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18 lug 2017
Alta tensione per le nuove
misure di sicurezza israeliane
di Roberto Prinzi
La polizia ha disperso ieri sera decine di palestinesi che stavano compiendo la preghiera dell’Isha’a fuori il complesso di al-Aqsa. Fatah proclama per mercoledì una “giornata della Rabbia”. Il soldato-killer Azarya ottiene i domiciliari in attesa dell’appello. Palestinese ucciso nel primo pomeriggio nel distretto di Hebron. Fonti militari: “Stava compiendo un attacco con la macchina”
Roma, 18 luglio 2017, Nena News –
Resta molto tesa la situazione nella città vecchia di Gerusalemme. Ieri sera, infatti, le forze di polizia hanno disperso decine di fedeli musulmani che stavano compiendo la preghiera dell’Isha’a fuori il complesso di al-Aqsa in segno di protesta contro le nuove misure di sicurezza stabilite da Israele dopo l’attacco armato palestinese di venerdì.
Secondo alcuni testimoni, gli agenti, alcuni dei quali a cavallo, avrebbero assaltato i fedeli che tentavano di avvicinarsi alla porta dei Leoni, una delle entrate di al-Aqsa e luogo dell’attentato di quattro giorni fa in cui sono morti i due poliziotti israeliani. In una nota, la mezzaluna palestinese fa sapere di aver curato 50 persone: 16 colpite da proiettili di acciaio ricoperti da gomma, 9 per frammenti di granate stordenti e 25 per essere stati picchiati dalle forze israeliane. A denunciare la violenza di Tel Aviv non sono solo i residente di Gerusalemme est, ma anche il leader del partito palestinese al-Mubadara, Mustafa al-Barghouthi, che ha parlato a tal proposito di “aggressioni” compiute da Israele nei confronti dei fedeli musulmani. Barghouthi ha provato però a ostentare sicurezza dicendo che “la repressione israeliana non fermerà la volontà dei gerosolomitani”. Il capo di al-Mubadara ha poi invitato tutto il popolo palestinese a restare unito e ha chiesto alla comunità musulmana internazionale e agli stati arabi di boicottare Israele.
La portavoce della polizia israeliana, Luba al-Samri, ha invece spiegato che i fedeli ponevano “una minaccia alla loro salvezza e a quelli degli altri passanti” e che, pertanto, era necessario l’intervento degli agenti. Al-Samri ha anche detto che i palestinesi hanno lanciato contro le forze dell’ordine pietre e altri oggetti durante gli scontri.
I fatti di ieri sera sono emblematici di come da giorni sia altissima la tensione a Gerusalemme est dopo l’attacco di venerdì e le successive disposizioni del governo israeliano che ha prima chiuso l’intero complesso di al-Aqsa (terzo luogo sacro dell’Islam)e poi l’ha riaperto (domenica) dopo aver allestito alcuni metal detector e piazzato telecamere di sicurezza all’entrate di al-Aqsa. Le decisioni di Tel Aviv hanno fatto indignare il partito Fatah (quello del presidente palestinese Abbas) che ha ieri proclamato per mercoledì nei Territori occupati una “giornata della rabbia” per protestare contro i provvedimenti dello stato ebraico. Fatah ha poi comunicato che le preghiere collettive venerdì si terranno nelle piazze delle città palestinesi per denunciare le “procedure terroristiche” decise dall’esecutivo Netanyahu a Gerusalemme est.
La decisione del partito è giunta dopo un vertice tra il segretario del Consiglio rivoluzionario di Fatah ‘Adna Ghaith, il membro della commissione centrale di Fatah Jamal Muheisin e tutti i rappresentanti fatawi del nord della Cisgiordania. Secondo Muheisin è necessario sostenere i palestinesi gerosolomitani perché questi affrontano “un attacco feroce e organizzato” da parte delle forze di sicurezza israeliane perché chiedono a gran voce che venga ripristinato lo status quo ad al-Aqsa. A suo giudizio, infatti, l’obiettivo di Tel Aviv è quello di dividere la Spianata delle Moschee tra gli ebrei e i musulmani. Una paura condivisa anche dal rappresentante palestinese presso la Lega Araba, Jamal al-Shubaki. Per entrambi in pratica – e non sono voci isolate nel mondo palestinese – Israele vorrebbe arrivare ad una “soluzione” simile a quella della Moschea di Abramo (Tomba dei Patriarchi per gli ebrei) in seguito al massacro del 1994 compiuto dal fondamentalista ebraico Baruch Goldestein.
Da quando ha conquistato Gerusalemme est nel 1967, Israele ha un compromesso con l’ente islamico che controlla la Spianata che prevede ai fedeli non musulmani di non pregare nell’area. Tuttavia, nel corso degli anni, e soprattutto recentemente, sono state numerose le “visite” al compound di al-Aqsa (Monte del tempio per gli ebrei) di gruppi estremisti ebraici e dei parlamentari di estrema destra. Così come sono stati numerosi i proclami dell’estrema estrema israeliana favorevoli alla demolizione della moschea per la costruzione di un terzo tempio ebraico.
