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La camionetta di Casapound di Franco Berardi Bifo
14 febbraio 2018, le elezioni italiane si avvicinano, in un clima triste, cinico,anzi diciamo pure disperato. È prevedibile che entro l’anno la troika intervenga per mettere il paese sotto controllo. In Grecia si preparano ad affrontare i macedoni a nord e i turchi a est, mentre le trivelle dell’Eni che cercano gas sotto il mare di Cipro sono ferme e il dittatore ottomano minaccia di applicare contro gli italiani le stesse tecniche che già sta applicando contro la città di Afrin: è lo stermino che si prepara in ogni nicchia.
C’è il sole stamattina anche se l’aria è frizzantina. Vado a comprare i giornali all’edicola di angolo tra via Rizzoli e il Pavaglione, l’angolo degli imbecilli si diceva un tempo a Bologna non so perché. Il manifesto, La Repubblica, il New York Times come ogni giorno. Mentre pago sento una musica militare che viene da dietro, dalla strada. Salgo in bicicletta, mi affretto per vedere di che si tratta. C’è una camionetta con due grandi bandiere italiane che sventolano sopra, e due bandiere con la tartaruga nera di Casapound. Sul tettuccio un uomo in piedi e un megafono da cui esce una specie di marcetta militare.
Li seguo in bicicletta fin sotto le due torri, poi supero la camionetta che procede lentissima per farsi vedere dalla gente che affolla il centro. Senza riflettere accelero, fermo la bici all’inizio di Strada Maggiore proprio davanti al muso della camionetta che si blocca. Il conducente, un signore sulla cinquantina mi guarda con aria indifferente. Sorride con aria di superiorità e di scherno. Io gli mostro l’indice della mano destra e non mi muovo per una manciata di secondi mentre una fila di auto si ferma dietro la camionetta e qualcuno comincia a suonare. Una folla di turisti fotografa la scena, due signore applaudono (forse me, credo ma forse le bandiere italiane chi lo sa).
A questo punto mi rendo conto del ridicolo in cui mi trovo. Un anziano signore coi capelli bianchi mostra il dito medio a due signori di mezza età che stanno percorrendo il centro cittadino su una camionetta imbandierata. Mi sento sprofondare nella farsa, mentre fuori da questa scenetta si sta svolgendo una tragedia.
Quando dico che il fascismo ha già vinto senza bisogno di aspettare il 4 marzo voglio dire solo questo: l’eroica farsa riprende con tutte le trombette e le bandiere, come se niente fosse accaduto nel mezzo, come se i cadaveri fossero tutti resuscitati. Ma questo ha poca importanza. Quella piccola minoranza di pomposi imbecilli con labari e svastiche non è il vero problema. Il vero problema è un ministro degli Interni determinato esecutore di uno sterminio che ci assicura con un sorrisetto che il fascismo è morto. Il vero problema sono i turisti che fotografano, la grande maggioranza rimbambita che assiste e fa cenno di sì o di no mentre lo sterminio inizia, e si svolge si svolge si svolge, di giorno e di notte ma in silenzio, troppo lontano, per ora, in attesa di tirare le somme fra cinque o dieci anni, quando in mezzo alle rovine un bambino cieco muoverà le mani cercando qualcosa o qualcuno.
Io non ci sarò più se dio mi fa la cortesia di risparmiarmi lo spettacolo finale. Molti, (pochi in realtà, per fortuna) nell’incoscienza più indecente, mettono ancora al mondo dei bambini.
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