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29/5/2018

 

La guerra civile atlantista inizia a Roma

di Alessandro Lattanzio

 

La battaglia post-elettorale che si svolge in Italia, non ha nulla a che fare con il sovranista San Giorgio contro i draghi eurofili, ma tra fazioni dell’imperialismo sfilacciato statunitense, o anglo-statunitense, per l’imposizione della linea geo-strategica verso l’Eurasia in ascesa. Da una parte c’è l’europeismo social-imperista, liberal-liberista, le cui ultime cittadelle sono in Europa; dall’altra l’imperialismo neo-con, conservator-liberista, che corre a recuperare il settarismo razziale e ideologico per preservare non l’Europa, ma un predominio globalista in disfacimento davanti al consolidamento geoeconomico e geostrategico delle potenze eurasiatiche guidate da Russia e Cina, e ben presto anche da India, Iran e forse Giappone. Un processo che va seppellendo secoli di predominio anglosassone (passato per summa del ‘fardello dell’uomo bianco’), basato sul predominio militar-industriale in senso stretto ed anche lato. Una figura centrale, promotore di tale revival reazionario, in reazione alla sconfitta strategica degli USA post-Guerra Fredda, è Stephen Bannon, miliardario ‘cristiano-sionista’ ed ‘eminenza grigia’ dell’amministrazione Trump. Il miliardario Bannon, può contare su centinaia di ‘intellettuali’ occidentali emarginati, anche se emersi grazie ad Internet (ed è questo che i liberal-liberisti imputano ai loro ex-amici dell’industria informatica), che vanno coagulandosi dietro le linee-guida del Bannon-pensiero (in sostanza l’ultima versione del dettame neocon), che inquadra i ‘veri nemici’ (Cina, Iran, America Latina) da combattere blandendo dei presunti ‘amici’ (Russia, India); una tecnica di manipolazione esiziale e potenzialmente mortale, per l’ambito delle residuali aree di pensiero critico occidentali, che cerca solamente di giustificare e creare un consenso ideologico-culturale a un processo globale che permetta agli USA di mantenere la primazia mondiale acquisita nel 1992 e persa, sostanzialmente, tra il 2008 e il 2015. E’ in tale quadro che va posto lo scontro sulla nomina del governo italiano, dopo un processo politico-ideologico su cui proietta le sue ombre l’area d’influenza del Bannon-pensiero, i suoi referenti statuali e geopolitici, e il circo mediatico che li circonda.

 

Il 26 maggio, l’ex-consigliere e capo della campagna elettorale di Trump, Steve Bannon, dichiarava a Sky TG24, “Io credo che il mondo intero stia guardando l’Italia, indipendente da ciò che dicono New York Times e suoi editoriali. È arrivato il momento di celebrare questo grande cambiamento”. Matteo Salvini e Luigi Di Maio “devono insistere sul professor Savona. Quando c’è la possibilità di prendervi il meglio bisogna prenderlo e lui è il meglio. Ha le idee chiare sull’Europa, sulla Germania e sull’euro e non è timido, dice le cose come stanno. Credo che il Movimento 5 stelle e la Lega, mettendosi insieme, vedono in Savona la persona giusta, che non le manda a dire, conosce il sistema monetario, rappresenta qualcosa di diverso rispetto a quello che c’è stato”. Bannon a una domanda precisa, non voleva dichiarare se avrebbe incontrerà il capo della Lega Matteo Salvini.

Bannon, concludeva in Italia un tour avviato in Europa orientale, a Praga, il 22 maggio, invitato a un forum sponsorizzato da un’industria bellica ceca; e a Budapest, al Castello Bazaar, in supporto alla creazione di un movimento di estrema destra pan-europeo. “Ciò che conta è la sopravvivenza dell’occidente giudeo-cristiano”, dichiarava a Praga, “l’occidente non deve declinare. Non è una legge della fisica. Può essere invertita”. A Praga, Steve Bannon aveva anche detto che i Paesi della NATO devono iniziare a pagare di più per “proteggersi dalla Russia”, affermando anche che se la Russia è una “cleptocrazia” gestita da “cattivi che fanno cose cattive… Ci sono molti posti come questo”, indicando che la peggiore minaccia geostrategica al mondo è la Cina. “L’odio contro la Russia è 10 volte quello durante la Guerra Fredda. Ci vorranno saggezza, coraggio e tenacia, ma in qualche modo… dovremo porre fine alla Guerra Fredda: l’economia russa oggi ha le dimensioni dell’Italia. È più piccola dell’economia dello stato di New York. Crediamo i russi alti 3 metri. Ma non lo sono”. Bannon affermava che è “umiliante” per gli Stati Uniti, considerandone la partecipazione alle due guerre mondiali, venire con “una tazza in mano e chiedere alla Germania: “pagheresti il 2% del PIL per la NATO?””, criticando particolarmente la Germania, definendolo Paese “deadbeat” (scroccone) quando si tratta di forze armate, aggiungendo che la cancelliera Angela Merkel “sparirà come la peggiore figura politica del XXI secolo”, a causa delle sue politiche immigratorie. Stranamente, sempre a Praga e nello stesso forum, Bannon appariva assieme all’ex-consigliere della campagna di Hillary Clinton, Lanny Davis. La tappa di Budapest, nel Castello Bazaar, e di Praga, non era il primo viaggio in Europa di Bannon da quando si è dimesso dalla Casa Bianca nell’agosto 2017.

