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12 aprile 2018
Un sovranismo democratico? Wolfgang Streeck e il futuro che ci aspetta
di Nicolò Bellanca
La congiuntura politica ed economica attuale, con i suoi problemi e le sue opportunità, tende ad attirare la nostra attenzione, relegando sullo sfondo l’indagine dell’andamento strutturale del sistema sociale in cui siamo collocati. Tuttavia, per elaborare un’efficace strategia politica di Sinistra, accanto a una valida analisi del presente, occorre provare a prevedere quello che accadrà. In precedenti articoli, mi sono soffermato sulle prognosi di due tra i migliori scienziati sociali[1]. Completo la discussione presentando brevemente l’analisi di Wolfgang Streeck[2].
Secondo il sociologo tedesco, possiamo individuare tre tendenze a lungo termine nei paesi a economia matura: un declino persistente del tasso di crescita, un aumento costante del debito (pubblico, privato e totale) e un’esplosiva disuguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Queste tendenze sono tra loro legate: la bassa crescita, intensificando il conflitto distributivo, accentua la disuguaglianza tra i gruppi, mentre, a sua volta, la disuguaglianza, abbassando la domanda effettiva, riduce la crescita; il settore finanziario si espande, per allargare il credito dei gruppi che più subiscono la disuguaglianza, mentre, a sua volta, un settore finanziario gonfiato, restringendo l’economia reale e le sue possibilità occupazionali, approfondisce la disuguaglianza; gli alti livelli di debito innalzano il rischio di crisi finanziarie, mentre, a sua volta, le crisi finanziarie, moltiplicando le posizioni debitorie più vulnerabili, accentuano la disuguaglianza e rallentano la crescita, e così via. Insomma, si forma un circuito di retroazione positiva nel quale ristagno, disuguaglianza e debito si rafforzano a vicenda.
Peraltro, queste tendenze vanno inquadrate sullo sfondo di una novità storica. A circa 250 anni dalla rivoluzione industriale, si sono estremamente affievolite le forze sociali e politiche di contrasto al capitalismo, tra le quali la religione, il socialismo, il nazionalismo e la democrazia. Il punto è di cruciale importanza, poiché un capitalismo senza oppositori viene lasciato ai suoi meccanismi interni ed è incapace di autolimitarsi. Tutti ci accorgiamo, sottolinea Streeck, che oggi nessuna formula politico-economica, di destra o di sinistra, fornisce un coerente sistema di regolazione al capitalismo. Ma questo succede non tanto per l’assenza di idee progettuali o di leader carismatici, come spesso sentiamo lamentare, bensì perché nessun intervento riformatore dell’economia può essere efficace se le istituzioni non-economiche sono quasi estinte: non si può curare una malattia in mancanza degli anticorpi.
Streeck argomenta che il capitalismo è ormai ingovernabile per l’attenuarsi dei vincoli che furono in grado di contrastarlo e contenerlo. Nei momenti cruciali della sua storia, sono state le forze di opposizione a stabilizzare il capitalismo in quanto società: movimenti di classe, etnici o di genere hanno animato i contropoteri della società; movimenti regionali, nazionali o religiosi hanno preservato la coesione sociale; gli Stati socialdemocratici del benessere e i sindacati di massa hanno assicurato una domanda sufficiente nella sfera economica, così come la legittimazione della riproduzione sociale. Il capitalismo vive finché non diventa “puro”, ossia finché non espelle dalla società le forze non-economiche in grado, trattenendone la spinta espansiva, di proteggerlo da sé stesso.
Questa tesi non appartiene soltanto a Streeck. In ambito marxista, Rosa Luxemburg sostiene che senza una ulteriore frontiera da valicare, che sia tanto una possibilità quanto un limite, l’accumulazione capitalista s’inceppa. Karl Polanyi aggiunge che nel capitalismo circolano delle “merci fittizie” – il tempo, la natura, il denaro e il lavoro umano –, le quali vengono distrutte, o rese inutilizzabili, se affidate alle compravendite mercantili: poiché il capitalismo abbisogna di queste “merci”, deve accettare che siano regolate in maniera non-mercantile, e deve quindi ammettere un proprio limite.
Streeck argomenta che la versione neoliberista del capitalismo ha avuto “troppo successo”, colonizzando l’intero mondo della vita e quasi azzerando le controspinte socio-politiche. Il sistema economico, ormai privo di freni e contrappesi, tende a consumarsi in una overdose di sé stesso, come l’atleta che, in una corsa selvaggia, crolla dopo avere oltrepassato ogni avversario e ostacolo. Il pregiudizio marxista, secondo cui il capitalismo in quanto epoca storica si chiuderà soltanto quando sarà pronta una nuova e migliore società, e quando un soggetto rivoluzionario dirigerà la transizione, viene smentito. Data la frammentazione dei movimenti antagonisti, manca un gruppo sociale che possa orientare progettualmente la società. Lo scenario futuro più probabile sarà quello in cui il collasso capitalista non sarà seguito dal socialismo, bensì da un periodo di entropia[3].
