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30 Maggio 2018

 

Il quinto stato

di Roberto Pecchioli

 

Ho incontrato il Quinto Stato. E’ accaduto stamattina, sul presto, nel mio quartiere. In meno di mezz’ora e nel raggio di poche decine di metri, ho verificato l’esistenza del Quinto Stato. Conosciamo l’antica divisione della società in tre ordini, risalente al Medioevo. Il primo ordine, o Stato, era costituito dal clero; il secondo dai nobili. Il terzo, teoricamente, da tutti gli altri. La sua rappresentanza, negli Stati Generali francesi, fu affidata ai membri della nascente borghesia, che fece la Rivoluzione e seppellì per sempre il passato.

Nel corso dell’Ottocento, la polemica socialista iniziò a parlare di Quarto Stato, ovvero del proletariato contadino e operaio le cui file si ingrossavano all’ombra della rivoluzione industriale, dell’urbanizzazione forzata, della nascita delle grandi fabbriche. 

Travolto dalla postmodernità, il Quarto Stato si è dissolto alla fine del secolo XX che aveva inaugurato e poi attraversato con tante speranze. Al suo posto avanza, o meglio retrocede in un nuovo feudalesimo, la poltiglia umana che ci sentiamo di definire Quinto Stato. L’ho incontrata a pochi passi da casa, una mattina qualunque, perché per una volta ci ho fatto caso. Accanto al supermercato in apertura staziona un giovane maschio africano, sbarcato da qualche barcone e portato qui dalla Marina Militare. Per nulla denutrito, meno male, sorridente, ospitato a spese nostre per non fare nulla. Ha uno smartphone con le cuffie, la maglietta di un gruppo rock, il giubbetto con cappuccio e scarpe sportive d’imitazione delle grandi marche che producono in Asia. 

Oltre l’elemosina, aiuta le signore con il carrello della spesa, ogni tanto dà una mano a pulire qualche giardino privato. Quando i commerci sono chiusi ciondola con altri come lui e poi sale sul bus, dove ovviamente non fa il biglietto e non viene multato, tanto non potrebbe pagare. Stamane gli è passato accanto un ragazzo con tatuaggi tribali e un piercing nel naso, zainetto di marca sulle spalle, lo stesso smartphone, le medesime cuffie, abbigliamento e andatura fotocopia, la differenza è che le griffe di abiti e scarpe sono autentiche. 

Giusto il tempo di riavermi, e il quinto Stato ricompare nelle sembianze di un giovane uomo trafelato, malvestito, forse italiano, forse sudamericano, che, sceso da un ciclomotore da rottamare con una gran borsa a tracolla, si informa su un indirizzo. Consegna posta: se la sua condizione è simile a quella del figlio ultratrentenne di conoscenti, ha la partita IVA (un imprenditore!), lavora almeno nove ore al giorno nel traffico racimolando al massimo tra i 700 e gli 800 euro al mese. Mangia cibo di strada da un cartoccio sporco, porcheria consegnata da un povero cristo come lui, un altro del Quinto Stato. 

La mia meta è il negozio di un grande gestore telefonico che ha appena “mangiato” qualche decina di euro per servizi e applicazioni che non ho chiesto, ma solo incautamente digitato credendo di rifiutarle (un giochetto molto comune, sembra) mi metto in fila, ma il Quinto Stato è in agguato. Ha la fisionomia di un corpulento giovanotto sulla trentina accompagnato dalla moglie con bimbo al collo. Indossa una camicia trasandata mai stirata, con pantaloni corti jeans a vita così bassa che mostrano ampie porzioni di un imbarazzante lato B, gambe e braccia rivelano tatuaggi multicolori. Ha un linguaggio pressoché incomprensibile, grugnisce pochi vocaboli anglo dialettali inframmezzati dall’immancabile “cazzo”, manifestamente capisce poco di quanto gli dice il commesso, e si rivolge per soccorso verso la ragazza che scuote la testa, mostrando con una certa fierezza due ciliegie tatuate dietro un orecchio. 

Rassegnato al nuovo che avanza, esco dal tempio dei telefoni cellulari e delle tariffe “all inclusive” per imbattermi in un ulteriore, insidioso esponente del Quinto Stato. Ha le sembianze civilizzate di un compito giovin signore in giacchetta, cravattino e valigetta 24 ore. Figlio di famiglia, spiega di essere socio di un’agenzia immobiliare, cerca appartamenti vuoti da vendere o affittare, dà del tu a tutti e fa capire che pagherà qualcosa per ogni segnalazione positiva ricevuta; nel frattempo cerca di vendere contratti per grossisti di energia elettrica. Un imbroglioncello laccato già pronto ad assumere il ruolo di impiegato d’ordine della globalizzazione. 

