http://contropiano.org/ 13 luglio 2018
Majdan, ovvero la cosiddetta “rivoluzione della libertà” di Elia Spina
Gli eventi del Majdan ucraino continuano a suscitare accese polemiche ad anni di distanza dai fatti. Infatti, non solo i fatti del Majdan vengono accesamente dibattuti, ma si continua a discutere delle loro conseguenze oggi, a livello ucraino e internazionale. Sembra che l’interpretazione degli eventi sia schiava di opposte interpretazioni ideologiche, con la realtà abbandonata e che chiede disperatamente di essere presa in considerazione.
Certamente non è compito facile cercare di porre rimedio a questo stato di cose, ma è un compito importantissimo e inevitabile, se non si vuole lasciare il campo libero a polemiche inconcludenti. Per cercare di dare un contributo a una conoscenza più obbiettiva dei fatti del Majdan e delle loro conseguenze oggi, ci avvarremo degli scritti del sociologo ucraino Volodymyr Ishchenko.
Ishchenko insegna presso il Dipartimento di Sociologia dell’Istituto Politecnico di Kiev e fa parte del Centro di Ricerca Sociale e del Lavoro. Occupandosi di proteste sociali, è particolarmente competente per esprimere un parere su fatti tanto intricati. Infatti, lui e il suo team di sociologi hanno studiato per anni il Majdan e le sue conseguenze, utilizzando metodi sociologici sia quantitativi che qualitativi, impiegando una mole impressionante di fonti e non limitandosi allo studio dei fatti di Kiev, ma analizzando anche la situazione della provincia ucraina.
Leggendo le analisi di Ishchenko, il lettore si può fare subito un’idea del Majdan diversa da quella propagandata, spesso semplicisticamente, dai grandi media. Secondo questa vulgata, il Majdan sarebbe stato una rivolta di popolo (anzi, una e vera e propria rivoluzione) esplosa a causa dell’intollerabile regime del filo-russo Yanukovych. Yanukovych, un vero e proprio caudillo, non era che un vassallo della Russia di Putin, e suo compito precipuo era quello di tenere l’Ucraina stretta tra le grinfie dell’orso russo, ostacolandone quindi il legittimo desiderio di essere un paese europeo (destino del resto storicamente predeterminato per l’Ucraina). La cosa più incredibile è come una narrazione tanto edificante quanto semplicistica quasi non abbia trovato ostacoli nei salotti televisivi e nelle testate giornalistiche, diventando si può dire senso comune.
Guardando alla complessità dei fatti, la situazione appare ben diversa. Ishchenko infatti sottolinea come gli eventi del Majdan siano stati scatenati dall’indecisione di Yanukovych nel firmare un trattato di libero scambio fra l’UE e l’Ucraina. Come nota Ishchenko, “si potrebbe tranquillamente affermare che molti manifestanti non avevano un giudizio realistico su una zona di libero scambio e sulle sue conseguenze per l’economia ucraina”.
Ishchenko cita inoltre l’opinione dell’autorevole economista ucraino Oleksandr Kravchuk, secondo il quale “l’Ucraina non è pronta per la piena liberalizzazione del mercato interno per le merci UE perché la maggior parte delle industrie ucraine non sono competitive rispetto a quelle europee. Questo [la zona di libero scambio] minaccia di ridurre la produzione e l’esportazione di merci ucraine, con una corrispondente chiusura di imprese, specialmente nel lungo periodo”. Ishchenko non esita a parlare di un vero e proprio “shock economico” che avrebbe colpito il paese nel caso dell’introduzione di una simile zona di libero scambio.