L’attacco di venerdì vicino alla Porta dei Leoni continua a suscitare polemiche anche di là dei confini nazionali. Se ieri, infatti, il portavoce del governo turco ha definito la chiusura di al-Aqsa un “crimine contro l’umanità, un crimine contro la libertà religiosa”, il presidente della Knesset (il parlamento israeliano) Yuli Edelstein ha attaccato duramente il suo pari giordano, Atef Tarawneh, per aver lodato gli aggressori palestinesi dell’attentato di Gerusalemme e per averli descritti come “martiri”. Secondo Edelstein, Tarawneh avrebbe fatto meglio a tacere perché la “prima cosa che avrebbe dovuto dire doveva essere: è assolutamente proibito usare la violenza e certamente non [si devono] dissacrare i luoghi sacri”.
Il premier Netanyahu, invece, continua a mantenere un profilo basso sulla vicenda. Dopo aver provato a calmare i toni più bollenti all’interno della sua coalizione assicurando i palestinesi che lo status quo sulla Spianata non verrà modificato, ieri il premier ha provato a cambiare argomento ringraziando da Washington i sostenitori evangelici d’Israele. “Voi state con noi – ha detto Bibi – perché voi state con voi stessi perché rappresentiamo una comune eredità di libertà che risale a migliaia di anni fa. L’America non ha migliore amico d’Israele e Israele non ha migliore amico dell’America. E Israele non ha migliore amico di voi”.
Netanyahu ha poi detto che israeliani e statunitensi sono “impegnati in una grande battaglia di civilizzazione. Una battaglia delle società libere contro le forze dell’Islam militante che vogliono conquistare il Medio Oriente, vogliono distruggere lo stato d’Israele e impossessarsi del mondo”. Un messaggio semplice che è stato accolto con (prevedibili) grandi applausi da parte dal mondo evangelico statunitense, noto per le sue posizioni islamofobe.
Ieri, intanto, una corte militare israeliana ha ordinato i domiciliari al soldato Elor Azarya in attesa del processo d’appello fissato per il 30 luglio. Il militare, a cui è stato concessa la possibilità di uscire di casa per compiere i riti dello Shabat, è stato condannato a 18 mesi di carcere per aver ucciso nel marzo del 2016 il 21enne palestinese Abd al-Fattah al-Sharif che, poco prima, insieme ad un altro palestinese, aveva ferito leggermente con un coltello un soldato israeliano a Tel Rumeida (Hebron). Il caso ha suscitato molta indignazione nei Territori occupati palestinesi perché al-Sharif era a terra gravemente ferito quando il militare ha deciso di spararlo mortalmente.
Azarya, eroe per molti israeliani, è l’unico membro delle forze armate dello stato ebraico ad essere stato accusato di aver ucciso un palestinese nel 2016. Eppure, denuncia Human Rights Watch, sono stati almeno 109 i palestinesi uccisi l’anno scorso dai militari e dai coloni israeliani. Un numero che lascia più di qualche sospetto sull’imparzialità della giustizia israeliana. Secondo uno studio della ong israeliana Yesh Din, delle 186 indagini aperte dall’esercito per sospetti reati contro i palestinesi nel 2015, solo quattro persone sono state iscritte nel registro degli indagati.
Poco fa, intanto, un palestinese è stato ucciso a Beit Einun (Hebron) dall’esercito israeliano. Secondo fonti militari, l’uomo, di cui non si conoscono ancora le generalità, stava compiendo un attacco con la sua macchina. Nena News |
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19 lug 2017
Fazioni palestinesi: “L’Offensiva su al-Aqsa farà esplodere la regione”
di Roberto Prinzi
Alta tensione in città: ieri sera si sono ripetuti gli scontri fuori la Spianata delle moschee. Fatah proclama per oggi una “Giornata della rabbia”. La Knesset passa in prima lettura una proposta di legge per combattere segretamente il Bds
AGGIORNAMENTO:
ore 12:30 Spianata delle moschee chiusa agli ebrei. Netanyahu dall’Ungheria sta avendo una riunione su Gerusalemme
Il comandante del distretto di Gerusalemme Yoram Halevy ha stabilito poco fa la chiusura agli ebrei della Spianata delle Moschee. La decisione è stata presa dopo che alcuni di loro, fa sapere la polizia, avevano violato “le regole di visita” al luogo sacro.
Gli estremisti ebrei (“visitatori” così li definisce la stampa israeliana) sono stati espulsi dall’Haram al-Sharif (Monte del Tempio per l’ebraismo) dopo che, libri sacri alla mano, avevano provato a pregare all’interno del compound.
