Fonte: Accademia nuova Italia

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05/03/2018

 

Il voto del 4 marzo: un referendum anti Bergoglio

di Francesco Lamendola

 

Il voto politico del 4 marzo 2018 ha bruscamente archiviato quello che pareva ormai un destino irrevocabile: quello di essere governati ancora, a tempo indeterminato, se non dalle persone fisiche, dalle idee, si fa per dire, di Renzi, Gentiloni, Boldrini, Grasso, Mattarella, Bergoglio. Sì, perché se qualcuno ancora l’avesse capito, lo sconfitto numero uno di queste elezioni politiche è stato lui, il papa argentino che fa sempre e solo politica: immigrazionista, buonista e progressista. Gli italiani, otto su dieci, hanno detto no, basta: e hanno tirato un colpo di spugna su anni di menzogne vergognose, di tradimenti di Stato, di deliberato perseguimento non del bene, ma del male nazionale, mediante politiche interne ed estere semplicemente suicide, al servizio di poteri ed interessi “forti”, sia nazionali che internazionali. 


E questa è già una cosa buona, anzi, ottima, anche se il percorso da fare adesso è tutto in salita, pieno d’incognite, di trappole, di ricatti morali e materiali. Per la prima volta, nella storia della Repubblica di Pulcinella, quella messa in piedi all’ombra delle baionette dei “liberatori” americani e sulle macerie delle città da essi distrutte per salvarci dal fascismo, per la prima volta, dunque, il popolo italiano ha avuto un soprassalto d’orgoglio, o forse solo di disperazione, e ha fatto un passo indietro rispetto all’abisso nel quale una classe dirigente di traditori lo stava spingendo al suono del pifferaio magico. Ha dato un calcio in culo al piazzista fiorentino, alle sue belle e disinvolte ministre o aspiranti tali, alle signore femministe e ai capipopolo senza esercito, senza idee, senza coerenza, senza dignità: quelli che si preoccupano di fornire skype ai “rifugiati” ghanesi e nigeriani perché posano seguire la partita di calcio nei centri di accoglienza che ci costano milioni di euro, mentre le pensionate italiane settantenni svengono nelle nostre città, per la fame e per il freddo. A questi signori e signore intellettualmente grotteschi, disonesti, fuori della realtà, o semplicemente al soldo di poteri inconfessabili, hanno detto basta e li hanno spediti a casa, così come vorrebbero spedire a casa qualche centinaio di migliaia di clandestini delinquenti o fannulloni che si fingono perseguitati o profughi per poter vivere a scrocco, mal che vada, qualche anno nel Bel Paese dove solo se hai la pelle bianca devi rispondere dei reati che commetti, mentre se ce l’hai scura ti vien perdonato tutto, perfino di aver preso a coltellate i carabinieri mentre ti stavano arrestando per spaccio di droga; facendo ricorso se la prima richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato non arriva, e poi facendo ricorso una seconda volta, beninteso rigorosamente a spese dell’Italia. E se tale riconoscimento non arriva neanche al terzo tentativo, niente paura: le autorità italiane mettono in mano ai finti profughi un certificato di espulsione, si girano dall’altra parte e gli danno tutto il tempo di passare bellamente in clandestinità. Col risultato che le città italiane, i quartieri, le stazioni ferroviarie sono diventati invivibili, pericolosi, angoscianti; che ogni giorno i clandestini compiono qualcosa come settecento reati, dal furto alla prostituzione, dallo spaccio di droga alla rapina, per non parlare di aggressioni, stupri e omicidi. Il 40% degli stupri sono opera loro, benché siano solo una piccola frazione della popolazione totale del nostro Paese. E intanto il signor Bergoglio insiste, tutti i santi giorni, che bisogna accogliere i “profughi”, e i suoi vescovi di strada si mobilitano alle sue parole d’ordine, entrano a gamba tesa nella politica italiana, fanno pressioni inaudite per la legge sullo ius soli; e, nel frattempo, trasformano chiese e basiliche in osterie, dormitori e cessi pubblici per dar da mangiare, da dormire e da pisciare, con licenza parlando, a tutti questi nostri fratelli, a questi “angeli del Signore”, come li ha definiti monsignor Tisi, arcivescovo di Trento. E pazienza se questi angeli si macchiano di mille stupri all’anno (cifra approssimata per difetto), tre al giorno: si vede che non è toccato alle nipoti di Bergoglio o di Tisi, Paglia, Galantino, Perego; ma forse alle nipoti delle vecchiette che svengono di fame nei supermercati, in mezzo a cibarie che non possono acquistare, perché la misera pensione di cui vivono non lo permette, come non permette loro di pagarsi il riscaldamento in casa.


