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02.01.2017

 

La strage di capodanno a Istanbul è un attentato al processo di pace in Siria

di Alessandro Sansoni

 

Proprio mentre il tragico rompicapo siriano sembra essere avviato verso una possibile soluzione, grazie al cessate il fuoco proclamato dal governo di Assad e da sette formazioni ribelli, favorito dalla mediazione promossa da Russia, Iran e Turchia, in vista dei colloqui di pace previsti per gennaio ad Astana in Kazakistan, lo scenario mediorientale si tinge ulteriormente di rosso, con la strage avvenuta durante la notte di capodanno in un famoso locale di Istanbul.

Oggi è anche arrivata la rivendicazione ufficiale dell'ISIS, che senza giri di parole ha collegato l'attacco all'impegno di Ankara nel teatro siriano, affermando che si tratta di una "vendetta" ai danni di Ankara causata dall'impegno militare posto in essere contro lo Stato Islamico. Con questa rivendicazione è stato definitivamente sgombrato il campo, se pure ce ne fosse bisogno, da qualunque ipotesi che potesse collegare la strage alla questione curda, anch'essa di estrema attualità, dopo i recenti arresti di esponenti politici dei partiti filo-curdi in Turchia e l'esclusione delle forze peshmerga dai negoziati siriani.

E' d'altra parte molto chiara la strategia: chi trama contro il ristabilimento dell'ordine e la pacificazione della Siria, vede nella Turchia l'anello debole dell'inedita alleanza a tre, ufficializzata nelle scorse settimane.

Dopo aver scherzato col fuoco per molti anni ed aver flirtato, quando non ampiamente supportato, tanto l'ISIS quanto le varie forze jihadiste anti-Assad, oggi Erdogan, con una spettacolare inversione a 180°, ha reindirizzato la politica estera del proprio paese, in seguito all'estromissione degli apparati gulenisti ed al colpo di stato che ha provato a scalzarlo dal potere l'estate scorsa.

Il riavvicinamento russo-turco promosso da Putin con lo storico summit di San Pietroburgo con il presidente turco è stato un lungimirante e magistrale colpo da maestro, che l'astuto Erdogan, ormai isolato in Occidente, ha saputo prontamente cogliere, ma era impossibile che esso non determinasse gravi reazioni e ripercussioni.

Troppo si era spinta avanti la dirigenza di Ankara in questi anni nei suoi rapporti con i gruppi più radicali ed agguerriti del fondamentalismo islamico per non subire duri contraccolpi da chi, oggi, dal suo punto di vista, si sente tradito dall'ex-alleato. C'è inoltre una rete islamista che in questi anni si è saldamente radicata in territorio turco e può adesso vantare relazioni e basi di appoggio logistico molto salde, che ci spingono a ritenere che, dopo l'assassinio dell'ambasciatore russo e il macello del "Reina", altre operazioni altrettanto efferate possano essere messe in campo nelle prossime settimane.

Inoltre, il progressivo raffreddamento dei rapporti Turchia-NATO, che in alcuni analisti ha fatto sorgere l'ipotesi di un'uscita di Ankara dall'Alleanza Atlantica, in vista di un accordo politico-militare ad ampio spettro con Mosca, è un fattore che inevitabilmente produrrà ulteriori, gravi tensioni. E' infatti impensabile che i vertici militari di Washington si rassegnino a perdere il proprio principale alleato del fianco sud della NATO, dotato peraltro dell'esercito più numeroso della compagine, al netto di quello americano, senza colpo ferire.

Da questo punto di vista, l'unica speranza per Erdogan di non finire stritolato in un cul-de-sac è sperare in un radicale cambio di strategia nei rapporti con la Russia del neo-eletto presidente Trump, che potrebbe portare ad una radicale metamorfosi dell'atteggiamento statunitense nei confronti del dossier mediorientale. Ammesso, ovviamente, che The Donald mantenga le sue promesse elettorali e riesca ad imporre alle varie agenzie militari e federali la propria agenda.

Tutto questo senza considerare gli innumerevoli nemici che Erdogan ha accumulato in questi anni, dagli ambienti kemalisti, che ancora godono di un'ampia presa sullo "Stato profondo" turco, allo stesso Guelen e alle fazioni curde, dotati ancora di una forza tutt'altro che trascurabile.

Erdogan, dunque, va sostenuto con ogni mezzo, per quanto la sua affidabilità sia tutt'altro che scontata. La sua posizione va puntellata e questo è un compito che spetterà soprattutto a Putin, l'unico in gradi tanto di difenderlo, quanto di costringerlo a rispettare gli impegni.

Per quanto possa sembrare incredibile, mantenere Erdogan saldo in sella al potere è oggi l'unica speranza per chi ritenga che ridare un ordine nel Mediterraneo ed una pace alla Siria sia una irrinunciabile priorità anche per le nazioni europee angosciate tanto dalla recrudescenza terroristica, quanto dall'ingestibile ondata migratoria.

 

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