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30 novembre 2018

 

Poche storie, la verità sul caso Regeni non la sapremo mai (ed è tutta colpa nostra)

di Alberto Negri

 

Il presidente della Camera, Fico, sospende le relazioni con l’Egitto. Ma la verità è che l’Italia non ha gli strumenti, la potenza, e forse nemmeno la volontà di mettere sotto pressione Al Sisi

 

Il caso di Giulio Regeni, come in parte quello dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, è irresolubile. A meno che non si accettino verità di comodo che non mettano in discussione il potere assoluto dei dittatori alleati dell’Occidente. Nel caso di Khashoggi è quello della casa regnante saudita, in quello di Regeni l’autorità dittatoriale del generale Al Sisi, che per altro abbiamo ricevuto con tutti gli onori alla conferenza libica di Palermo perché, insieme ai buoni uffici dei russi, ci ha portato come omaggio la visita del generale Khalifa Haftar nemico del governo Sarraj di Tripoli sostenuto da Italia, Turchia e Qatar.

 

Al Cairo sono andati in visita Salvini, Moavero, Di Maio e cosa hanno portato a casa? Un bel nulla. Anzi, l’impressione è che i loro viaggi abbiano seppellito il caso Regeni come del resto intendeva fare il governo precedente quando ha rimandato al Cairo l’ambasciatore: è servito agli affari bilaterali e ma non a sapere la verità. Ora il presidente della Camera Roberto Fico sospende le relazioni con il Parlamento egiziano: si tratta ovviamente di un atto puramente simbolico, come lo sono le indagini della procura sugli agenti egiziani che resteranno al loro posto e mai il generale Al Sisi ce li consegnerà.

 

Tutto questo girare a vuoto si chiama realpolitik e l’Italia, media potenza con scarsa rilevanza sulla scena internazionale, non ha i mezzi o non vuole usarli per mettere sotto pressione il regime egiziano. A meno che non vogliamo fare una guerriglia economica e diplomatica all’Egitto in tutte le sedi possibili. Ma siamo noi per primi a crederci poco. Ci sono considerazioni politiche ed economiche ormai abbastanza chiare: in Egitto c’è il mega-giacimento di gas di Zhor dell’Eni e molte altre attività italiane, inoltre il Cairo è una potenza chiave in Libia come sostenitrice di Haftar insieme a Russia e Francia.

 

L’Egitto ha potenti alleati. Gli Usa appoggiano il regime del generale che ha fatto fuori i Fratelli Musulmani con il sostegno non indifferente dei miliardi dell’Arabia Saudita. La Russia punta a basi militari in territorio egiziano, la Francia è uno dei maggiori fornitori di armamenti del Cairo e dopo l’uscita della Gran Bretagna è rimasta l’unico Paese Ue membro del consiglio di sicurezza Onu e potenza nucleare. Sono i francesi gli interlocutori europei degli americani, certo non gli italiani. 

Si potrebbe obiettare che l’Italia è un Paese membro della Nato e dell’Unione quindi come un peso specifico maggiore dell’Egitto. In realtà non è così perché gli Usa non hanno nessuna intenzione di appoggiare le nostre richieste di giustizia e i partner di Bruxelles hanno lo stesso atteggiamento. Figuriamoci la Gran Bretagna, dove studiava Regeni, che è alle prese con la Brexit.

 

Perché siamo arrivati a contare così poco, come dimostrano il caso Regeni ma anche la Libia? Inutile prendersela con questo Governo, quello di Gentiloni o di Renzi: tutti rappresentano bene un Paese ridicolo che dal 2011 a oggi con la caduta di Gheddafi non si è reso conto non solo di avere perso una guerra -la maggiore sconfitta dalla fine del secondo conflitto mondiale- ma di avere contribuito con i raid aerei alla stessa caduta del regime libico perdendo ogni credibilità sulla Sponda Sud.

Non soltanto la Francia ha bombardato il maggiore alleato dell'Italia nel Mediterraneo, passando sopra il nostro spazio aereo senza farci neppure una telefonata, ma abbiamo anche concesso le nostre basi a Parigi, Londra e Washington. Non contenti ci siamo pure accodati un mese dopo ai raid della Nato per far fuori il Colonnello che soltanto sei mesi prima ricevevamo a Roma in pompa magna firmando contratti miliardari. Allora c’era il pericolante governo Berlusconi e fu il presidente della repubblica Napolitano come capo delle forze armate a decidere la nostra partecipazione ai raid dell’Alleanza Atlantica. Detto e scritto mille volte.

 

La vicenda del Global Migration Compact, senza volere entrare nel merito, è emblematica: prima con il premier Conte e il ministro degli Esteri Moavero diciamo che aderiamo poi smentiamo noi stessi. Nessuno però che si dimetta con un gesto di dignità: in Gran Bretagna chi non era d’accordo con la May se ne è andato. Qui restano attaccati allo scranno senza vergogna: sempre. Ma chi volete che creda a questo Paese?

Certo c’è una considerazione generale da fare e che va oltre il caso italiano. Al G-20 di Buenos Aires ci sarà il principe saudita Mohammed bin Salman, alleato ombra di Israele sostenitore di Al Sisi, mandante di un assassinio e responsabile con gli Usa di migliaia di morti in Yemen. Dopo un certo imbarazzo (tranne che di Putin) MBS verrà riaccolto da una comunità internazionale che non ha intenzione di perdere né una goccia di petrolio né una commessa militare di Riad.

È la solita realpolitik, ma anche un messaggio sbagliato che di solito porta i dittatori come i Saud e Al Sisi a pensare di poter fare quello che vogliono.

 

Cosa può fare dunque l’Italia sul caso Regeni? Potremmo chiudere le basi della Nato, sperando che gli americani ci diano retta e mettano al Sisi con le spalle al muro. Oppure chiedere a Israele, così amico di Salvini, ed essenziale alla stabilità anche dell’Egitto, di fare gli interessi dell’Italia al posto nostro. Ovviamente sono scenari assai ipotetici, più che altro delle battute di spirito, soprattutto da parte di un Paese che dalla fine della seconda guerra mondiale è a sovranità assai limitata e non vuole rischiare mai nulla. Chi come Mattei, Moro, Andreotti o Craxi si è opposto a questo stato delle cose ci ha rimesso le penne, in un modo o nell’altro. Ai politici italiani conviene sollevare polvere negli occhi degli ingenui ma di fatto restare muti e allineati se si tratta di agire.

 

 

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