Resta da capire come sia stato possibile arrivare fino a questo punto, cadere così in basso, farsi governare per così tanto tempo, e in condizioni economiche e sociali sempre più degradate, da questa incredibile ammucchiata di nullità, di cialtroni, d’imbonitori da fiera, di venditori di pentole, di propinatori di lucciole per lanterne. Questo è un punto decisivo: se non riusciremo a capire come sia stato possibile che della gente mediamente intelligente, come lo sono gli italiani, nonché mediamente dotata di un elementare buon senso, non c’è alcuna garanzia che, domani, non ci troveremo di nuovo con la catena al collo: e che tutti questi Renzi, Boschi, Moretti, Franceschini e compagnia bella, più la Bonino e la Boldrini, non tornino alla grande e recuperino, con qualche gioco di prestigio, le posizioni, le poltrone e gli stipendi perduti, e il popolo sovrano si trovi un’altra volta cornuto e mazziato. Di Berlusconi, in questa sede, preferiamo non parlare: ne abbiamo parlato tante volte, in passato, e non ci va di spendere altro inchiostro per il patetico e inglorioso tramonto di costui, mal consigliato dalle sue badanti come lo fu dalle sue escort: tale la sconsolata analisi del professor Paolo Becchi, alla quale non possiamo che associarci. 
Beninteso, il problema non era, e non è, solo quello dell’invasione africana ed islamica; ce ne sono almeno altri due giganteschi, quello dell’uscita dall’euro e quello del rilancio dell’economia, attraverso le due manovre convergenti della riforma fiscale e della riforma della giustizia: intanto, però, quello è il più urgente, come l’incendio in una casa che sta andando a fuoco. Prima si devono spegnere le fiamme, poi ci si occuperà di tutto il resto. E il voto del 4 marzo indica questa volontà da parte degli italiani: che l’Italia rimanga italiana, un Paese europeo e di tradizione cristiana; che non diventi africana ed islamica; che non sia preda di una conquista incruenta, ma implacabile, che, se non verrà arginata, porterà allo scomparsa del popolo italiano e della civiltà italiana, nel giro di pochissime generazioni.


