Originale: www.bloomberg.com
Fonte: Comedonchisciotte
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05/12/2018
Pensate ancora sempre che la globalizzazione porterà la pace? Lo pensavano anche nel 1914. Tre ragioni di attualità per temere una nuova “Grande Guerra”
di Hal Brand
Tradotto da Giakki49
Il mese scorso sono andato a Vienna, che fu la sede dell’impero austro-ungarico ed è il luogo ideale per riflettere sul centesimo anniversario della fine della prima guerra mondiale.
Questo conflitto è iniziato con la dichiarazione di guerra dell’impero austro-ungarico alla Serbia nel luglio 1914, in seguito all’assassinio dell’arciduca austro-ungarico Francesco Ferdinando. Questo ha poi portato a più di 15 milioni di morti, alla distruzione di quattro imperi, alla nascita del Comunismo e del Fascismo in alcuni dei principali stati europei, all’emergere e all’ulteriore ritirarsi dell’America come potenza mondiale e ad altri sviluppi che hanno profondamente modificato il corso del ventesimo secolo.
La Prima Guerra Mondiale è stata “il diluvio… una convulsione della natura “, ha dichiarato il ministro britannico degli armamenti David Lloyd George, “un terremoto che rovescia le fondamenta della vita europea “. Questo conflitto si è concluso un secolo fa, ma ci propone tre lezioni cruciali, pertinenti a questo nostro mondo odierno sempre più caotico.
In primis, la pace è sempre più fragile di quanto non sembri. Nel 1914 l’Europa non aveva conosciuto un conflitto continentale globale dalla fine delle guerre napoleoniche un secolo prima.
Certi osservatori pensavano che il ritorno ad un eccidio del genere fosse diventato quasi impossibile. L’autore britannico Norman Angell si immortalava suggerendo, solo pochi anni prima della prima guerra mondiale, che ciò che noi ora chiameremmo “globalizzazione” aveva reso obsoleti i conflitti tra le grandi potenze. La guerra, affermava, era diventata inutile, dato che la pace e i crescenti legami economici e finanziari tra i principali stati europei producevano un grande benessere.
Angell era in buona compagnia con la moltitudine dei pensatori che credevano che il miglioramento delle comunicazioni legasse l’umanità ancora più strettamente, che l’arbitraggio internazionale rendesse la guerra inutile, e che il nazionalismo fosse eliminato dalle nuove ideologie più illuminate e da migliori forme di cooperazione internazionale.
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale ha mostrato che queste tendenze non erano affatto una garanzia di pace, poiché furono molto facilmente travolte dalle forze più tenebrose del conflitto e della rivalità. Le variazioni destabilizzanti nell’equilibrio delle forze, le rigidità geopolitiche create da progetti militari minacciosi, la crescita di idee sociali darwiniste e militariste che esaltavano il ruolo della guerra nello sviluppo umano e nazionale e le tensioni che circondavano il crescente tentativo del pangermanismo di proporre il suo primato europeo ed il suo potere mondiale, avevano accumulato una grande quantità di materiali combustibili che sono stati incendiati dalla scintilla apparentemente minima venuta dall’assassinio di un arciduca.
Se oggi diamo per scontato che la guerra tra le grandi potenze non possa avere luogo, che l’interdipendenza economica si farà carico della crescita delle tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina, che i progressi dell’umanità nello spirito dei lumi relegheranno il nazionalismo e l’aggressione nei libri di storia, allora rischiamo di scoprire che la nostra attuale pace è molto più precaria di quello che pensiamo.
Come secondo punto, la Prima Guerra Mondiale ci ricorda che, quando la pace si eclissa per fare posto alla distruzione dell’ordine internazionale, le conseguenze possono essere ben peggiori di quello che si può immaginare. Anche dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, numerosi osservatori stimavano che sarebbe stata di breve durata e con conseguenze limitate. Nel settembre 1914, “The Economist” rassicurava i suoi lettori circa “l’impossibilità economica e finanziaria di sostenere per ancora molti mesi delle ostilità al ritmo attuale”. Invece questa predizione, come tante altre, era del tutto sbagliata, dato che proprio le risorse del Progresso, che avevano indotto tanto ottimismo negli anni precedenti la guerra, hanno poi reso il suo impatto altrettanto catastrofico.
Lo sviluppo di stati più moderni e più efficienti nel corso dei decenni che hanno preceduto la prima guerra mondiale dava ormai ai dirigenti europei la possibilità di tassare e di reclutare più efficacemente le loro popolazioni e di sostenere un conflitto terribile ben più a lungo di quanto previsto. Le conquiste industriali e tecnologiche dell’epoca permettevano allora di uccidere su scala industriale. Come ha osservato il rettore di una chiesa britannica, “tutte le risorse della Scienza erano state utilizzate per perfezionare le armi di distruzione dell’umanità “.
