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17 aprile 2017
Erdogan vince il referendum: nasce la “Repubblica Ottomana”
di Enrico Oliari
Il presidente turco Recep Tayyp Erdogan ha vinto con un risicato 51,41% il referendum in senso presidenzialista che si è tenuto ieri in Turchia, vittoria che di fatto lo pone a capo unico e incontestabile del paese concentrando su di sé i principali poteri fino al 2029.
Dopo Mehmet VI, ultimo sultano (1922), Erdogan si mette così a capo di una “repubblica ottomana”, dove è lui a nominare i rettori delle università, a firmare le leggi del parlamento dove tra l’altro il suo partito, l’Akp di cui è capo, ha la maggioranza; è poi il capo delle forze armate, nomina i consigli di amministrazione delle aziende di stato, compreso il fondo sovrano che controlla, ad esempio, la Turkish airlines o la Tpic (petrolio) e via così passando per la sospensione o la limitazione di diritti civili e libertà fondamentali in caso di stato di emergenza (in Turchia è quasi la normalità).
Il colpo da maestro Erdogan lo ha fatto con la magistratura, dove il presidente nominerà quattro dei tredici membri del Consiglio superiore dei giudici e dei pubblici ministeri, ma anche il ministro della Giustizia e il suo segretario di Stato, che a loro volta comandano l’organo che nomina giudici e pubblici ministeri.
Il primo ministro sparirà, in quanto sarà scelto direttamente dal presidente e si chiamerà segretario di Stato, mentre il parlamento potrà essere sciolto in ogni momento dal capo dello Stato, cioè sempre lui, Erdogan. Il quale potrà ora ricandidarsi ed essere a capo del paese fino al 2029, che potrebbe diventare il 2034 se il parlamento dovesse essere sciolto prima della fine della legislatura.
Dopo aver messo in gattabuia a seguito del (molto) presunto tentativo di golpe del 15 luglio 2016 i “gulenisti”, cioè decine di migliaia di insegnanti, magistrati, militari, giornalisti, imprigionato i leader dell’unico partito filocurdo presente in parlamento (Hdp) e fatto piazza pulita dei giornali scomodi, con la vittoria al referendum Erdogan si appresta a diventare padrone incontrastato di un paese geopoliticamente strategico, membro della Nato ma ammiccante con la Russia di Vladimir Putin, desideroso di entrare nell’Ue dove è malvisto e elemento in gioco per il predominio in Medio Oriente, con Qatar e Arabia Saudita contro l’Iran.
Sono almeno 2 milioni le schede contestate dalle opposizioni, che parlano di brogli, ma dopo solo poche ore (e quindi a mi sospetto tempo di record) la Commissione elettorale ha già stabilito che sono tutte valide; per il Chp, il partito repubblicano erede del fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kema Ataturk, in ben il 60% dei seggi vi erano schede senza timbro ufficiale.
Il capo della Commissione europea Jean-Claude Juncker, e la Pesc Federica Mogherini e il commissario l’Allargamento, Johannes Hahn, hanno comunicato che “Prendiamo atto dei risultati del referendum in Turchia sulle modifiche alla Costituzione, adottata dall’Assemblea nazionale turca il 21 gennaio 2017.Siamo in attesa della valutazione della missione internazionale degli osservatori dell’Osce/Odhir, anche per quanto riguarda presunte irregolarità”.
“Le modifiche costituzionali – hanno aggiunto i tre – e soprattutto la loro attuazione pratica, saranno valutate alla luce degli obblighi della Turchia come paese candidato all’Ue e in quanto membro del Consiglio d’Europa”, per cui “Incoraggiamo la Turchia a affrontare le preoccupazioni e le raccomandazioni del Consiglio d’Europa, tra cui quelle relative allo stato di emergenza. In considerazione del risultato del referendum e viste le implicazioni di vasta portata delle modifiche costituzionali, anche noi chiediamo alle autorità turche di ricercare il più ampio consenso possibile a livello nazionale nella loro attuazione”.
Perché a Bruxelles, nonostante tutto, c’è ancora chi vuole la Turchia in Europa.