Finora i mutui sono variati in media, come mostra anche il Sole24Ore, dello 0,1% cioè invece di un 1,7% magari pagherai un 1,8%. Gli americani oggi sul loro classico mutuo a 30 anni tasso fisso pagano il 4,8% medio, senza che nessuno parli di un’emergenza nazionale. In tutto il mondo quest’anno c’è stato un leggero aumento dei tassi di interesse su mutui e crediti e in Italia siamo ancora a livelli molto bassi. Le banche poi in realtà possono proteggersi dallo “spread” (aumento dei tassi e calo del valore dei Btp) con un sistema molto semplice: spostare i Btp a bilancio dal “conto di trading” in cui vengono segnate le oscillazioni di prezzo al “conto di titoli tenuti alla scadenza” in cui invece si segna solo il prezzo iniziale (il titolo alla scadenza viene rimborsato alla pari).
SPOSTAMENTO CONTABILE
Quatte quatte ora le banche hanno cominciato ad effettuare questo spostamento contabile, che impedisce loro di speculare (fare “trading”), ma in cambio le protegge dal dover segnare perdite a fine anno se i Btp scendono di valore sul mercato. Il governo anzi dovrebbe tramite Bankitalia costringerle a tenere tutti i Btp nel conto “titoli detenuti fino alla scadenza” in modo da evitare speculazioni e anche perdite di bilancio fittizie. A pensarci bene, con questo semplice trucco contabile (del tutto lecito e adottato nella maggioranza dei paesi del mondo vedi America, Cina o Giappone), elimini il problema dello spread per le banche.
Per lo Stato ci sono, è vero, da pagare 6 miliardi di interessi in più l’anno, ma sono uno 0,4% del Pil, una cifra piccola e andranno probabilmente a investitori italiani che a questi livelli dei tassi preferiranno magari i Btp ai prodotti del risparmio gestito bancario che gli stanno facendo solo perdere soldi. In conclusione, sono passati già quasi tre mesi di crisi dello spread e come avevamo scritto si sta rivelando un bluff che Salvini fa bene a smascherare. La Ue aveva solo la carta dello spread da giocare e questa volta non ha funzionato. |
Fonte: Paolo Becchi
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21/11/2018
Il debito pubblico italiano è creato dall’usura
di Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Vogliamo dirlo chiaro e tondo: lo Stato italiano è vittima dell’usura. Gli interessi si cumulano sugli interessi e fanno crescere il debito anche se non ci si indebita più. Da 25 anni lo Stato non ha o meglio non avrebbe bisogno di indebitarsi perché incassa più tasse di quello che spende: nell’ultimo anno circa 30 miliardi di tasse in più delle spese, ma risulta in deficit di circa 40 mld l’anno perché paga circa 70 mld l’anno di interessi. Questo succede dall’inizio degli anni ‘9O: da allora lo Stato ha pagato 2.500 miliardi di interessi, più del debito. Lo Stato ha un debito di circa 2.380 miliardi anche se da 25 anni non si indebita perché ha pagato ben 2.500 miliardi di interessi dai primi anni ‘9O. Questo è un caso classico di usura, l’incremento del debito dovuto solo all’accumulo nel tempo degli interessi e che diventa impossibile da ripagare perché gli interessi sono troppo alti.
L’aumento dello spread è un fenomeno di usura ai danni dello Stato. Ecco perché.
VITTIME DI USURA
Al momento un risparmiatore italiano che compri titoli di Stato guadagna, al netto dell’inflazione, più del 2% netto e se compra i Btp a 10 anni quasi un 2,5% netto più dell’inflazione. Nel resto del mondo chi compra i titoli di Stato oggi al massimo invece recupera l’inflazione (così in America) oppure perde ogni anno, se si considera l’inflazione (in Germania). Un risparmiatore tedesco che compri titoli di Stato tedeschi a 10 anni perde, al netto dell’inflazione, circa il 2% netto e se compra titoli a uno o due anni perde il 3% netto! In Germania i tassi di interessi a 10 anni sono
infatti scesi sotto lo 0,5% (e quelli a 1 o 2 anni sono meno di 0%), e con inflazione intorno al 2%. Per cui lo Stato tedesco riduce il suo debito ogni anno, grazie al fatto che il risparmiatore che compri i titoli di Stato perde dal 2% al 3% l’anno, regala cioè una parte dei suoi soldi allo Stato. Questo succede perché la Germania ha poco debito pubblico? Balle. Lo stesso avviene in Giappone, dove con debito pubblico doppio di quello italiano lo Stato paga lo 0,1% in media con inflazione sopra 1%.
In Italia i tassi di interesse sui titoli di Stato a 10 anni sono saliti al 3,5%, livello pari a prima della crisi del 2008. Ma allora l’inflazione era intorno al 3% e oggi è intorno all’1% per cui questi sono i tassi più alti in termini reali degli ultimi 10 anni. Questo significa che chi mette soldi in titoli di Stato a 10 anni guadagna il 3,5% di un Btp contro inflazione all’1,2% ma lo Stato si svena. A questi tassi di interesse lo Stato deve far crescere i suoi incassi di tasse almeno dei 3,5% annuo solo per restare in pari. Se il Pil non cresce almeno del 3,5% (inclusa inflazione) il peso del debito aumenta.
LO STATO NON E’ UNA FAMIGLIA
Mettersi in questa situazione è assurdo, perché lo Stato a differenza di una famiglia o impresa non è obbligato a indebitarsi, può emettere moneta. Che lo Stato debba avvalersi del potere di emettere moneta non è solo una tesi “poptilista”, ma quello che sanno tutti nel mondo finanziario. Standard & Poor’s, la società di rating, nel suo comunicato sull’Italia ha spiegato che «i rating degli Stati che hanno ceduto
l’emissione della moneta e il controllo del tasso di cambio ad una Banca Centrale sovranazionale (la Bce…), secondo i nostri criteri sono uguali a quelli degli Stati che emettono debito in una valuta estera… i rating del debito pubblico emesso in valuta locale tendono ad essere più alti di quelli del debito in valuta estera».
E chiaro? S&P dice che se uno Stato può emettere moneta ha un rating più alto di uno Stato che cede l’emissione di moneta a una Banca centrale sovranazionale come la Bce. L’Italia, cioè, avrebbe un rating più alto se avesse la lira e il controllo della sua Banca centrale, che può emettere moneta. Le società di raring dicono che è meglio dal loro punto di vista se uno Stato può stampare moneta e lo Stato italiano non potendo più farlo, a causa dell’ Euro, ha un rating più basso ora. Perché se puoi stampare moneta puoi sempre ripagare il debito pubblico che è nella tua moneta. |