Quindi, Ishchenko conclude, “le proteste del Majdan sono state alimentate non solo da illusioni europee e da speranze per un miglioramento dello stato, dell’economia e della società ucraine, ma anche dal nazionalismo anti-russo”, dato che una parte dell’economia ucraina a rischio era quella legata al mercato russo e post-sovietico. D’altra parte, gli apparati di potere russi hanno fatto tutto il possibile per cercare di impedire un simile accordo, dato che anche la Russia ne sarebbe stata danneggiata di conseguenza. 1 Eppure, lo scenario appena descritto non dovrebbe apparire nuovo a un giornalista o a un commentatore con esperienza. Nel 1994 la dichiarazione della NAFTA, la zona di libero scambio fra USA, Canada e Messico, causò forti proteste in Messico, naturalmente l’anello più debole della catena, fino a scatenare addirittura una vera e propria rivolta indigena. A distanza di anni, ormai sono molte le fonti autorevoli che sottolineano l’impatto negativo causato dalla NAFTA sul paese latinoamericano.2 Pur con tutte le differenze, il caso messicano e quello ucraino puntano a una conclusione: le zone di libero scambio non sono opportune se uno dei partner economici è molto più debole degli altri, perché quello debole non può che risentirne.
Note 1 Volodymyr Ishchenko, The Ukrainian Left During and After the Maidan Protests,6, 2 V. Esteban Colla-De-Robertis, Alfredo Del Rio Provencio, and Amaranta Riva Palacio Ayala, “NAFTA’s Impact on Mexico,”https://www.researchgate.net/profile/Esteban_Colla/publication/321836433_N- AFTA%27s_economic_impact_on_Mexico/links/5a394f72aca272eb16746482/NA- FTAs-economic-impact-on-Mexico.pdf, consultato il 02/06/18. John Audley, D. Papademitriou, Sandra Polaski, and S. Vaugham, “NAFTA’s Promise and Reality: Lessons from Mexico for the Hemisphere” (2003),
http://contropiano.org/ 18 settembre 2018
Il nazionalismo ucraino e la “rivoluzione” che si morde la coda di Elia Spina
Per quanto riguarda il nazionalismo ucraino, le “illusioni” di cui parla Ishchenko meritano di essere criticate. A partire dall’indipendenza dell’Ucraina infatti, la narrazione nazionalistica ucraina ha insistito sulle differenze storiche e culturali inconciliabili fra l’Ucraina e la Russia.
Portata agli estremi, questa narrazione sostiene che il fatto che la Russia e l’Ucraina siano state assieme per così tanto tempo nell’Impero Russo come nell’Unione Sovietica (così come il fatto che l’ucraino e il russo siano lingue molto simili e di origine comune, e che moltissimi ucraini siano bilingui – talvolta con il russo come prima lingua) non rappresenta che un mero (e spiacevole) incidente storico. Non resta che porre rimedio a questo spiacevole incidente, riconsegnando l’Ucraina alla sua legittima madre, l’Europa. È importante sottolineare come questa narrazione sia molto semplicistica, anche se viene talvolta sostenuta da storici rinomati con intenti dichiaratamente presentisti.1
Ma a parte le semplificazioni storiche, la narrazione del Majdan ha sofferto anche di gravi semplificazioni sul presente. Molti majdanisti hanno infatti fondamentalmente esagerato l’interesse e l’amore che l’Europa dovrebbe presumibilmente avere per l’Ucraina, non tenendo conto che la politica internazionale è dominata dagli interessi e dall’economia, e non dai sentimenti.
L’Europa avrebbe certamente tratto vantaggi economici dalla zona di libero scambio. Ma, a parte le critiche già mosse a questa soluzione, l’immaginario del Majdan è stato popolato anche da altri miti non meno irrealistici. Durante le proteste si esagerò moltissimo l’importanza della mancata firma dell’accordo, sino a sostenere che da ciò sarebbe dipeso il mancato ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea (ingresso che dubito sia preso seriamente in considerazione, e non si vede quando lo sarà).
