Il Sole 24 Ore

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15/03/2017

 

L'Ue ha pensato che il referendum fosse una questione interna alla Turchia ma era un calcolo sbagliato.

di Alberto Negri

 

La trappola turca scatta due volte, nell’Unione europea e sul Bosforo. L’Occidente ha trovato un “nemico” più insidioso del solito, il “reis” Erdogan, legato all’Europa da accordi importanti, membro storico della Nato, alleato, assai riluttante, nella lotta all’Isis, scelto da Bruxelles come il nostro “muro” anti-migranti e leader di un Paese che intrattiene il 50% dei suoi scambi con il Vecchio Continente, cui deve il 70% dei prestiti e degli investimenti. 

 

Dalle cifre si intuisce che per la Turchia l’Europa è vitale anche in tempi di alta tensione con l’Olanda e la Germania, primo partner di Ankara. Senza contare che Ankara è diventata un hub del gas proprio perché esporta sui mercati continentali: una sorta di arma energetica a doppio taglio. 

 

Se Erdogan ha bisogno dell’Europa sul piano economico, l’Europa ha bisogno di lui sul fonte delle migrazioni e della sicurezza. Ognuno ha un potere di ricatto sull’altro.

 

Ma Erdogan è anche il presidente che è stato spinto ad allearsi con la Russia quando si è accorto, tardivamente, che la guerra in Siria per abbattere Assad era perduta. E ha dovuto scendere a patti pure con l’Iran sciita, il più abile degli Stati della regione a sfruttare gli errori di grandi e medie potenze. 

 

La sconfitta è stata un evento epocale: lo storico bastione dell’Alleanza Atlantica oggi confina con una Russia sempre più bellicosa e un’entità autonoma curdo-siriana, il vero incubo di Ankara che teme una saldatura con l’irredentismo dei curdi in Anatolia. Non solo, i turchi si sono trovati la strada sbarrata da russi e siriani ma anche dagli Usa, alleati dei curdi.

 

Come se non bastasse i turchi hanno dovuto ritirarsi da Mosul in Iraq. Per soddisfare le sue ambizioni neo-ottomane Erdogan ha compiuto un capolavoro di inettitudine strategica.

 

Gli europei hanno valutato che la portata di questa sconfitta fosse controllabile promettendo ad Ankara consistenti finanziamenti per tenersi due milioni di rifugiati. Ma la Turchia ha perso molto di più dei soldi: il suo leader deve fare il pendolo tra un Occidente che non lo vuole e un Oriente - la Russia e l’Iran - che lo tiene in pugno. 

 

Si dibatte quindi alla ricerca di rivincite che non può trovare sul fronte mediorientale e le cerca in Europa sollevando la bandiera del nazionalismo, l’argomento che più dell’Islam fa breccia nell’opinione pubblica, al punto che lo stesso leader del partito di opposizione Chp ha cancellato i viaggi all’estero scegliendo di non fare campagna contro il referendum costituzionale che assegna pieni poteri al presidente. 

 

Gli europei hanno pensato che il referendum e il voto degli immigrati fossero una questione interna alla Turchia ma era un calcolo sbagliato: è in gioco la sopravvivenza di Erdogan e il futuro geopolitico di Ankara. Il presidente ha puntato così sul ventre molle di un’Unione divisa e miope, caduta nella trappola delle sue provocazioni che in Olanda oggi entrano direttamente alle urne. Ma anche Erdogan rischia di rimanere impigliato: avrà bisogno dell’Europa e degli Usa per controbilanciare sia Mosca che l’Iran. Altrimenti finirà stritolato dalla sua stessa tagliola: finora Erdogan non à stato davvero né leone né volpe.

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