 

Il 14 marzo, Bannon si recò a Zurigo invitato dalla rivista Die Weltwoche, diretta da Roger Köppel, parlamentare conservatore di destra, al forum “Le rivolte populiste e le loro conseguenze globali per la Svizzera, l’Europa e l’America”, ma prima aveva trascorso diversi giorni in Italia, in vista delle elezioni del 4 marzo. A Zurigo, affermò che “L’ondata populista in Europa non è finita: è solo l’inizio. La storia è dalla nostra parte”. A Zurigo, Bannon incontrava anche Alice Weidel, leader di Alternative fur Deutscheland (AfD). L’ufficio di Weidel affermò che Bannon offriva competenze in materia di strategia politica e canali multimediali alternativi. Da Zurigo, Bannon tornava in Italia, e da lì in Francia, a partecipare al congresso annuale del Front National, a Lilla, comparendo a fianco di Marine Le Pen. “Quello che ho imparato è che fate parte di un movimento mondiale più grande della Francia, più grande dell’Italia, più grande dell’Ungheria, più grande di tutto il resto. E la storia è dalla nostra parte”, aveva detto al pubblico francese, che l’acclamava con una standing ovation.

 

Stephen K. Bannon, cattolico praticante e “sionista-cristiano”, ex-tenente della Marina statunitense, ex-banchiere e vicepresidente di Goldman Sachs, ex-produttore cinematografico di Hollywood, aveva rilevato Breitbart, sito d’informazione di destra statunitense, e nel 2016 fu il direttore della campagna elettorale di Donald Trump. Rimase sette mesi alla Casa Bianca come capo stratega del presidente. A Zurigo aveva detto a una platea di 1500 spettatori, “Una minaccia più grande che abbiamo del socialismo è il capitalismo controllato dallo Stato, laddove siamo diretti, dove abbiamo un grande governo e una manciata di grandi compagnie. Questo è ciò che vediamo nella tecnologia di oggi. con queste enormi compagnie. È il peggiore pericolo che abbiamo. Ascoltate, penso che il nostro problema sia non solo la sinistra marxista culturale, ma il capitalismo di Stato sulla finanza. Questo è ciò che combattiamo in questo momento. Controllano assolutamente i nostri confini. Danneggiano la vostra moneta, indeboliscono la vostra cittadinanza e prendono la vostra personalità digitalmente. Questo è il nuovo servaggio della gleba. Siamo solo una collezione di servi, servi che vivono con un tenore di vita elevato, ma rispetto alla economia pasticcia totale, siete ancora servi della gleba, ed è esattamente dove lo Stato moderno vi vuole”.

 

La Gran Bretagna e la Brexit appaiono grandi nella visione di Bannon. “La Brexit non sarebbe accaduta se Breitbart London non fosse iniziata. Eravamo la piattaforma per le idee dell’Ukip, in particolare sull’immigrazione. Senza Farage, non avresti avuto la Brexit. Boris Johnson, in quella campagna di uscita, è stato bravo, ma hanno lanciato quelle complicate regole da Bruxelles. Non ha funzionato. L’immigrazione. Sono stati Nigel Farage e fratelli a uscirne”. La Brexit, secondo Bannon, è un’espressione del populismo nazionale. È la “sussidiarietà” che toglie potere allo Stato e lo restituisce all’uomo comune: “Smettete di cedere a un’élite scientifica, ingegneristica, finanziaria, manageriale e tecnocratica, con cui è nato il globalismo”. L’occidente può vivere con l’Islam? “Sì. L’Islam non solo sopravviverà, potrà avere un posto in occidente e non c’è nulla che impedisca di bandire i musulmani. Ora la parte jihadista radicale, l’islam suprematista, è una questione diversa, ma no, possiamo vivere con l’Islam, dobbiamo vivere con l’Islam”.

