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6 agosto 2017
La caduta dell'URSS. Fu Gorbaciov il colpevole?
Un lettore chiede a Giulietto Chiesa se la perestrojka abbia causato una catastrofe evitabile con un altro approccio più cauto. La risposta allarga la visuale sugli altri protagonisti
Caro Dott. Chiesa,
sono un suo ammiratore dai tempi in cui scriveva su l'Unità da Mosca, la seguo adesso su Pandora TV che sostengo anche con il mio personale contributo economico. Sono un professore universitario di Pisa.
Sono stato un appassionato sostenitore della perestrojka e di Mikhail Gorbaciov all'epoca ma, col passare degli anni, ho cominciato a pensare che l'operato di Gorbaciov abbia causato una catastrofe.
Mi sono reso conto che ha iniziato una serie di cambiamenti senza calcolarne le conseguenze. Le ha sperimentate su larga scala sull'intera Unione Sovietica causandone il collasso. Il leader cinese Deng Xiaoping sperimentò invece le sue riforme nelle zone economiche speciali e poi le estese all'intera Cina.
L'Unione Sovietica stava conoscendo un rallentamento del tasso di sviluppo e altri problemi nella vita economica e sociale, ma niente a che vedere con il crisi che si manifestò durante la perestrojka e il collasso dell'epoca di Eltsin.
Al di là della sua amicizia personale con Gorbaciov, non ritiene che l'azione politica di costui abbia causato una catastrofe evitabile con un altro approccio più cauto?
Andrea Lazzeri
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Caro prof. Lazzeri,
grazie per le belle parole. La sua domanda me la pongono in molti, da anni. Io sono stato testimone diretto di ciò che è accaduto e l’ho raccontato, nei miei libri. Prima di tutto con “Russia Addio” e con “Roulette Russa”. Ma ne ho scritti parecchi altri sullo stesso tema, da ultimo "Caos Globale". Devo riassumere, dunque.
Non c’è dubbio che l’avvio della perestrojka abbia causato la slavina finale del sistema sovietico. Ma io penso che il collasso sarebbe avvenuto comunque. Ne erano consapevoli in molti, nell’URSS di allora. Anche dentro il partito. Il vero iniziatore della perestrojka fu Jurij Andropov, cioè il KGB, che era la parte più “informata dei fatti”.
Gorbaciov arrivò quando ormai la situazione era intenibile. Fece degli errori gravi? Sicuramente. Si fidò dell’Occidente, che non conosceva abbastanza? Sicuramente. Ma il fatto incontestabile (se si vuole essere onesti nei confronti della realtà) è che l’Impero del Bene di reaganiana memoria aveva già conquistato le menti della grande maggioranza dei russi. E di quasi tutta l’intelligencija sovietica.
L’alternativa concreta che si pose davanti a Gorbaciov fu semplice e tragica: continuare così, fino al collasso (con il rischio che i cretini di ambo le parti tentassero la soluzione di forza, e sarebbe stata la fine del genere umano) , oppure avviare i cambiamenti necessari. Ma gli uomini a disposizione (incluso lui stesso) erano quelli che erano.
Io ricordo che Gorbaciov fu prudente. Propendeva per una soluzione lenta e graduale. Aveva in mente qualche cosa di simile alla NEP leniniana. Ma gl’intellettuali spingevano e spingevano. Sognavano l’Occidente. E finalmente lo ebbero. Scelsero Boris Eltsin, che era un vero agente dell’Occidente (cosa che Gorbaciov non fu mai, sebbene lo si accusi oggi di questo, in Russia).
Tant’è vero che Gorbaciov si dimise, dichiarando la propria sconfitta e il proprio dissenso, quando Eltsin, Kravchuk e Shushkevic decretarono la fine dell’Unione Sovietica, l’8 dicembre 1991.
Il fatto principale fu che l’URSS non era più in grado di tenere testa al resto del mondo. La parità strategica raggiunta da Leonid Brezhnev non poteva essere mantenuta senza chiedere ulteriori sacrifici alla gente. È la produttività del lavoro diceva, con le sue crede cifre, che la gente non era più disposta a seguire gli ordini. Il controllo dell’informazione mondiale era nelle mani degli Stati Uniti, penetrava nelle menti della gente semplice, non poteva essere arrestato. Milioni e milioni non capirono cosa stava accadendo. Il Partito Comunista non aveva più il prestigio, né la forza di un tempo, neppure sui propri militanti. La corruzione, la doppia verità era divenuta un carattere distintivo della vita politica societica. Accusare Gorbaciov di tutto questo è ingiusto. Lui fu l’ultimo Primo Segretario del PCUS. Aveva su di sé tutte le responsabilità e, a quel punto, nessun potere, a non fu in grado di gestire la situazione. Non avrebbe potuto senza provocare un grande spargimento di sangue.
C’è chi dice che avrebbe invece dovuto. Io ne ho discusso con lui più di una volta. La sua tesi è che non sarebbe comunque servito. Era troppo tardi. E lui non volle andarsene con le mani sporche di sangue. Tutto qui, a mio avviso. Se fossi stato al suo posto, penso che, a quel punto, avrei fatto come lui. Ci ho riflettuto a lungo. Molte cose erano ormai irrimediabili e nessuno avrebbe potuto inventare soluzioni accettabili senza sangue. Gorbaciov pensava che, per esempio tenere dentro l’Unione Sovietica le tre repubbliche baltiche sarebbe stato impossibile. Certo i servizi segreti occidentali agivano con tutti i trucchi a loro disposizione, ma il consenso popolare era già perduto. La sconfitta del socialismo reale era scritta nel modo in cui avvenne la rivoluzione d’ottobre. Gramsci la definì una “rivoluzione contro il Capitale” (di Carlo Marx). Aveva, storicamente parlando, ragione. Inoltre l’intero movimento operaio e comunista non aveva previsto la eccezionale vitalità del capitalismo e la sua furibonda decisione di liquidare l’avversario morente.
Ma la storia della fine dell’URSS, e di Gorbaciov, deve ancora essere scritta. Quella che conosciamo è in gran parte falsata dai vincitori. Si vedrà che le colpe di Gorbaciov e del PCUS collettivamente inteso, e dell’intelligencija russa esistettero e furono gravi. Ma si vedrà anche che l’Occidente fu protagonista. Si capirà che la guerra fredda era stata una guerra vera, in cui l’America ebbe la meglio. E che l’URSS fu distrutta dalla violenza e dall’inganno degli Stati Uniti. Incolpare di tutto Gorbaciov significa oscurare del tutto il progetto di dominio mondiale che cominciò ad attuarsi in quegli anni e che oggi strangola tutti noi.
Cordiali saluti,
Giulietto Chiesa.