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06/04/2018

 

Un futuro tutto di facebook

 

Prima che lo scandalo di Cambridge Analytica assumesse la rilevanza mediatica delle ultime settimane, Nafeez Ahmed documentava le pericolose ingerenze di Facebook nel processo democratico britannico e statunitense e nella nostra vita quotidiana in questo articolo, pubblicato sull'edizione australiana di NEXUS New Times nel dicembre scorso, di cui trovate la traduzione integrale nell'ultimo numero dell'edizione italiana (disponibile in edicola e nel nostro shop).

 

PhD © dicembre 2017

 

Facebook si infiltrerà nelle elezioni e dominerà il mondo nel giro di 10 anni… se non lo fermiamo.

di Nafeez Ahmed

 

Facebook è sulla strada buona per diventare più potente della National Security Agency, a detta di un consulente senior della comunità di intelligence militare statunitense che ha previsto l’ascesa dell’intelligenza artificiale e della guerra robotica. In meno di un decennio, la crescita di Facebook potenzialmente gli permetterà di avere la capacità di monitorare praticamente ogni persona sulla faccia della Terra, cosa che renderà l’azienda più potente di qualsiasi altro appaltatore governativo al mondo. Questa prospettiva pone pericolose implicazioni per la democrazia.

 

Sempre più prove rivelano che il modello di business più redditizio di Facebook è il proprio outsourcing, come canale per la guerra psicologica, a qualsiasi terza parte che voglia influenzare le opinioni e i comportamenti dei cittadini.

 

Finora sono state taciute parti essenziali di questa storia. Avete sentito la notizia dell’uso dell’attività di profilazione di Facebook da parte di Cambridge Analytica per influenzare le campagne elettorali su entrambe le coste dell’Atlantico? Avete sentito come la Russia abbia legami curiosi con alcuni di questi personaggi di spicco, anche se lei stessa si è giocata la carta di Facebook nel tentativo di combattere la “guerra ibrida”? Tutto ciò suggerisce che una cricca di estrema destra abbia usato i Big Data per pilotare i processi democratici statunitensi, britannici ed europei.

 

SCL Group, organizzazione ombrello britannica di Cambridge Analytica, è un ex appaltatore del Ministero della Difesa britannico che aveva accesso a informazioni segrete. La nostra indagine rivela che l’azienda continua ad avere legami simbiotici con il Ministero degli Esteri britannico, che vuole ufficialmente sfruttare il successo dell’azienda nell’aver agevolato la campagna elettorale di Trump per gli obiettivi di politica estera in Regno Unito. Mark Turnbull, a capo di SCL Elections, la controllata responsabile dell’impegno aziendale nelle elezioni, è un ex consulente di Bell Pottinger che ha supervisionato le operazioni condotte dal Pentagono in Iraq, a seguito di una delle quali sono emersi video fake di Al-Qaeda.

 

Lo stesso Turnbull ha fondato Aethos, la divisione di “comunicazione strategica” di Aegis Defence Services, il gigantesco appaltatore militare britannico acquisito dalla più grande società canadese GardaWorld. Queste aziende insieme hanno sollevato importanti polemiche su questioni quali, per esempio, il trattamento dei civili in Iraq, il reclutamento di bambini-soldato in Sierra Leone e l’“incompetenza strategica” in Afghanistan.

 

La direzione di SCL Group detiene interessi commerciali diretti in una serie di aziende operanti in due settori principali: il commercio delle armi e della difesa e l’industria mondiale del petrolio e del gas. Il protagonista chiave è Julian Wheatland, presidente di SCL Group e anche direttore di Hatton International, una misteriosa società specializzata in servizi di offset rivolti ad aziende private nel settore aerospaziale e delle armi, ed ex dirigente di un’associata di Hatton, Phi Energy Group, che ha collaborato con alcune delle società petrolifere leader su scala internazionale.