L’analisi prognostica di Streeck non è sempre persuasiva, fin dalla circostanza che «discute il futuro del capitalismo senza alcun riferimento al luogo in cui il futuro del capitalismo sarà sicuramente deciso: l’Asia»[4]. Essa presenta comunque il grande merito di concentrare l’attenzione sulla funzione essenziale, per il funzionamento del capitalismo, dei fattori sociali e politici non-capitalisti. Inoltre, malgrado Streeck rimarchi che, nel più recente periodo storico, quei fattori sono stati attaccati e scompaginati dalla versione neoliberista del capitalismo, il suo atteggiamento non scivola nel fatalismo e nell’impotenza politica. Piuttosto, egli puntualizza pragmaticamente che non tutte le maniere con cui attraversare il prossimo interregno saranno equivalenti. A suo parere, almeno uno dei fattori non-capitalisti potrà ancora costituire un valido baluardo di resistenza, per i lavoratori e per i cittadini: lo Stato-nazione[5]. Nel mondo reale, non c’è democrazia al di sopra dello Stato-nazione, ma solo grande tecnocrazia, grandi capitali e grande violenza. I regimi politici capaci di rappresentare gli interessi delle classi subalterne, dei gruppi discriminati e delle popolazioni locali nel mondo si sono formati – quando ciò è avvenuto – soltanto all’interno del perimetro della sovranità statuale. Pertanto, aggiunge Streeck, il rilancio dello Stato politico come Stato sociale democratico potrà costituire uno strumento per temperare e, in parte, regolare la furia del capitale.
Mentre il sovranismo di destra si scaglia, in nome dell’etnia, contro gli immigrati e rivendica la chiusura delle frontiere, Streeck indica alla Sinistra avvenire un percorso strategico nel quale la leva del sovranismo progressista contrasti la tirannia illuminata di Bruxelles e affronti il tema di come uscire dal totalitarismo globalista. Il suo punto di vista è ben sintetizzato da queste righe: «i neoliberisti hanno convinto tanti a Sinistra che oggi il solidarismo internazionalista comporta che i lavoratori dei vecchi paesi industrializzati lascino competere sui loro posti i lavoratori delle aree più povere del pianeta. Invece il solidarismo ha significato e significa che i lavoratori si organizzano assieme per impedire al capitale di contrapporre gli uni agli altri in mercati “liberi”, ossia non regolamentati»[6].
Su questo terreno, che possiamo chiamare del sovranismo democratico-costituzionale, la prognosi di Streeck s’incontra con quella di Milanovic. Nell’articolo dedicato a Milanovic, ho enfatizzato la sua previsione, secondo cui i conflitti tra le classi all’interno dei paesi accresceranno, in termini relativi, la loro importanza nel prossimo futuro. Streeck aggiunge che le battaglie dentro e mediante gli Stati-nazione saranno, nel tempo che ci aspetta, l’orizzonte politico meno inefficace e più vicino ai bisogni dei lavoratori e dei cittadini. Questa coppia di previsioni presenta implicazioni politiche molto precise per la Sinistra da ricostruire[7].
NOTE
[1] Vedi Nicolò Bellanca, “La sinistra e il futuro che ci aspetta: Randall Collins”, 24-01-2018;
“Disuguaglianza tra le classi o tra i paesi? Branko Milanovic e il futuro che ci aspetta”, 30-03-2018
[2] Wolfgang Streeck, How will capitalism end? Essays on a failing system, Verso, London, 2016.
[3] Nelle famose parole di Antonio Gramsci, «la crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere. In questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati». Vedi anche Gopal Balakrishnan, “Speculations on the stationary state”, New Left review, 59, 2009; Wolfgang Streeck, “The return of the repressed”, New Left review, 104, 2017.
[4] Adam Tooze, “A general logic of crisis”, London review of books, vol.39, n. 1, 2017, p.5.
[5] Vedi Wolfgang Streeck, “Solo all’interno degli stati nazionali può esserci vera democrazia”, 2-09-2017, all’indirizzo https://ilconformistaonline.wordpress.com/2017/09/02/wolfgang-streeck-solo-allinterno-degli-stati-nazionali-puo-esserci-vera-democrazia/
[6] Wolfgang Streeck, “Farewell, neoliberalism: an interview”, 14-12-2017, all’indirizzo http://kingsreview.co.uk/articles/farewell-neoliberalism-interview-wolfgang-streeck/
[7] Vedi Wolfgang Streeck, “Whose side are we on? Liberalism and socialism are not the same”, in David Coates, ed., Reflections on the Future of the Left, Agenda Publishing, Newcastle upon Tyne, 2017, pp.137-158.
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Per Randall Collins, uno dei maggiori sociologi contemporanei, il sistema capitalistico sta volgendo verso una crisi terminale. La causa? La crescente automazione del lavoro che sta portando a una progressiva perdita di funzioni delle classi lavoratrici nel sistema economico. Se questa prognosi si rivelerà corretta, la Sinistra dovrà ridefinire la propria strategia politica.