Mentre il conflitto si espandeva, le remore morali venivano erose e alcune innovazioni terribili come i bombardamenti aerei, i gas tossici e la guerra sottomarina senza limiti erano messi in opera. La guerra ha accelerato il genocidio degli Armeni e innumerevoli altri crimini contro civili inermi. Anche le sue conseguenze a lungo termine sono state egualmente traumatiche, poiché la prima guerra mondiale ha rimodellato la carta politica dei continenti, scatenato delle rivoluzioni dal cuore dell’Europa fino all’Estremo Oriente e messo in incubazione alcune ideologie politiche tra le più venefiche nella storia dell’umanità.
La Prima Guerra Mondiale non era così diversa sotto questo profilo, dalle numerose guerre tra grandi potenze che hanno periodicamente lacerato il sistema internazionale. Una volta che l’ordine esistente sia collassato, non si sa più fino a dove arriveranno la distruzione , le trasgressioni morali accettate e lo sconvolgimento geopolitico. Ora che gli Americani si chiedono con quanta forza difendere l’ordine internazionale che il loro paese ha creato, contro le pressioni crescenti esercitate da potenze revisioniste autoritarie come la Cina e la Russia – o anche (si chiedono) se farlo- vale la pena di tenere presente questa lezione.
Da qui la terza lezione: quando gli Stati Uniti si isolano dal mondo, è molto facile che più tardi debbano poi impegnarsi di nuovo, con un costo molto più elevato L’America ha giocato un ruolo chiave nel rilancio economico dell’Europa post-bellica durante gli anni ‘920. Ma allora aveva rifiutato il tipo di impegno strategico e militare a lungo termine che ha finalmente adottato dopo la Seconda Guerra Mondiale
Gli americani si comportarono così per delle ragioni che all’epoca sembravano totalmente comprensibili. C’era una generale riluttanza ad abolire la tradizione di non intervento in Europa, ed anche la paura che l’adesione alla Società delle Nazioni potesse attentare alla sovranità americana ed usurpare le prerogative costituzionali del Congresso in materia di dichiarazioni di guerra. Soprattutto, c’era un compiacimento strategico provocato dalla disfatta della Germania e dei suoi alleati, che sembrava aver allontanato dall’orizzonte grossi rischi geopolitici.
La storia degli anni 1930-1940 tuttavia ha presto mostrato che nuovi ed ancora più gravi pericoli potevano sopravvenire nell’assenza, in tempo opportuno, di sforzi risoluti delle democrazie per impedirlo. Anche se gli Stati Uniti e i loro alleati durante la Seconda Guerra Mondiale hanno ottenuto il risultato di sconfiggere le potenze dell’Asse, ci sono arrivati soltanto con un costo in vite umane, ricchezza, e devastazione generale che ha eclissato il pedaggio pagato alla prima guerra mondiale.
È questa la ragione per cui gli Stati Uniti hanno scelto di restare così profondamente impegnati negli affari dell’Europa, dell’Asia del Pacifico e di altre regioni chiave dopo il 1945: le autorità americane avevano imparato che, in geopolitica come in medicina, la prevenzione è spesso molto meno costosa della cura per guarire. In questo momento, in cui l’impegno futuro degli Stati Uniti per la leadership internazionale viene di nuovo messa in discussione, può darsi che questa sia l’informazione più importante da trasmettere. E ci sono dei mezzi ben peggiori di ricordare questa nozione che quello di attraversare Vienna, città ricca di monumenti che appartenevano a un impero e ad un ordinamento internazionale che la prima guerra mondiale ha distrutto.
Hal Brands è un cronista di Bloomberg Opinion, Henry Kissinger Distinguished Professor alla Scuola di Studi Internazionali Avanzati dell’Università John Hopkins, membro ordinario del Centro per le valutazioni strategiche e di bilancio. Recentemente è stato autore del libro “Le lezioni della tragedia: Arte di governo e ordine mondiale “.
Nota del Saker Francophone:
Questo testo è un esempio caricaturale della cecità e del disorientamento delle élite davanti al disordine del mondo. È un appello disperato contro la tendenza attuale degli Stati Uniti all’isolazionismo.
L’autore ha capito bene che la globalizzazione è stata la causa delle atrocità della prima guerra mondiale e che oggi siamo nella stessa situazione del 1914. Ma questo non gli impedisce di parlare in favore di un interventismo più radicale degli Stati Uniti nel momento in cui questo paese è senza risorse su tutti i fronti.
Link: https://www.bloomberg.com/opinion/articles/2018-11-11/100-years-after-world-war-i-there-s-reason-to-fear