La spiegazione di questo arcano, un popolo intelligente che si fa menare per il naso e addirittura si fa spogliare, aggredire e svendere da coloro i quali lo dovrebbero governare, cioè proteggerlo e guidarlo, badando sempre al suo bene e al suo interesse, e non a quello di altri, risiede, crediamo, in una regressione antropologica senza precedenti, che ha visto come campo di battaglia la cultura. Negli ultimi settanta anni, la cultura, la scuola, l’università, il cinema, il teatro, la musica leggera, l’arte, l’intelligenza, sono state abbandonate a una pervasiva egemonia della sinistra, specificamente marxista o neomarxista, con qualche pennellata di socialismo, di anarchismo, di radicalismo (quest’ultimo passato lentamente, e assai abilmente, dalla condizione di mosca cocchiera a quella di centro direttivo di tale egemonia). In pratica, per settant’anni hanno imperato i signori delle foibe, delle quali, infatti, per quasi settant’anni non si è neanche potuto parlare; i signori del “triangolo della morte”, quelli che nel 1945, a guerra già finita, assassinarono qualche decina di migliaia di loro fratelli in nome della libertà e dell’antifascismo; quelli che nel 1947 organizzarono scioperi e manifestazioni contro i “banditi giuliani”, cioè i disgraziati (e dignitosissimi) profughi della Venezia Giulia, in fuga dagli orrori di Tito. Ribadiamo il concetto: i signori che, oggi, ci martellano ogni santo giorno con il nuovo vangelo dell’immigrazione, e ci spiegano come accogliere milioni di africani e asiatici di religione islamica, falsi profughi al 95 per cento, è nostro sacrosanto e irrinunciabile dovere, sono quelli che allora, davanti a 350.000 nostri connazionali che erano profughi davvero, e che, tranne la vita, non avevano potuto salvare nulla della loro esistenza precedente, né la casa, né i beni, né i risparmi, non seppero far di meglio che insultarli, prenderli a sputi e sabotare le linee ferroviarie che li portavano verso l’interno del Paese. Ora, quegli stessi signori, per quarant’anni, cioè per tutto il tempo della Guerra Fredda, e poi per qualche altro lustro ancora - poiché non si capacitavano che il Muro di Berlino fosse caduto in testa proprio a loro e ciò pareva loro una enorme ingiustizia storica - hanno potuto spadroneggiare ed  insegnare ai nostri giovani, e anche ai meno giovani, che solo quel che viene da sinistra è bello, buono, pulito e idealistico, mentre da destra non arrivano altro che sozzure, porcherie e immondizie innominabili. Nell’ambito della cultura, hanno predicato indefessamente, e con notevole successo (non essendovi contraddittorio, né concorrenza, per cui si muovevano in regime di monopolio) che i soli scrittori, poeti, registi, filosofi, artisti, degni di questo nome, sono quelli di sinistra; che la destra non produce cultura, non ha mai saputo farlo, perché è formata solo da scimmioni, da cavernicoli, o da truci colonnelli sempre pronti a fare colpi di Stato, se appena se ne offre loro il destro. Gadda, Vittorini, Guttuso, Moravia, Eco? Dei geni. E a destra, o al centro? Niente, il deserto dei Tartari. E Pound? Be’, cosa volete, c’è sempre l’eccezione che conferma la regola; e poi non era nemmeno italiano. E l’Enciclopedia Italiana, un’opera che il mondo intero ci potrebbe invidiare? No, mai: roba vecchia, superata; come potrebbe essere diversamente, se fu voluta da quel “fascista” di Gentile? Ora, Gentile è stato “giustiziato” dal popolo; meglio non parlare più, allora, né di lui, né della sua Enciclopedia. Meglio celebrare fino alle stelle quel pallone gonfiato di Croce, perché, se proprio bisogna ammettere che anche la cultura non marxista ha prodotto qualcosa di buono, è pur sempre diritto insindacabile della sinistra stabilire e decidere quale destra sia seria e meritevole di attenzione, e quale no. Anche gli intellettuali di destra sono stati sottoposti a questo parziale sdoganamento; ma solo a partire dagli anni ’80, quando il comunismo internazionale stava tirando gli ultimi respiri: erano accettati, o tollerati, quelli che facevano mea culpa sul passato “fascista” e soprattutto sulla colpa imperdonabile dell’antisemitismo: Giordano Bruno Guerri sì, Marcello Veneziani già un po’ meno, Maurizio Blondet no, assolutamente no. E via di questo passo, sempre sulla base di un codice morale tutto loro, di cui avevano l’esclusiva.
I professori di liceo hanno insegnato, per anni, che Nanni Balestrini è stato un grande poeta, mentre hanno passato sotto silenzio Mario Luzi, che un grande poeta lo è stato per davvero; che si poteva sbrigare la filosofia di un gigante del pensiero come san Tommaso in due lezioni, ma bisognava fermarsi per settimane e mesi a parlare di pseudo filosofi come Marx o Freud; e così via. In questo modo, di falsificazione in falsificazione, di incretinimento in incretinimento, una mattina gli italiani si sono svegliati ridotti a un popolo d’idioti. Non c’era più intellighenzia, quindi non c’era più classe dirigente. Perché una classe dirigente che si beve che Togliatti è stato il più grande statista italiano del ‘900, e Mussolini il più grande criminale della storia, non ha più un cervello: gli è rimasto solo un sistema nervoso spinale. Questo accadeva verso il principio degli anni ’90 del secolo scorso: e infatti, sceso in lizza sei mesi prima delle elezioni che si tenevano, per la prima volta, dopo la fine della Guerra Fredda, vinse Berlusconi, coi suoi slogan da operetta e le sue televisioni addomesticate. Ecco: quello sarebbe stato il momento, per la cultura di destra, di riemergere dalle catacombe, di ripristinare un po’ di verità, di immettere un poco d’ossigeno nelle cantine della società italiana, terribilmente asfittiche: e invece si vide una cosa piuttosto deprimente, che la cultura di destra non esisteva più. C’erano solo dei servi, dei lacchè, dei pennivendoli: troppo poco per costituire una egemonia culturale, e sia pure una contro-egemonia culturale. Così, per qualche tempo, la cultura di sinistra passò al contrattacco, avendo trovato un nuovo, formidabile alleato, una insperata carta vincente: la Chiesa cattolica. Grazie ai cattolici di sinistra, progressisti e modernisti, imbevuti di teologia della liberazione e di pauperismo ”evangelico” di terza o quarta scelta, merce avariata e assolutamente immangiabile, ma pur sempre abbastanza appetitosa per un popolo rincretinito da settant’anni di menzogne intellettuali, agli italiani, nelle scuole, all’università, al cinema, attraverso le case editrici e i premi letterari, venne ammannita una nuova versione della Grande Menzogna, stavolta in salsa pseudo cristiana anziché esplicitamente marxista. La menzogna dei disperati in fuga da guerra e fame, la menzogna dell’accoglienza e della solidarietà, la menzogna delle migrazioni dall’Africa come logica e giusta conseguenza dello sfruttamento neocoloniale, orrenda colpa collettiva dalla quale gli italiani si sarebbero riscattati solo mettendo a disposizione case, alberghi, posti di lavoro, mense, dormitori e ogni altra cosa, fino alle cuffie per la musica e a skipe, nei confronti di questi nostri “fratelli” bisognosi, di questi “angeli mandati da Dio”. 
Quel che si deve fare adesso, pertanto, per evitare il ritorno dei morti viventi, dei vampiri che ci hanno succhiato il portafogli e l’intelligenza per un tempo così lungo, è ricostruire un po’ di cultura, ripristinare un po’ di libero dibattito, abbattere le ultime cittadelle della menzogna, più o meno istituzionalizzata. Si deve promuovere una riscossa antropologica, come i nostri pessimi governanti e pessimi intellettuali hanno perseguito per decenni un degrado antropologico da regime totalitario, paragonabile, sia pure in veste soft, a quello attuato scientemente nella ex Unione Sovietica. Se non si rimettono al centro l’intelligenza e la cultura, l’occasione storica del 4 marzo 2018 andrà sprecata.

 

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