In mezz’ora ho visto e toccato con mano un universo che vent’anni fa era inimmaginabile. Avanza al passo del gambero una nuova imponente classe sociale del tutto ignara di esserlo. Non possiede alcuna coscienza collettiva, né sembra interessata all’impegno: politico, sociale, civile, etico. Vive e tanto basta. E’, in mille forme diverse, il Precario Globale Desiderante. La nuova classe dei perdenti dominati ignari: il Quinto Stato.

 

Dei cinque personaggi osservati nel mattino di primavera, di cui ho parlato nel numero precedente de Il Pensiero Forte, il meno negativo è l’africano. Scelto dalla famiglia per andare in cerca di fortuna probabilmente perché più forte e robusto dei fratelli, è lo strumento inconsapevole del mondialismo rampante. Simbolo, suo malgrado, delle meraviglie della società multietnica che ignora e di cui nulla gli importa, assolve ad una serie di compiti assegnati dal Potere. Innanzitutto, abbassa le tutele sociali e i salari altrui. Qualunque lavoro o lavoretto gli venga proposto, la retribuzione è inferiore a quella di chiunque altro.

Quando fa qualcosa, è meno di un numero, un lavoratore intermittente come il semaforo di notte. Abbassa i salari, brucia le garanzie sociali esattamente come degrada senza saperlo il tessuto civile e il panorama estetico circostante. Non ha colpe specifiche. Si deve lottare contro l’immigrazione di massa voluta e alimentata, odiare gli sfruttatori in giacca, cravatta e automobile di servizio, la loro globalizzazione assetata di schiavi, il loro tronfio liberalismo, la loro falsa società aperta, non si può prendersela con il Quinto Stato immigrato.

Difficile avercela anche con lo studente firmato, perennemente connesso, magari un po’ bullo. Non è responsabile se questo è il mondo, lui guarda, imita e, come gli altri, vuole la sua parte. Estraneo a qualunque approfondimento, gran utente dei Bignami sotto forma di app e Wikipedia che tolgono lo sforzo di imparare e ricordare, il Quinto Stato è convinto che la felicità sia viaggiare continuamente- in genere senza capire nulla dei luoghi dove si trova e delle persone che incontra – se è molto giovane liberarsi della tutela dei genitori, tranne la funzione di ufficiali pagatori che volentieri continua ad accettare, comprare o almeno consumare nuove merci e nuovi servizi. Un Quinto Stato liquido, cui basta alzare lievemente la temperatura perché diventi gassoso e precipiti verso il basso anziché salire in alto come in natura.

Fattosi adulto, è pronto a divenire il Cretino Globale, deciso a dire la sua su tutto via etere, insultando, offendendo, entusiasmandosi o odiando a comando eterodiretto. Più grande sarà la sua ignoranza, maggiore la sua pretesa di esprimere, con poche frasi e tanti strafalcioni, un’opinione definitiva che nessuno potrà scalfire. Non lo sa, ma è un prodotto di scala, uno tra i tanti. A suo modo, è riuscito perfettamente.

Il Terzo Stato ha assorbito i primi due, si è fatto nuovo Principe e ha organizzato un perfetto sistema per continuare a dominare, sfruttare, guadagnare. Ha colonizzato l’immaginario, comprendendo che le prime idee da cancellare erano la dignità, la consapevolezza, l’etica. Tutti principi senza valore perché non calcolabili in denaro

Due pensatori radicali americani, Nick Srnicek e Alex Williams hanno scritto di recente una sorta di manifesto per il Quinto Stato: Pretendi la piena automazione; pretendi il reddito universale; pretendi il futuro. Un testo che riteniamo assai gradito all’iperclasse dei potenti padroni di tutto. Viene teorizzata la morale dello schiavo che si accontenta di consumare con denaro altrui, svalutando il lavoro e l’impegno personale, spostando ogni lotta dal terreno della dignità a quello della richiesta di consumo.

Hanno lottato con tutte le forza per distruggere la cultura popolare e quella dei ceti superiori. Ci sono riusciti perfettamente, realizzando inconsapevolmente il lavoro dei liberali, il cui orizzonte è oltrepassare ogni limite. Non resta che tessere una tela diversa, nella quale l’uomo torni a recuperare tutte le sue dimensioni.

Hanno costruito un’umanità di terz’ordine, scomposta, priva di centro, dedita all’istinto, regressiva. Hanno eliminato diritti naturali e sociali, facendo credere che il desiderio, il capriccio, l’istinto elevato a norma siano sacri diritti individuali. Hanno creato un Quinto Stato disumanizzato, deplorevole, privo di argini.

Il Terzo Stato del 1789 ha vinto. La moltitudine ha perso perché ha fatto suoi i disvalori dell’Altro. Servi senza coscienza e senza livrea, alla fine reclamano solo una fetta della torta. Il Quarto Stato, almeno, cosciente di sé, voleva cambiare menù, non conquistare un posto alla tavola del Signore.

 

 

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