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20 dicembre 2018

 

Perché gli indipendentisti tornano a protestare a Barcellona 

di Eleonora Lorusso

 

Il governo Sanchez si riunisce venerdì nella città catalana scatenando la rabbia a oltre un anno dal referendum. Tutte le sigle in piazza per chiedere l'assoluzione dei politici accusati di sedizione. 

 

In piazza venerdì 21 dicembre ci saranno tutti: le principali associazioni indipendentiste hanno deciso di unire le forze creando un coordinamento unitario per protestare contro il governo guidato dal socialista Pedro Sanchez, che ha scelto di convocare per la stessa giornata un Consiglio dei ministri proprio a Barcellona. Una decisione che è stata accolta come una provocazione da chi da oltre un anno si batte per ottenere l’indipendenza della Catalogna da Madrid. Da qui l’organizzazione di una enorme mobilitazione di massa, con appuntamento alle 18 nel cuore della città, tra i Jardinets de Gràcia e Placa de Catalunya. Intanto, mentre a Barcellona si invoca l’indipendenza mai realizzata dopo il referendum(bocciato come illegale da Madrid) del primo ottobre 2017, dal Belgio l’ex governatore catalano Carles Puigdemont guida una sorta di “governo ombra”. I politici in carcere con l’accusa di sedizione e disobbedienza, invece, sono in sciopero della fame in attesa di processo.

 

GLI INDIPENDENTISTI IN PIAZZA CONTRO SANCHEZ

La parola d’ordine degli organizzatori delle manifestazioni è «anormalità»: non è normale - spiegano - che il premier abbia convocato proprio a Barcellona un Consiglio dei ministri al termine di una settimana-chiave, iniziata con la convocazione del parlamento regionale catalano, rimasto riunito per tre giorni. Si attende, infatti, che il Tribunale supremo si pronunci in modo preliminare sui ricorsi presentati dai politici che lo scorso anno furono arrestati per aver proclamato in modo unilateralel'indipendenza dopo un referendum giudicato illegale da Madrid. Sono accusati a vario titolo di sedizione, ribellione, disobbedienza emalversazione e hanno iniziato uno sciopero della fame. La loro condizione e quella della Catalogna sono dunque considerate “anormali”, almeno quanto la presenza a Barcellona del governo Sanchez. Il premier in realtà aveva annunciato, fin dall’inizio del proprio mandato, che avrebbe riunito l’esecutivo anche fuori da Madrid, per far sentire la propria presenza sul territorio. Per questo è scattata una «mobilitazione permanente» che prima ha l'obiettivo di boicottare la riunione di Gabinetto, poi di proseguire nella protesta fino alla liberazione e assoluzione degli indipendentisti in carcere.

           

LA FINE DELLA TREGUA TRA MADRID E BARCELLONA

La tregua durata qualche mese tra il governo Sanchez e i catalani, dunque, sembra ormai finita. In piazza questa volta gli autonomisti scenderanno tutti uniti: ci saranno l’Asamblea Nacional Catalana, Òmnium Cultural, Endavant, la Candidatura di Unità Popolare (Cup) e la sua componente giovani, costituita dal gruppo Arran, e i Comitati di Difesa della Repubblica(Cdr), che già nei giorni scorsi hanno bloccato le autostrade. Dal canto suo Sanchez, che si è insediato dopo le dimissioni di Mariano Rajoy proprio in seguito allo scontro con Barcellona, conta su una maggioranza che non può fare a meno dell’appoggio dei partiti nazionalisti baschi e indipendentisti catalani. Per questo aveva dato un segnale di vicinanza al territorio, uscendo dai palazzi di Madrid e prevedendo almeno due Consigli dei ministri in altrettante città-chiave, come Siviglia e Barcellona. La seduta di governo nella città catalana, però, è stata interpretata come una sorta di «invasione di campo».

 

IL TIMORE DELLA VIA SLOVENA ALL'INDIPENDENZA

La situazione tra Madrid e Barcellona si è fatta tesa dopo che il governo catalano guidato da Quim Torra (espressione dell'ala più dura degli indipendentisti) è tornato a chiedere a gran voce l’indipendenza, parlando di “via slovena” all’indipendenza, non escludendo per la prima volta il ricorso alla violenza. Ai primi di dicembre da Bruxelles, dopo aver incontrato Puigdemont, Torra aveva dichiarato: «Noi catalani non abbiamo più paura, non c’è marcia indietro nel cammino della libertà. Gli sloveni hanno deciso di proseguire lungo il cammino con tutte le conseguenze, facciamo come loro!». Il riferimento era alla Guerra dei dieci giorni del 1991, che portò alla dichiarazione di indipendenza di Lubiana dalla Repubblica socialista federale di Jugoslavia di Tito. Le parole di Torra, però, sono state accolte con preoccupazione in Europa e con freddezza nella stessa Catalogna. Lo spettro di un conflitto armato, seppure breve, non piace neppure a buona parte degli indipendentisti. Il sindaco di Barcellona, Ada Colau, ha definito «irresponsabili» le dichiarazioni di Torra, preferendo la strada di un referendum riconosciuto da Madrid per evitare nuove violenze.

 

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