http://znetitaly.altervista.org/ 10 gennaio 2018
Eserciti ombra di Ramzy Baroud Traduzione di Maria Chiara Starace
C’è una Guerra reale – ma in gran parte tenuta nascosta, che si sta svolgendo in tutto il continente africano. Coinvolge gli Stati Uniti, una Russia rinvigorita e una Cina in ascesa. Il risultato della guerra è probabile che determini il futuro del continente e le sue prospettive globali. E’ facile dare la colpa al Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, al suo programma imprevedibile e alle sue dichiarazioni impulsive, ma la verità è che l’attuale espansione militare degli Stati Uniti in Africa è soltanto un altro passo nella direzione sbagliata. Fa parte di una strategia che è stata attuata dieci anni fa, durante l’amministrazione del Presidente George W. Bush, e attivamente proseguita dal Presidente Barack Obama. Nel 2007, con il pretesto della ‘guerra al terrore’, gli Stati Uniti hanno consolidato le loro varie operazioni militari in Africa per stabilirvi il Comando degli Stati Uniti in Africa (AFRICOM). Con un bilancio iniziale di mezzo miliardo di dollari, si ipotizza che AFRICOM sia stato avviato per impegnarsi con i paesi africani in termini di diplomazia e di aiuti. Nel corso degli ultimi dieci anni, però, AFRICOM è stato trasformato in comando centrale per incursioni e interventi militari. Quel ruolo violento è tuttavia peggiorato durante il primo anno del primo anno del mandato di Trump. In effetti, in Africa c’è una guerra nascosta degli Stati Uniti ed è combattuta in nome del ‘controterrorismo’. Secondo un’indagine speciale dell’agenzia di stampa internazionale VICE News, le truppe degli Stati Uniti stanno ora conducendo 3.000 esercitazioni e scontri militari all’anno in tutta l’Africa, una media di 10 al giorno. I media americani ordinari di rado parlano di questa guerra in corso, dando così ai militari ampio spazio di destabilizzare a loro piacere qualunque dei 54 paesi del continente. “Oggi la cifra di 3.500 segna un sorprendente 1900% di aumento fin da quando è stato reso attivo il Comando, meno di dieci anni fa, e indica una maggiore espansione delle attività militari degli Stati Uniti sul continente africano,” ha riferito ‘VICE News. In seguito alla morte di quattro soldati delle Forze Speciali degli Stati Uniti in Niger, il 4 ottobre, il Segretario di Stato americano alla Difesa, James Mattis, ha fatto una dichiarazione minacciosa al comitato del Senato: è probabile che queste cifre aumentino dato che gli Stati Uniti stanno espandendo le loro attività militari in Africa. Mattis, come gli altri funzionari della Difesa, giustifica le trasgressioni delle forze armate americane in quanto parte dei tentativi in corso di ‘controterrorismo’. Questo riferimento in codice è, però, servito come scusa per un intervento degli Stati Uniti e lo sfruttamento di una enorme regione con un grande potenziale economico. La vecchia coloniale “Corsa per l’Africa’ sta venendo reinventata dalle potenze globali che comprendono pienamente la portata dell’abbondanza economica non sfruttata del continente. Mentre la Cina, l’India e la Russia stanno sviluppando un approccio individuale per cercare di conquistare l’Africa, gli Stati Uniti hanno investito per lo più nell’opzione militare che promette di infliggere danni indicibili e di destabilizzare molte nazioni. Il colpo di stato del 2012 in Mali, portato a termine da un capitano dell’esercito addestrato dagli Stati Uniti, Amadou Haya Sanogo, è soltanto un esempio. In un discorso del 2013, l’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, aveva avvertito del “nuovo colonialismo in Africa in cui è facile entrare, estrarne le risorse naturali, corrompere i capi e andarsene.” Mentre la Clinton ha ragione, naturalmente, si riferiva in modo non sincero alla Cina, e non al suo paese. La crescente influenza della Cina in Africa è ovvia, e i procedimenti di Pechino possono essere scorretti, tuttavia la politica della Cina verso l’Africa è di gran lunga più civile e finalizzata al commercio rispetto all’approccio degli Stati Uniti incentrato sui militari. La crescita delle cifre del commercio tra Cina e Africa, come si sa da un rapporto informativi dell’ONU del 2013, stanno crescendo davvero a un “ritmo mozzafiato”, dato che sono saltate da circa 10,5 miliardi all’anno nel 2000 a 166 miliardi nel 2011. Da allora, è continuata allo stesso ritmo