Prima di partire per l’ultimo tour in Europa, questo mese di maggio, Bannon aveva condannato la tregua sulla disputa commerciale degli Stati Uniti con la Cina, definendola capitolazione. Bannon accusava il segretario del Tesoro Steven Mnuchin, per il suo ruolo nei negoziati commerciali e Il presidente Trump per aver “cambiato dinamica sulla Cina, ma in un solo fine settimana è stato il segretario Mnuchin ha dare il via”. Trump aveva difeso le trattative; “La Cina ha accettato di acquistare enormi quantità di prodotti agricoli dagli USA, sarebbe una delle cose migliori per i nostri agricoltori da anni!” E Mnuchin affermava “Poniamo fine alla guerra commerciale. In questo momento, abbiamo concordato la sospensione delle tariffe mentre definiamo il quadro”. Ma Bannon aveva detto che Mnuchin “manca il punto centrale” della competizione economica. “Sono in guerra commerciale con noi e non si sono fermati. Mnuchin ha completamente frainteso la precedenza geopolitica, militare e storica e ciò che il presidente Trump aveva fatto era finalmente mettere i cinesi con le spalle al muro”. Altri fedelissimi di Trump facevano eco a Bannon. Dan DiMicco, consigliere commerciale di Trump, ribadiva “I cinesi ci ridono ancora. Non hanno mai mantenuto una promessa in passato. L’appeasement è l’amico dei diavoli. Ora esporteremo le nostre risorse naturali, come se fossimo una nazione insulare. Acqua, agricoltura ed energia invece di prodotti ad alto valore aggiunto!”

 

Ecco cosa Bannon contrasta

Nel frattempo la Germania era impegnata nella realizzazione del gasdotto Nord Stream 2, per importare gas russo, incrementando così i rapporti con Mosca. Berlino in questi ultimi si affretta a rinforzare questi legami, nel timore che gli USA attuino operazioni e sanzioni che, mirate su Mosca, danneggino invece gli interessi tedeschi; preoccupazioni rafforzate dalle minacce di Washington contro le aziende che operano in Iran, soggette alle nuove sanzioni imposte da Trump contro l’Iran e chi, come i tedeschi, continuano ad avere rapporti economici con Teheran, sfidando Washington. Infatti, in Iran, la Germania si dichiarava pronta ad l’Iran a riavviare l’economia e le relazioni commerciali, nel quadro del piano d’azione congiunta globale (JCPOA), l’accordo nucleare iraniano; e il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas dichiarava, “Continueremo a compiere sforzi per soddisfare le speranze iraniane di ripresa economica e buone relazioni commerciali finché l’Iran sarà pronto e in grado di dimostrare l’adesione agli obblighi previsti dall’accordo nucleare”. La settimana prima Maas aveva incontrato il segretario di Stato degli USA Mike Pompeo, per poi dichiarare che i loro due Paesi “perseguendo due vie completamente separate” sulla questione iraniana. La cancelliera tedesca Angela Merkel, sulle sanzioni contro Teheran reintrodotte dal presidente Trump, dichiarava che l’UE aveva subito una sconfitta nelle relazioni cogli Stati Uniti. Tra l’altro, il 26 maggio, presso l’aeroporto della provincia di Alborz Payam, veniva consegnato al Ministero della Salute dell’Iran i primi 6 dei 48 elicotteri MBB/Kawasaki BK-117 dell’Airbus Helicopters. Un segnale che confermava, almeno per il momento, la volontà europea di continuare i rapporti con Tehran.