 

Altri dirigenti di SCL Group sono in partnership con potenti interessi economici pro-Tory, alcuni dei quali legati alla campagna per la Brexit. Tra questi, il principale è Hanson Asset Management, l’eredità del defunto magnate thatcheriano Lord Hanson. Patrick Teroerde, co-fondatore e direttore di Hanson Asset Management, è stato uno dei primi dirigenti (apparentemente un dirigente co-fondatore) della controllata SCL Elections, che, secondo quanto riferito, avrebbe coadiuvato Vote Leave. Il sostituto di Lord Hanson nel suo gruppo anti-UE Business for Sterling, Dominic Cummings, era il direttore della campagna Vote Leave.

 

Un altro dirigente di SCL Group, Roger Gabb, condivide una società di investimenti immobiliari con un certo numero di magnati britannici, tra cui il miliardario Anton Bilton e Bimaljit Singh Sandhu, che hanno entrambi investito in modo massiccio nei mercati immobiliari britannici e russi tramite la società Raven Russia, che esterna esplicitamente il proprio interesse nell’aprire l’ex paese sovietico agli investitori stranieri. Raven Russia nega di conoscere Gabb o di avere qualsiasi tipo di informazione su SCL Group.

 

SCL Group non si è solo giocata la carta di Facebook per coadiuvare l’elezione di Donald Trump e, a quanto pare, la campagna Brexit, ma ha anche ricevuto 1 milione di dollari canadesi per sostenere le operazioni della NATO nell’Europa dell’Est e in Ucraina, prendendo di mira la Russia. E benché l’azienda non abbia più contratti con il Ministero della Difesa britannico, ne ha racimolati diversi dal Dipartimento di Stato americano per operazioni di portata globale, se ne sta aggiudicando molti altri in tutto il governo federale statunitense e intrattiene stretti legami con il Foreign Office (British Foreign and Commonwealth Office, FCO) britannico.

 

All’inizio del 2017, l’FCO ha indetto una conferenza a porte chiuse su come il governo avrebbe potuto sfruttare al meglio i Big Data per i suoi obiettivi di politica estera, invitando Turnbull e il suo capo analista a parlare dell’operato di Cambridge Analytica per sostenere la campagna elettorale di Trump. L’FCO ha rifiutato di chiarire quanto fosse stato rilevante Facebook, per il programma diplomatico estero del governo britannico, nell’influenzare il voto americano.

 

Alcuni degli stessi creatori di Facebook stanno riconoscendo l’impatto deleterio della piattaforma. Il venture capitalist Chamath Palihapitiya, ex capo della sezione di crescita della base utenti di Facebook, ha riconosciuto la sua «terribile colpa» per come la piattaforma ha «creato strumenti che stanno lacerando il tessuto sociale, intaccando il funzionamento della società». L’ex Presidente di Facebook, Sean Parker, si è detto allarmato per ciò che il social network sta «facendo al cervello dei nostri figli», sulla base di un «circolo vizioso di feedback di omologazione sociale» progettato per «consumare la maggior quantità di tempo e attenzione consapevole possibile».

 

Più grande della NSA

Facebook diventerà «l’appaltatore governativo più potente» al mondo in meno di 10 anni.

Questa è la previsione fatta da John Robb, ex agente segreto anti-terrorismo dell’US Special Operations Command e consigliere di lungo corso dell’intelligence militare statunitense, sul futuro della guerra per agenzie come l’NSA e la CIA. Nel 2016, Robb è stato consulente speciale del Capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti circa il futuro dell’intelligenza artificiale e della guerra robotica.

 

Con i post sul suo blog Global Guerrillas, elogiato anche dal New York Times, Robb ha spiegato che, dato l’attuale ritmo di crescita di Facebook,

 

la piattaforma di social network, che attualmente comprende 2 miliardi di utenti al mese, raggiungerà il picco storico di 3,5 miliardi di utenti mensili entro il 2025, un numero sufficiente per avere un “grafico sociale completo” dell’intera popolazione del pianeta.