Molti dei manifestanti sono anche stati spinti dal fatto di avere dei parenti emigrati in Europa, e dal desiderio di poter fare altrettanto per migliorare le proprie condizioni di vita. Se da un lato queste aspirazioni sono più che comprensibili, non possono essere prese senza considerare l’altro lato della medaglia.
Quest’altro lato consiste nelle grandi difficoltà di inserimento dei cosiddetti “extra-comunitari” nella generosa Europa, dove sono spesso soggetti a un bestiale sfruttamento lavorativo (quando non allo sfruttamento sessuale), e in più al crescente razzismo degli europei con tutto il suo codazzo di argomenti (sono ignoranti, sporchi, rubano il lavoro, sono delinquenti, accattoni e stupratori).2 Chi scrive è stato immigrato in più paesi, e in tutti, compresa l’Italia, ha subito razzismo (razzismo di stato in primis), e sa per esperienza diretta che “l’America” non esiste.
Insomma, si è trattato di aspirazioni più che lecite, ma che hanno mancato decisamente di realismo. Queste semplificazioni e questa mancanza di realismo hanno spesso caratterizzato il dibattito sulle differenze fra l’Europa e ciò che le stava al suo oriente dal tempo del dibattito tra slavofili e occidentalisti sulla natura della Moscovia.3 Per semplificare la tragica storia del Majdan, si potrebbe dire che presupposti sbagliati non hanno fatto altro che produrre conseguenze sbagliate. Chiamare ciò che è avvenuto una “rivoluzione” non può che sembrare grottesco se si attribuisce al termine un significato positivo. Il Majdan infatti non solo non ha prodotto alcun miglioramento politico od economico nel paese, ma l’ha sprofondato in un disastro peggiore da quello dal quale si tentava di uscire.
Situazione economica simile a quella dell’Africa Sub-Sahariana,4 i morti delle proteste ai quali vanno sommati i migliaia causati dalla successiva guerra fratricida, il paese spaccato in due, tensioni politiche ed etniche più violente che mai. E a ciò va sommato che un regime corrotto, inefficiente e anti-democratico è stato semplicemente sostituito da un altro, solo con interessi economici diversi. È un’amara ironia che una rivolta che aveva come parola d’ordine la critica agli oligarchi abbia prodotto un regime guidato da un oligarca.
Insomma, il Majdan può essere definito una rivoluzione solo nel senso che Richard Pipes e Theda Skocpol danno al termine, cioè uno sconvolgimento violento che porta però al punto di partenza, oppure che crea entità statali ancora più violente e burocratiche di quelle soppresse.5
Note 1 Serhii Plokhy, The Gates of Europe: A History of Ukraine (New York: Basic Books, 2015). 2 L’ultima campagna elettorale italiana e le ultime elezioni non sono state che l’ultima triste conferma di un trend di xenofobia europea sempre più preoccupante. È fresca la notizia dell’uccisione del bracciante Sacko Soumali, poco dopo che il nuovo Ministro di Polizia Salvini aveva detto che la “pacchia” per gli immigrati era finita. Per due ottime analisi, v.: Emilio Quadrelli, “L’ora più buia. Il ‘laboratorio Italia’ e l’europeizzazione delle masse,” 26 marzo 2018, https://www.infoaut.org/notes/l-ora-piu-buia-il-laboratorio-italia-e-l-europeizzazione-delle-masse, consultato il 04/06/2018; Michele Terra, “Editoriale”, Unità di classe, n. 2, aprile-maggio 2018, 1-2. 3 Valerie A. Kivelson, “On Words, Sources, and Historical Method: Which Truth about Muscovy?,” Kritika: Explorations in Russian and Eurasian History 3 (2002): 487–499. 4 Ishchenko, The Ukrainian Left, 11. 5 Richard Pipes, A Concise History of the Russian Revolution (New York: Vintage Books, 1996). Theda Skocpol, States and Social Revolutions: A Comparative Analysis of France, Russia, and China (Cambridge: Cambridge University Press, 1979).
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