Fonte: Interesse Nazionale

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18/01/2018

 

Siamo cittadini italiani o sudditi europei?

di Alessandro Montanari

 

...Confidiamo che il governo assumerà le azioni appropriate.
Mario Draghi, Jean-Claude Trichet

 

Non c'è schiavo più indifeso di chi non riesca a vedere le proprie catene. Ricchi, poveri, vincitori e vinti di quest'ordine darwiniano che, da noi, prende il nome di Unione Europea: guardate i vostri polsi. Che siano pesanti e vistose come bracciali d'oro o trasparenti e impalpabili come fili di nylon, le manette restano sempre manette. E una prigione, anche se fornita di celle di prima e seconda classe, resta sempre una prigione.

Ricorro a quest'immagine perché credo non vi sia dignità per nessuno, nemmeno per i privilegiati, in un Paese spogliato della propria libertà e nel quale persino la decisione solidale di soccorrerci l'un l'altro, con politiche di piena occupazione e riduzione della diseguaglianza, ci viene formalmente negata da ormai sette anni. Era il 5 agosto 2011 e io ricordo quella data come il giorno in cui la Bce espropriò il nostro Paese del diritto di decidere del suo stesso futuro.

In questi giorni di campagna elettorale mi è capitato, del tutto casualmente, di rileggere quella lettera, firmata in coppia da Jean-Calude Trichet e Mario Draghi, e confesso di aver provato imbarazzo e vergogna nel constatare con quanta abnegazione, talvolta entusiasta, talaltra remissiva, ci siamo piegati ad obbedire alla lunga lista di quei diktat. Voglio ripercorrerla con voi per poi chiedervi, di nuovo, di guardare ai vostri polsi di “nati liberi”.

Dopo aver chiarito che l'azione si rendeva “necessaria per ristabilire la fiducia degli investitori” - gli stessi gentiluomini, suppongo, che gonfiarono lo spread per poi sgonfiarlo a cambio di governo ottenuto - la lettera cominciava a descrivere, passo per passo, tutto ciò che avremmo dovuto fare per espiare il nostro peccato originale di capitalisti da compromesso storico. Cominciando, naturalmente, dalla più radicale e irreversibile di tutte le abiure: l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Varato dal Governo Berlusconi nel consiglio dei ministri dell'8 settembre 2011 (già nel '43 data di un'illusione di pace...), quando ancora la lettera della Bce non era stata resa nota all'opinione pubblica, il provvedimento venne poi approvato dal Parlamento italiano in soli sei mesi e con una maggioranza tale da neutralizzare il possibile ricorso al referendum confermativo popolare. L'azione fu così fulminea che molti di noi neppure se ne accorsero.

Lo scassinamento della Costituzione con l'inserimento del pareggio di bilancio, tuttavia, era solo il primo degli ordini che ci venivano imposti e che noi abbiamo zelantemente eseguito. Ed ora ve li rammenterò tutti, uno per uno, ricordandovi cosa abbiamo fatto e cosa ancora ci resti da fare.

La Bce ci chiedeva di “rivedere le norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti” (legge Fornero più Jobs Act, fatto!), di “intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico” (legge Fornero, fatto!), di “ridurre i costi del pubblico impiego rafforzando le regole per il turnover e riducendo gli stipendi” (blocco del turnover, sospensione del rinnovo dei contratti, nuovi criteri di licenziabilità degli statali, fatto!), di introdurre “una clausola di riduzione automatica del deficit che specifichi che qualunque scostamento dagli obiettivi di deficit sarà compensato automaticamente con tagli orizzontali” (clausole di salvaguardia, fatto!) e di mettere “sotto stretto controllo l'assunzione di indebitamento e le spese delle autorità regionali e locali” (consolidamento del patto di stabilità interno, fatto!).

Ma non è finita qui. La lettera di Draghi e Trichet raccomandava inoltre che “le azioni elencate” fossero “prese il prima possibile per decreto legge (fatto, rifatto e ri-rifatto!), suggerendo di procedere ad “una riforma costituzionale che renda più stringenti le regole di bilancio” (fatto!) nonché di “abolire o fondere alcuni strati amministrativi intermedi come le Province” (fatto!).

Come indicazioni di principio ci veniva infine ingiunto di neutralizzare i sindacati, liberalizzare e, naturalmente, privatizzare. Ordini un po' più generici ma resi perentori e inequivocabili dalla sollecitazione a “riformare il sistema di contrattazione salariale collettiva” (lavori in corso) e a procedere alla “liberalizzazione dei servizi pubblici locali” e “a privatizzazioni su larga scala” (lavori in corso).

Mi sembra il caso di aggiungere un altro particolare, spesso trascurato. Una cosa che non ho ancora detto, ma che mi sembra il caso di ricordare, è che la lettera della Bce sarebbe dovuta rimanere segreta. Noi cittadini italiani, insomma, non avremmo dovuto sapere che il nostro futuro era già stato scritto, fin nei minimi dettagli, all'ultimo piano di un grattacielo di Francoforte. Accadde però che il Corriere della Sera, un mese dopo l'arrivo della lettera sulle scrivanie di Palazzo Chigi, ne pubblicò integralmente il testo.

Non desidero avventurarmi in interpretazioni dietrologiche ma mi sembra evidente che quella pubblicazione, che certo rispondeva all'imperativo deontologico del giornalista di divulgare ogni notizia di cui si viene a conoscenza, potesse sortire nel Paese solamente due tipi di reazioni, di forza eguale ma di segno contrario. Avrebbe potuto stimolare una più docile rassegnazione popolare alla saggia ineluttabilità di quelle riforme. Oppure avrebbe potuto suscitare ostilità contro quell'intimidazione sfacciata, autoritaria nella forma così come opinabile nei contenuti, in particolare economici. Prevalse, prevedibilmente, la rassegnazione. E la rassegnazione ha avuto un costo salato.

Avevo detto che vi avrei chiesto di guardare nuovamente i vostri polsi. Fatelo adesso. Ora dovreste essere in grado di riconoscere le vostre catene. E di decidere se si può essere, al tempo stesso, cittadini italiani e sudditi europei.

 

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