http://sbilanciamoci.info/

14 dicembre 2018 

 

Douce France

di Guglielmo Ragozzino

 

La ribellione dei gilets jaunes nasce dal costo del carburante ma guardando il film di Agnés Varda sembra di vedere il prequel di questo racconto di una umanità radunata di sabato in sabato nei round-point della Francia per avere un ascolto, esistere, persone che si sentono esposte e non protette, immigrati inclusi.

Dopo aver visto (al cinema) Visages villages di Agnés Varda e JR sapevo che non poteva finire così. Credo proprio che i Gilets Jaunes (GJ) siano il secondo tempo di quel film. Il terzo tempo non lo vedremo, forse.


1. Varda e il suo socio, artista smisurato, girano la Francia, intervistano e fotografano le persone incontrate e poi applicano subito gli enormi ingrandimenti dei ritratti, realizzati con speciali macchinari, sugli spazi liberi, disponibili, dei dintorni: mura, strutture industriali attive, capannoni abbandonati, torri di produzione, chiese diroccate. Fotografano persone. Sentono persone. Esse parlano di sé spiegano i problemi, le delusioni, le speranze, i bisogni presenti, discutono; nel frattempo aiutano gli artisti, partecipano alla realizzazione: tutti protagonisti, tutti artisti delle opere d’arte di cui sono la vita stessa, non solo l’immagine.
Parlano, agiscono in primo luogo le donne. Si noterà lo stesso anche tra i GJ. Mostrano le donne dei ritratti di aver capito, naturalmente, di che si tratta. Gli uomini, forse più lenti, senza essere passivi, un po’ stanno a guardare. Poi agiscono di supporto, senza fidarsi tutto in una volta. Tutte (e tutti) hanno qualcosa da dire e da fare, si rendono utili e capiscono che la foto, enorme, la propria foto che viene stampata e incollata nello spazio libero, non è inutile, un soprappiù, anzi è attesa, proprio lì, da sempre. Resta lì e cambia il mondo. Niente sarà più come prima.
Varda e JR girano, passano i monti e le valli, attraversano la pianura, toccano le acque della Francia, un continente (per me) lontano e misterioso. Noi spettatori del film abbiamo desiderato conoscere questi visages francesi nei loro villages; li abbiamo guardati, studiati, invidiati, detestati, questi insopportabili francesi, queste francesi così piacenti, sicure di sé attive, serie, così capaci di ridere, di divertirsi, di darcela a bere.
Abbiamo creduto di incontrarne un po’ una piccola raccolta, qualche esempio, presso questo o quel round-point; una specie urbanistica che conosciamo bene, visto che ormai punteggia anche il nostro mondo automobilistico postfordista, dominato dal traffico.

 

2. La ribellione dei Gilets Jaunes (GJ) nasce dal costo del carburante. A freddo il governo ha deciso un aumento rilevante (0,65 gasolio e 0,29 benzina) a partire dal 2019. Subito, ognuno capisce che è per sempre, non per un anno soltanto. E si è deciso di penalizzare il gasolio che finirà per costare di più dell’avversaria, a favore del nuovo prezzo maggiorato alla pompa della benzina. L’aumento, più in generale, è collegato al prossimo passaggio alle energie rinnovabili. Ognuno sa che per noi, gente normale, noi che ci siamo trovati ai round-point, noi che ci diamo appuntamento ai caselli autostradali, è solo il primo passo di una caduta senza fine. Non ci lasciano parlare, non possiamo mai dire la nostra; essi votano a maggioranza, essi decidono nel loro governo – ricchi contro poveri – servi contro lavoratori, servi contro precari e disoccupati per l’aumento dei prezzi dei generi essenziali quelli che servono a noi per vivere.
Un felice cortocircuito di una parola, essence indica, in Francia, sia il centro della natura sia il liquido che fa andare le automobili e i mezzi di lavoro. L’essence sparirà, lo promette il governo, almeno per i quattro quinti entro il 2030: cioè domani o poco dopo. Che faremo, allora, noi dei round-point? Come possiamo sopravvivere? Sparirà anche la natura, o due terzi di essa, la natura di noi poveri cristi?
Non solo; ma c’è l’intenzione di sacrificare il gasolio, il nostro diesel, come forma e scelta di vita, ancora più in fretta, come fosse l’unico responsabile dei mali del mondo. Il consumo eccessivo, lo spreco di Natura, l’effetto serra e dunque la siccità e le inondazioni, il troppo caldo e il troppo freddo, l’aria cattiva e la puzza: tutta colpa dei fossili e quindi in primo luogo del diesel, un male da estinguere, subito. Il diesel, quanto a dire il modello con cui in Francia e in tutta Europa, si muovono le cose, il modello abituale dei mezzi di collegamento pesanti, il punto fermo dell’intera industria dei traporti, della costruzione, dell’agricoltura, di Amazon. In pochi anni toccherà a noi riconvertire la Francia.
Alle rotonde stradali, alle stazioni di servizio, se ne rendono conto, lo sanno già, discutono. Quelli del diesel capiscono che tra poco gli daranno la caccia come fossero lupi da abbattere, sterminare. I loro mezzi non varranno più niente, in futuro e quindi già oggi sono deprezzati, sono il rottame da mettere tra i rottami. Capiscono anche che quelli di città sono diversi, ricchi, hanno studiato, hanno fatto e disfatto le leggi; tutti d’accordo tra loro, partito con partito, Sorbona con Sorbona, non hanno timori, non corrono pericoli. “Siamo invece noi, quelli dei camion, delle rotonde stradali, noi la colonna mobile dei consumi di tutta la Nazione che pagheremo i prezzi”.
Cogliere l’ansia della nuova scelta ecologica non è per tutti; perfino gli ambientalisti garantiti, gli ambientalisti di città, hanno difficoltà a capire dopo che in agosto, improvvisamente, Nicolas Hulot, il loro ministro, il loro riferimento principale, ha dato le dimissioni dal governo in disaccordo per il rinvio nella chiusura di centrali nucleari. Emmanuel Macron, il presidente, vuole fare l’ambientalista a cavallo di una centrale nucleare e i GJ si sentono presi in giro. In molti capiscono che l’ambientalismo di Macron è fatto a spese della povera gente. “Passa parola, vieni al round-point, porta un cartello: se non ce l’hai ancora, fattene uno”.

