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03 Ottobre 2018

 

A proposito di debito pubblico e spread

di Nemo

 

Ogni anno, al momento delle deliberazioni del Governo sul bilancio dello Stato, riemergono gli allarmi e i dibattiti sul debito pubblico e il cosiddetto “spread”, ovvero la differenza tra il tasso d’interesse dei titoli tedeschi presi come punto di riferimento e quelli italiani.

A questo proposito, sono necessarie alcune riflessioni:

 

I titoli di Stato, BOT a scadenza breve e titoli pluriennali, sono emessi e offerti in vendita al tasso di mercato di quel momento. L’acquirente ha il diritto di percepire quell’interesse, che non può certamente variare giorno per giorno o addirittura ora per ora, come avviene in Borsa. Cosa rappresenta allora quell’indice sul quale si alimentano tante speculazioni politiche e finanziarie? Rappresenta lo sconto sul valore nominale che, in caso di rialzo rispetto al tasso d’emissione, il titolare del titolo in vendita chiede all’acquirente. Questo fatto riguarda però solo i grandi possessori dei titoli - in genere banche, assicurazioni, fondi d’investimento – che li acquistano in massa per rivenderli al dettaglio: i piccoli risparmiatori, i cosiddetti “cassettisti”, che li hanno acquistati aspettando la scadenza per riscuotere l’interesse, non hanno – tranne quelli che li vogliono vendere subito per necessità – di queste preoccupazioni. Ciò spiega l’attenzione che la stampa, posseduta o influenzata da quei centri finanziari, dedica alla questione;

 

In ogni caso, l’aumento dello “spread” anche elevato non influisce sul complesso del debito pubblico perché esso, per effetto di un’accorta politica seguita dai ministri del tesoro, tende ad allungare le scadenze a 10 – 15 anni. Quindi, l’aumento del costo degli interessi da corrispondere agli acquirenti dei titoli, incide solo su quelli scadenti e rinnovati ogni anno che ammontano a 4 – 500 miliardi. Un’eventuale 2 % in più rispetto al tasso precedente significa 8 – 10 miliardi: cifra certamente ingente, ma assorbibile dal bilancio di uno Stato che, come l’Italia, ha un bilancio di 800 miliardi annui. E poi, basta aumentare leggermente l’ammontare dei titoli emessi per recuperare anche quella cifra, sperando che nel futuro la situazione cambi.

 

 

Da quanto sopra esposto se ne deduce che, poiché la maggior parte dei titoli sono acquistati dai cosiddetti “investitori istituzionali”, ossia le società finanziarie sopra indicate, essi hanno interesse (è il caso di dirlo!) a far diffondere notizie allarmistiche al limite del terrorismo psicologico per lucrare sia sul mercato secondario in Borsa o nelle banche, sia nell’acquisizione diretta da parte dello Stato.

 

Infine, non bisogna dimenticare le manovre speculative che un Paese, o una grande Banca, possano attuare in modo massiccio per indebolire politicamente un Paese e la sua economia, imponendogli il rialzo dei tassi d’interesse sulle emissioni future.

 

Ci sarebbero poi da fare delle considerazioni sul debito pubblico italiano e, a questo proposito, nel corso dei vari dibattiti televisivi di questi giorni, qualcuno ha osservato: ma se l’Eurozona ha una moneta comune e una banca centrale che emette moneta, non dovrebbe essere questa ad emettere titoli europei garantiti dal complesso delle economie dei Paesi europei e poi distribuire il ricavato ai vari Paesi che hanno adottato l’Euro? Così si sfuggirebbe al meccanismo perverso dello “spread” che mette in concorrenza tra loro i Paesi membri: era questa la proposta degli “eurobond” formulata a suo tempo dal ministro Giulio Tremonti.

Altro quesito: se il Trattato di Maastricht indicava il tetto massimo del debito pubblico al 60% del p.i.l., non sarebbe stato anche giusto che la somma di questi debiti pubblici, vista al momento dell’entrata in vigore dell’euro, se la fosse accollata la Banca Centrale Europea come un’eredità passiva rispetto a quella attiva dell’emissione della moneta e delle riserve auree?

 

Tutti interrogativi legittimi, che tuttavia la cosiddetta “grande stampa d’informazione” (che poi sta diventando sempre più piccola perdendo decine di migliaia di copie vendute…) evita accuratamente di approfondire.

