https://ilmanifesto.it/
7 giugno 2018
Operaio licenziato si cosparge di benzina sotto casa del ministro Di Maio
di Adriana Pollice
Pomigliano. La cassazione ha confermato la pena per i cinque lavoratori che usarono manichino appeso di Marchionne
Mimmo Mignano ieri pomeriggio a Pomigliano d’Arco si è incatenato davanti casa del vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, si è cosparso la testa di benzina minacciando di darsi fuoco. È stato bloccato dalle forze dell’ordine, che poi lo hanno portato all’ospedale di Nola per controlli agli occhi. Erano passate poche ore dalla sentenza della Cassazione che, ribaltando la decisione della Corte d’Appello di Napoli, ha condannato in via definitiva al licenziamento Mignano e altri quattro lavoratori Fca (Marco Cusano, Antonio Montella, Massimo Napolitano e Roberto Fabbricatore). Nel 2014 avevano inscenato il funerale dell’ad Sergio Marchionne davanti ai cancelli della fabbrica di Pomigliano, l’azienda li aveva sbattuti fuori, decisione confermata dal tribunale di Nola ma annullata nel 2016. Ieri la Cassazione ha dato ancora ragione al Lingotto stabilendo che «le modalità espressive della critica hanno travalicato i limiti di rispetto della democratica convivenza civile», con «un comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia alla base del rapporto di lavoro».
Di parere opposta era stata la Corte d’Appello: i giudici avevano disposto che venisse applicata la misura più favorevole agli operai prevista dalla legge Fornero, condannando Fca «alla reintegrazione dei lavoratori nel pregresso posto di lavoro, nonché al risarcimento del danno». L’azienda però non li ha mai reintegrati: li ha pagati per due anni facendoli stare a casa in attesa paziente della Cassazione. I cinque hanno lottato per tornare in fabbrica: Mignano è rimasto per sei giorni su una gru a Napoli, in piazza Municipio e un giorno sulla torre abbandonata dell’ex Ilva di Bagnoli. Sono stati in presidio permanente a piazza Municipio dormendo in auto perché tanto erano già finiti per strada, senza casa e con le famiglia smembrate. Sono stati all’ultimo festival di Sanremo: mentre Lo Stato sociale cantava un brano che raccontava la loro storia il comune faceva loro il foglio di via.
Perché avevano protestato nel 2014? «A Pomigliano – ha più volte raccontato Mignano – il clima era terribile: tre suicidi di colleghi e altri tentati suicidi; 316 lavoratori spostati al Wcl, il reparto logistico di Nola rimasto per otto anni senza alcuna missione produttiva ma utilizzato come sito punitivo per chi dava fastidio o aveva Ridotte capacità lavorative; la maggior parte della forza lavoro in cassa integrazione ininterrotta dal 2008». Dopo il funerale di Maria Baratto (operaia del Wcl che si tolse la vita con tre coltellate), il 5 giugno 2014 in venti decisero di inscenare con un manichino il suicidio di Marchionne. Secondo Fca si sarebbe trattato di un gesto lesivo della dignità dell’ad nonché di istigazione alla violenza.
Per la Corte d’Appello si era trattato di una rappresentazione aspra ma protetta dal «diritto di svolgere, anche pubblicamente, critiche dell’operato altrui (anche del datore di lavoro), che in una società democratica deve essere sempre garantito». Del resto due dei suicidi avevano lasciato testimonianze scritte della loro angoscia provocata dall’incertezza per il futuro in fabbrica. Il 21 maggio scorso i cinque si erano presentati davanti al Quirinale per ribadire che la loro unica colpa era stata «aver denunciato la condizione di insicurezza e la mancanza di prospettive in Fca». In effetti, dopo l’Investor day del primo giugno, non c’è ancora chiarezza sulla missione produttiva di Pomigliano e non c’è traccia della piena occupazione promessa: dai contratti di solidarietà si passerà a 15 mesi di cig straordinaria per ristrutturazione. «Abbiamo costituito il Coordinamento degli operai autorganizzati con i lavoratori di Melfi, Cassino, Termoli, Mirafiori – racconta Montella -. Ieri mattina eravamo ai cancelli di Pomigliano a fare volantinaggio, poi è arrivata la notizia della sentenza, che è come un avvertimento per gli operai: state zitti o fate una brutta fine».