impressionante. A quella crescita si sono, però, associate molte iniziative che comportano molti miliardi di dollari di credito cinese ai paesi africani per sviluppare infrastrutture assolutamente necessarie. Altro denaro è andato al ‘Programma Talenti Africani’, che è designato a preparare 30.000 professionisti africani in vari settori. Non dovrebbe quindi essere una sorpresa che la Cina abbia sorpassato gli Stati Uniti come maggior partner commerciale nel 2009. Il vero colonialismo a cui si è riferita la Clinton nel suo discorso, è, comunque, in corso nella percezione e nel comportamento verso l’Africa. Questa non è un’iperbole, ma infatti un’affermazione che riecheggia le parole dello stesso presidente degli Stati Uniti Trump stesso. Durante un pranzo con nove leader africani in settembre all’ONU, Trump ha parlato mostrando il tipo di mentalità che ha ispirato per secoli l’approccio all’Africa dei leader coloniali occidentali. Subito dopo avere inventato l’inesistente paese di ‘Nambia’, Trump si è vantato dei suoi “molti amici” che vanno nei vostri paesi africani cercando di diventare ricchi.” Mi congratulo con voi, ha detto, “stanno spendendo un sacco di soldi.” Il mese successivo Trump ha aggiunto il Chad, il devoto partner del suo paese per il ‘controterrorismo’, alla lista dei paesi ai cui cittadini si vieta di entrare negli Stati Uniti. Ricordandosi che l’Africa ha 22 paesi a maggioranza musulmana, il governo degli Stati Uniti si sta spogliando da qualunque visione diplomatica a lungo termine in Africa e sta, invece sempre di più spingendo nella strada militare. La spinta delle forze armate americane non sembra far parte neanche di un approccio Politico completo. E’ tanto allarmante quanto è imprevedibile e riflette la costante eccessiva dipendenza degli Stati Uniti dalle soluzioni militari a tutti i tipi di problemi, comprese le rivalità commerciali e politiche. Paragonate questo con l’appoggio strategico della Russia all’Africa. Riavviando un vecchio cameratismo con il continente, la Russia sta seguendo la strategia della Cina di impegno (o, in questo caso, di nuovo impegno) per mezzo di sviluppo e di termini di scambio favorevoli. Al contrario della Cina, però, la Russia ha una vasta agenda che comprende esportazione di armi che stanno sostituendo gli armamenti americani in varie parti del continente. Anche per Mosca l’Africa ha un potenziale non sfruttato ed enorme come partner politico che può rafforzare la posizione della Russia all’ONU. Consapevoli della evidente competizione globale, alcuni leader africani stanno operando per trovare nuovi alleati al di fuori dl tradizionale ambiente occidentale che ha controllato gran parte dell’Africa fino dalla fine del colonialismo tradizionale di decenni fa. Un esempio notevole è stata la visita di fine novembre del presidente del Sudan Omar al-Bashir in Russia e il suo incontro al alto livello con il Presidente Vladimir Putin. “Abbiamo sognato questa visita da molto tempo,” al-Bashar ha detto a Putin, e “abbiamo bisogno di protezione dalle azioni aggressive degli Stati Uniti.” L’ambita ‘protezione’ comprende il promesso coinvolgimento della Russia nella modernizzazione dell’esercito sudanese. Stanchi dell’estendersi della Russia in Africa, gli Stati Uniti stanno con uno stratagemma militare e poca diplomazia. La mini guerra americana in corso sul continente li spingerà sempre più nell’abisso della violenza e della corruzione che potrebbe andare bene a Washington, ma che causerà infelicità indicibile a milioni di persone. Non c’è dubbio che l’Africa non è più un “feudo” occidentale esclusivo che si può sfruttare quando si vuole. Ci vorranno però molti anni prima che l’Africa e le sue 54 nazioni siano veramente libere dalla ostinata mentalità neocoloniale, che è radicata nel razzismo, nello sfruttamento economico e negli interventi militari. Ramzy Baroud è un giornalista, scrittore e direttore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è: ‘The Last Earth: A Palestinian Story’ (Pluto Press, London). Baroud ha un dottorato in Studi Palestinesi dell’Università di Exeter ed è Studioso Non Residente presso il Centro Orfalea per gli Studi Globali e Internazionali all’Università della California, sede di Santa Barbara. Visitate il suo sito web: www.ramzybaroud.net. Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/shadow-armies Originale: non indicato
|