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03 Ottobre 2018

 

La grande fregatura: il debito pubblico

di Andrea Brizzi

 

“Datemi il controllo sulla moneta di una nazione e non mi preoccuperò di chi ne fa le leggi” – così era solito affermare Mayer Amschel Rothschild, banchiere ebreo tedesco del XVIII secolo, praticamente il fondatore della dinastia bancaria dei famigerati Rothschild. Questa citazione è funzionale ad introdurre il tema del controllo dell’emissione della moneta, e conseguentemente la grande fregatura del debito pubblico.

Il concetto di debito pubblico prima di essere un fumoso tecnicismo di cui si capisce e si conosce ben poco, è il protagonista assoluto della politica parlamentare e degli ostacoli che si oppongono allo sviluppo della società. Siamo oramai così tanto abituati alla sua esistenza, che nemmeno ci domandiamo più che cosa sia o perché esista, ma soprattutto perché dobbiamo continuare ad essere soggetti ad esso.

Alle prime due implicite domande si risponde semplicemente dicendo che; il debito pubblico è l’effetto diretto del controllo privato sull’emissione della moneta, poiché essa nonostante appartenga ai cittadini detentori, e abbia le effigi delle istituzioni correnti che ne garantiscono l’accettazione valoriale, viene emessa da istituti di credito privati, i quali ne rivendicano la proprietà all’atto dell’emissione e successivamente la “prestano” agli stati e ai cittadini con un certo tasso di interesse deciso dagli stessi enti che l’hanno emessa, questo ovviamente causa l’aumento spropositato del debito.

Probabilmente se qualcuno si prendesse la briga di spiegare questo perverso sistema, anche i bambini sarebbero in grado di capire che con un meccanismo del genere, il debito pubblico è in realtà inestinguibile, poiché per estinguerlo gli stati si servono dello stesso processo per il quale viene creato. Visto e considerato che per estinguere il debito c’è bisogno di ripagare gli interessi ai creditori, e per ripagare gli interessi è necessaria la moneta, la quale viene creata dal nulla da coloro che poi la prestano, allora si capisce come il debito pubblico sia in realtà una grande fregatura, e che viene usato da istituzioni perverse e degeneri per esercitare un controllo totale sullo spazio politico degli stati.

Diceva Ezra Pound che: “uno stato che non ha il denaro per costruire un ospedale, è come un ingegnere che non ha i chilometri per costruire una strada” – tutto quello che “non si può fare” da un punto di vista di stato sociale, iniziative economiche, ricerca, innovazione ecc., ha come problema di base la mancanza di denaro, il quale non può essere creato dagli stati, ma come già detto deve necessariamente essere prestato dalle banche che emettono la moneta. Non sto affermando che il controllo della moneta risolverebbe totalmente i problemi dei paesi, ma certamente porrebbe ottime basi alla loro risoluzione.

Un sistema economico basato su una moneta creata quasi esclusivamente dal sistema bancario ed immessa in circolazione solo attraverso il prestito gravato da interesse, non è sostenibile e provoca continuamente le situazioni di crisi economica che stiamo sperimentando sulla nostra pelle. I meccanismi accennati in precedenza non fanno che arricchire pochi e spregevoli banchieri, e conseguentemente affamare il popolo, limitare il potere politico dello stato e quindi dei cittadini stessi. Dobbiamo necessariamente ripensare le teorie monetarie e l’economia globale, per creare un’alternativa al liberismo sempre più feroce, e combattere l’ingiustizia che attanaglia la nostra società.

In conclusione, per ritornare alla terza e ultima domanda che ci eravamo posti, ovvero perché dobbiamo continuare ad essere soggetti al debito, la risposta è: perché semplicemente accettiamo che sia così. Non esistono infatti vincoli politici e/o legali che obblighino gli stati ad essere schiavi di spregiudicati banchieri senza scrupoli, questa situazione deve essere risolta politicamente, immaginando un sistema monetario che operi per la comunità e non per i grandi ricchi, che sia sottoposto ad un totale controllo da parte degli stati, e che sia immune a bolle speculative e crisi finanziarie. La parola d’ordine è sovranità monetaria, tutto il resto viene dopo.

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