In questo quadro, il partito socialdemocratico tedesco favorisce una politica di riavvicinamento con la Russia, e perciò iniziava a criticare la retorica del ministro degli Esteri Heiko Maas, un intransigente russofobo; “I socialdemocratici tedeschi (SPD) sostengono una politica comune sulle relazioni con la Russia. Diversi deputati di centro-sinistra hanno espresso irritazione per le aspre critiche a Mosca fatte dal ministro degli Esteri Heiko Maas… diversi parlamentari dell’SPD espressero irritazione verso il diplomatico e parlamentare dell’SPD Heiko Maas, per la sua retorica sulla Russia. Il segretario generale dell’SPD Lars Klingbeil notava che le relazioni tra i due Paesi sono “di massima importanza” per il partito. “Vogliamo il dialogo con la Russia, cerchiamo il dialogo con la Russia e vogliamo rafforzarlo”, affermava. Maas, da quando ha assunto la carica di ministero degli Esteri, circa 10 settimane fa, aveva accusato Mosca di “comportamenti ostili”, in particolare in Siria, per il sostegno al Presidente Bashar Assad. Maas accusava Mosca anche per le presunte interferenze nelle elezioni occidentali, l’attacco informatico alla rete del governo tedesco e il presunto avvelenamento di Sergej Skripal. Klingbeil riferiva che il partito aveva dato al ministro degli esteri “un chiaro sostegno ad intensificare il dialogo con la Russia”. Un altro critico di Maas era il presidente della Sassonia Martin Dulig, che dichiarava, dopo l’incontro dell’SPD sul comportamento di Maas: “Sono soddisfatto che Heiko Maas faccia il passo di portare avanti il dialogo, e spero che questo dialogo si approfondisca”. La Germania capisce che deve accordarsi coi partner orientali, perché la politica di Trump è volta a smantellare il commercio internazionale, dimostrandosi anche più inaffidabile delle passate amministrazioni statunitensi.

Non va dimenticato che il 18 maggio, a Sochi, Putin e Merkel discutevano su come difendesi dalle sanzioni degli USA, dato che che potrebbero danneggiare le aziende di Germania e Russia. I due leader avevano discusso della Siria, della repressione di un’agenzia di stampa russa in Ucraina e delle azioni degli Stati Uniti, come la decisione di Trump di violare l’accordo nucleare con l’Iran reintroducendo le sanzioni e minacciando le aziende europee attive in Iran, ma anche delle minacce di sanzioni dagli Stati Uniti sui progetti congiunti con la Russia, in particolare il gasdotto Nord Stream 2. Putin notava che “Ciò che Washington vuole che la Russia faccia, è sostenere l’Ucraina, che non vuole sviluppare le relazioni con noi, ma è lieta di ottenere i nostri soldi col transito del gas. Circa due o tre miliardi di dollari all’anno. Non siamo contrari, infatti. Siamo pronti a continuare sul transito, se economicamente fattibile. Questa fattibilità può essere raggiunta coi negoziati”. Ma Nord Stream 2 invierà il gas russo direttamente in Germania, primo acquirente d’Europa. Col gasdotto, i costi del servizio di transito in Ucraina e altri Paesi dell’Europa orientale si ridurranno. Gli Stati Uniti vogliono che l’UE riduca la quota di gas russo importato, a favore del gas naturale liquefatto (GNL) prodotto negli USA, quindi minacciando sanzioni alle compagnie europee. “Donald non è solo il presidente degli Stati Uniti. È anche un grosso affarista, quindi promuove i suoi interessi commerciali”, spiegava Putin.

E sulle sanzioni all’Iran, l’India si trova allineata alla Russia, quando la Ministra degli Esteri indiana Sushma Swaraj dichiarava che l’India continuerà a commerciare con l’Iran e la Russia nonostante le sanzioni dell’amministrazione Trump, “L’India segue solo le sanzioni delle Nazioni Unite e non quelle unilaterali di un qualsiasi Paese. Abbiamo continuato i nostri rapporti commerciali durante l’ultima sanzione imposta prima del 2015 all’Iran”. Nel frattempo, il Countering America Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA), adottato dall’amministrazione Trump, minaccia l’India sull’acquisizione di materiale militare dalla Russia, come il sistema di difesa aerea S-400. CAATSA è mirato principalmente contro la Russia e i Paesi che utilizzano i sistemi militari russi. Ma la Ministra degli Esteri indiana chiariva che l’India non danneggerà i rapporti con gli alleati di sempre, nonostante le pressioni degli Stati Uniti; “La nostra politica estera non è diretta a placare o a subire pressioni di alcun tipo da qualsiasi Paese e non è reazionaria”. E Swaraj sottolineava anche che New Delhi da importanza ai Paesi dell’America Latina, come il Venezuela, “La Reserve Bank of India non consente il trading in criptovaluta, quindi non commerciamo in criptovaluta. Ma individuiamo un meccanismo con cui continuare il commercio col Venezuela sul petrolio”. Il Venezuela offre sconti sulle vendite di petrolio in “petro”, la criptovaluta sostenuta dal petrolio che mira a contrastare le sanzioni degli Stati Uniti.

 

Fonti:

Bloomberg

Burjat

DW

Haaretz

Rferl

RT

Sky

Spectator

Sputnik

Swissinfo

The Duran

The Iran Project

The Local

The National

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