 

Con così tante persone sotto il suo radar, oltre la metà dei 6,5 miliardi di persone che vivono al di fuori di Russia e Cina, Facebook avrà la capacità di accedere di fatto alle informazioni di quasi tutta la popolazione umana.

 

Secondo Robb:

«È un network esteso e profondo abbastanza da creare un censimento globale che può “osservare” praticamente chiunque sul pianeta, anche se non si ha un profilo Facebook».

I riferimenti sociali di localizzazione, assieme alle immagini di colleghi, amici e familiari di fatto consentirebbero a Facebook di accedere alla restante popolazione non iscritta alla rete.

 

Ciò «consentirà il tracking in tempo reale di quasi tutti gli utenti al mondo tramite i dati GPS degli smartphone e le informazioni secondarie», comprese immagini, link postati e like. E questo, a sua volta, permetterà a Facebook di «creare il più grande database di micro-targeting sulla Terra», pieno zeppo di dettagli privati sugli interessi di miliardi di persone. In sostanza, significa che le capacità di Facebook di monitorare le masse saranno ancora più potenti di quelle dell’NSA.

 

A detta di John Robb:

«Facebook ha ora la capacità di offrire servizi della portata dell’NSA, con dati migliori, alle nazioni di tutto il mondo».

 

Facebook ha smentito in modo inequivocabile le previsioni di Robb. Un portavoce ha dichiarato che «Le agenzie d’intelligence possiedono autorità e poteri legali completamente diversi dalle società del settore privato, quindi questo confronto è scorretto. Le nostre operazioni e le nostre pratiche sono soggette a una supervisione normativa specifica».

 

Censura

Facebook «è stato sviluppato per svolgere una missione sociale, ossia per rendere il mondo più aperto e connesso», ha scritto nel 2012 il co-fondatore Mark Zuckerberg nel Form S-1 della società. «La nostra nuova missione è di avvicinare sempre più il mondo», ha dichiarato alla CNN Tech nell’estate del 2017.

 

Eppure il desiderio di Facebook di trarre profitto dalla guerra dell’informazione mondiale ha già portato la piattaforma a forme dirette di censura nei confronti degli Stati autoritari.

Secondo quanto riferito, in Turchia, sotto la pressione del governo turco, Facebook ha cancellato gli account di persone che si mostravano solidali con la Rojava, una provincia autonoma curda nel nord della Siria che svolge un ruolo di primaria importanza nel contenimento dell’ISIS.

 

Facebook censura sistematicamente i commenti di chi è critico nei confronti del governo di India, Pakistan e Marocco.

 

Facebook collabora con il governo israeliano per censurare i gruppi palestinesi sulla base della sua regola di moderazione, secondo cui «qualsiasi organizzazione il cui scopo principale sia di intimidire una popolazione, un governo o che faccia uso della violenza per opporsi all’occupazione di uno Stato riconosciuto a livello internazionale» non può essere lodata, supportata né rappresentata in alcun modo.

 

La piattaforma social, secondo fonti Facebook che hanno rilasciato dichiarazioni al New York Times, ha sviluppato un software che potrebbe potenzialmente soddisfare le richieste di censura in Cina.

 

Facebook sta persino edulcorando orrendi crimini contro l’umanità, pulizia etnica e atti di genocidio in Myanmar (Birmania), eliminando in massa post degli attivisti pro-Rohingya, che documentano la violenza contro i loro uomini, donne e bambini.

 

Ma Facebook ha negato di operare con un’alleanza di fatto con Stati tanto repressivi e autocratici: «Valutiamo le segnalazioni in base agli Standard della Comunità. Pubblichiamo anche informazioni nazionali nel nostro Rapporto sulla trasparenza, relativo alle restrizioni sui contenuti in base alle violazioni della legge locale».

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