https://www.linkiesta.it/it/ 12 dicembre 2018
Attentato a Strasburgo, mancava solo il terrore per colpire a morte l’Europa ferita di Francesco Cancellato
Due anni dopo Berlino, nei giorni della rabbia dei gilet gialli, il terrore islamista torna a insanguinare il Natale, nel cuore dell'Europa. A colpire, ancora una volta, un giovane francese di seconda generazione, simbolo dell’integrazione fallita.
Si chiamerebbe Cherif C. l’attentatore che nella serata di ieri ha aperto il fuoco rue Orfèvre, tra le bancarelle dei mercatini di Natale di Strasburgo, uccidendo (per ora) tre persone e ferendone una dozzina, e a cui la polizia sta ancora dando la caccia. L’identikit è quello tipico dei lupi solitari: francese, di origini marocchine, radicalizzato di recente, probabilmente in carcere, nell’anomia delle seconde generazioni delle banlieue transalpine. Islamizzazione del radicalismo, l’ha chiamata il sociologo francese Oliver Roy: giovani che trovano nella follia religiosa il modo per esprimere il loro conflitto contro una società da cui si sentono alieni. Riecco il terrore, insomma, che pensavamo di esserci lasciati alle spalle dopo un 2018 in cui l’estremismo islamista sembrava essersi spento. Spiacenti, non è così. E la sveglia è arrivata nella città simbolo dell’Europa, alla vigilia della plenaria del Parlamento Europeo, tra le bancarelle di Natale, festa cristiana e profana, già bersaglio di un furgone killer due anni fa a Berlino.
Riecco pure l’impotenza. Perché nonostante tutte le misure di sicurezza, nonostante la polizia sapesse chi fosse, nonostante avesse già provato a prenderlo nell’imminenza dell’attacco, Cherif è riuscito a portare a termine il suo piano, ed è riuscito pure a darsi alla macchia. Segnale, questo, che non siamo ancora in grado di proteggerci dalla follia islamista. Ed è curioso come tutto questi si intrecci con le nuove emergenze che attraversano la Francia e l’Europa, dalla rabbia dei gilet gialli, alle trattative infinite con Londra per la Brexit e con Roma per la legge di bilancio. Temi su temi, problemi su problemi, tensioni economiche e sociali che si affastellano l’una sull’altra in questi giorni di plenaria dell'Europarlamento e di Consiglio Europeo e che rendono ancora più problematiche e insidiose le prossime elezioni continentali. Che a loro volta prendono sempre più le sembianze dello spartiacque che separa il vecchio mondo dal nuovo. Un nuovo mondo nel quale, ancora di più, sembrano stagliarsi le figure di chi vuole un’Europa fortezza, di chi soffia sul fuoco della xenofobia, di chi ambisce a costruire una società securitaria: Marine Le Pen in Francia, Matteo Salvini in Italia, Alexander Gauland in Germania, Heinz-Christian Strache in Austria, Viktor Orban in Ungheria probabilmente avranno di che argomentare nei prossimi giorni contro il lassismo, il multiculturalismo, l’acquiescenza, persino il giustificazionismo delle élite popolari e (soprattutto) socialdemocratiche nei confronti dei giovani stranieri radicalizzati. E probabilmente, troveranno sponda nel popolo arrabbiato e impaurito, così come l’anno trovata negli ultimi anni. Riecco pure il grande paradosso. Perché la radicalizzazione avviene dove c’è segregazione, dove c’è ghettizzazione, dove c’è marginalizzazione, non dove si costruisce reale integrazione tra culture e mondi diversi. Non sarà chiudendo le moschee, o escludendo dalle mense scolastiche i bambini stranieri, o togliendo casa e lavoro a chi godeva della protezione umanitaria, che si estirperà la piaga del radicalismo islamico. Al contrario, ne rinfocolerà le ragioni e offrirà argomenti agli imam del terrore e ai cattivi maestri. Ma l’Europa impaurita e arrabbiata, questa semplice piccola lezione, ancora non l’ha capita e non la vuole capire.
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