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8 febbraio 2018
Arriva la polizia per “scoraggiare” la ricerca storica sulle foibe
Al Liceo “Pasteur” di Roma arriva la polizia durante una conferenza della storica Alessandra Kersevan su foibe e revisionismo.
Di seguito un comunicato di alcuni docenti e ATA sull’accaduto:
Sorvegliare e punire
Apprendiamo con preoccupazione che i controlli della Polizia di Stato compiuti nel Liceo “L. Pasteur” di Roma durante la conferenza di martedì 6 febbraio “Foibe: verità e revisionismo storico” sono stati richiesti dalla Dirigente scolastica.
Il referente del progetto didattico “Guerra e lavoro”, la relatrice della conferenza, i docenti, gli studenti, il personale ATA non sono stati né consultati né informati di questa visita.
La dirigente ha dichiarato di aver chiamato la polizia per motivi di sicurezza, viste le precedenti contestazioni di stampo neofascista della storica Alessandra Kersevan, relatrice della conferenza.
La polizia si è presentata in borghese e armata nella scuola, era sprovvista di tesserino per visitatori, ha eseguito riprese video, ha prelevato da una parete la locandina della conferenza in questione, è entrata in aula magna durante l’incontro. Questa presenza indecifrabile ha destato inquietudine e tensione presso vari professori, membri del personale ATA e studenti che hanno respirato un clima tutt’altro che rassicurante. Studiosi e organizzatori non si sono sentiti tutelati ma controllati e intimiditi.
Un ambiente di apprendimento libero non tollera condizionamenti. Né le organizzazioni neofasciste né i controlli delle forze dell’ordine né la subcultura della par condicio devono limitare le nostre ricerche. Nella nostra scuola si sta facendo sempre più frequente il ricorso alla polizia e ai suoi metodi: cani poliziotto e perquisizioni, conferenze con polizia in cattedra e invito alla delazione per gli studenti più piccoli, controlli e intimidazioni per le conferenze non gradite. Si stanno introducendo cambiamenti di indirizzo culturale che contraddicono una tradizione di chiarezza riguardo al confine tra il ruolo dell’educatore e quello delle forze dell’ordine: una cultura repressiva che rischia di confondere lo stesso docente.
Una scuola che ha paura e che scoraggia la libera ricerca, non è una scuola critica e antifascista.