 

3.Ma è solo l’essence o c’è dell’altro? C’è solo l’essence o c’entrano anche la povertà, le tasse, il lavoro scarso e malpagato, le pensioni in fumo, la rabbia per l’abolizione dell’imposta patrimoniale (in Francia Imf) che i GJ portano con sé, alle rotonde, senza mai riuscire a lasciar tutta questa masserizia da parte? Cominciando finalmente a occuparsi di politica? Com’è facile capire, di sabato in sabato, è cresciuto l’appuntamento e anche un diluvio di ricerche di economisti e sociologi, di politici o sedicenti tali sul campo, cioè sulla strada, in mezzo al traffico e – tra una carica e l’altra – lungo gli affollati boulevards di Parigi. Le Monde, tanto per dirne uno, da solo ha pubblicato prime pagine su prime pagine, facendo scrivere decine di studiosi apprezzati, di specialisti di ogni ramo, filosofi di ogni cultura. Citeremo soltanto le illuminanti vignette di Plantu e di Serguei, capaci di spiegare, come avviene con la satira migliore, molto di più di un dotto articolo.
Tra l’altro c’è chi ha avuto modo di leggere Thomas Piketty e Pierre Rosanvallon, Michel Aglietta e Isabelle Coutant. Per qualcuno la fortuna maggiore è stata la visione del film di Agnés Varda che mostrava nell’antefatto come i futuri, le future GJ fossero capaci di parlare e raccontare di fare, in grande, e di aiutarsi, di spiegare e di imparare. A questo punto è stato molto utile un altro testo di Le Monde, un’intervista di Gérard Courtois a Brice Teinturier, direttore dell’Ipsos francese, dal titolo “Les ‘Gilets Jaunes’ se son sentis ignorés“. Più dell’essence e di ogni altro bene materiale che gli è stato tolto, i GJ “rifiutano un mondo che considerano profondamente ingiusto”. Di fronte ai cittadini ‘protetti’ essi si considerano ‘esposti’, cioè precari a vita o disoccupati o poveri per sempre. Il potere gli sventola davanti qualità decisive, indispensabili: efficacia, rendimento, produttività, cui essi non sanno replicare che con fraternità, convivialità e con “restiamo umani”. E dicono (lo afferma Teinturier, ma lo sostiene Varda): ” Guardate, noi siamo qui… Noi esistiamo”.
Poi i GJ pensano che Macron, viste certe frasi, certe maniere di muoversi, certe scelte, voglia rifare la monarchia. Un pensiero certamente esagerato, pericoloso. E tanto per essere sicuri, però gli rispondono, in coro, “Non ci provare, Manu!” Così ottengono che l’essence non sarà aumentata. Per ora.

 

4. Tra Katowice e Marrakech, ben lontano dai round-point di Francia, il pianeta sta discutendo i suoi problemi di sopravvivenza. Si tratta dell’ambiente, esaminato dagli esperti mondiali dell’IPCC, accompagnati dai politici di più alta credibilità e dai loro infaticabili sherpa nel corso del COP24 polacco e del vertice sull’emigrazione indetto dall’Onu con il Global Compact marocchino, firmato dalla Francia in pieno subbuglio e non dall’Italia, dai Visegrad e da Trump.
Sono problemi talmente generali da sorvolare i round-point. Qui tra i GJ nessuno ha elaborato strategie – o tattiche – in tali materie. Donne e uomini non vogliono sapere niente di problemi ambientali; temono anzi che chi gliene proponga, voglia soprattutto distoglierli dalle questioni vere, per le quali hanno deciso di andare fino in fondo (o almeno un po’ avanti, finché è possibile, finché gliene bastino le forze). Quanto al Global Compact, cioè di fronte agli immigrati, ai round-point i francesi, per così dire indigeni, dicono agli altri: “solo adesso arrivate? Mettetevi i gilet gialli e tirate fuori i vostri cartelli, se ne avete: coprite quello spazio là; c’è da fare per tutti”.

 

top