Fonti all’interno dell’entourage del premier Netanyahu, intanto, fanno sapere che il primo ministro dall’Ungheria starebbe avendo una riunione su Gerusalemme con diversi ufficiali israeliani. Tra questi, scrive Haaretz, ci sarebbero i ministri della difesa e della Sicurezza pubblica, il capo dello Stato maggiore, il commissario di polizia e quello dello Shin Bet (sicurezza interna) e il coordinatore del governo per i Territori occupati.
Al momento, ha detto la fonte al quotidiano israeliano, non è stata presa alcuna decisione. Una nuova riunione dovrebbe avere luogo nel pomeriggio
Roma, 19 luglio 2017, Nena News –
Si sono ripetuti anche ieri sera gli scontri tra palestinesi e polizia israeliana fuori la Spianata delle moschee a Gerusalemme dove in serata si erano radunati almeno 3.000 fedeli musulmani (presenti anche alcuni parlamentari arabi della Knesset).
Secondo un primo bilancio fornito dalla mezzaluna rossa palestinese, 14 fedeli sono rimasti feriti nei tafferugli, uno questi sarebbe in gravi condizioni. Due, invece, gli agenti rimasti lievemente contusi. Secondo la versione fornita dalle forze dell’ordine israeliane, i palestinesi avrebbero lanciato bottiglie e pietre contro i poliziotti che a quel punto avrebbero risposto disperdendoli.
L’area in cui venerdì un commando di tre palestinesi cittadini d’Israele ha sparato e ucciso 2 agenti israeliani è ormai il fulcro delle tensioni in città. Ma non è affatto migliore la situazione in altre aree di Gerusalemme est: scontri, infatti, si sono registrati anche a Silwan e Isawiyah. Il bilancio, riferisce la croce rossa palestinese, è qui di 15 persone ferite in modo leggero.
Nel tentativo di calmare gli animi, il capo dell’Alto comitato arabo, Mohammed Barakeh, e il presidente della Commissione dei sindaci arabi, Mazen Ghanaim, hanno visitato ieri pomeriggio le famiglie dei due poliziotti israeliani uccisi venerdì. La visita ha suscitato più di qualche malumore e polemica all’interno della comunità drusa a cui appartenevano le due vittime. Gli esponenti politici palestinesi d’Israele, questa è l’accusa, non avrebbero infatti condannato le uccisioni e perciò sarebbero complici degli aggressori. Per fugare ogni dubbio, Barakeh ha ieri deplorato l’attentato e ha sottolineato come la lotta della comunità palestinese d’Israele sia una battaglia popolare, politica che non istiga alla violenza e che si oppone al confronto armato e a danneggiare i luoghi sacri.
Ma se Barakeh e Ghanaim provano a fare i pompieri, ben diversa è la posizione di altri leader palestinesi furiosi per le nuove misure di sicurezze stabilite da Israele venerdì sulla Spianata delle Moschee (terzo luogo sacro dell’Islam). I palestinesi temono che queste procedure (metal detector e telecamere di sorveglianza) rientrino in una più ampia politica di Tel Aviv volta a cambiare lo status quo sul sito sacro che è sotto il controllo giordano. Di fronte al timore di vedere sull’Haram al-Sharif riproposto il modello realizzato nel 1994 da Israele a Hebron con la moschea di Abramo divisa a metà con una parte diventata sinagoga riservata per i coloni, i palestinesi chiedono che le nuove istallazioni “vengano immediatamente rimosse” senza se e senza ma. Raggiunto dall’agenzia Ma’an, Shaykh Abd al-Athim Salahb, capo del Consiglio Unito del Waqf (l’ente islamico che controlla la Spianata) è chiaro a riguardo: “L’Occupazione [Israele, ndr] vuole cambiare la situazione storica nella moschea e implementare i suoi piani per dividerla. Ma ciò è inaccettabile perché al-Aqsa, i suoi cortili, le moschee e i vicoli sono tutti di proprietà islamica”. Sulla stessa lunghezza d’onda è Sheikh Ikrima Sabri, capo dell’Alto comitato islamico. Secondo quanto riferisce Sabri, i leader religiosi stanno organizzando regolarmente riunioni nel tentativo di “resistere” ai nuovi provvedimenti israeliani.
Se Fatah, il partito del presidente palestinese Abbas, ha proclamato per oggi una “Giornata della rabbia”, le fazioni militari e politiche di Gaza non restano con le mani in mano. “Avremo la nostra parola suprema e forte se i piani sionisti [israeliani, ndr] ad al-Aqsa continueranno” hanno annunciato ieri in conferenza stampa – Non permetteremo al nostro nemico di invadere al-Aqsa, i nostri luoghi sacri, la nostra gente di Gerusalemme”. Il loro messaggio è chiaro: “l’offensiva” sull’Haram al-Sharif rappresenta la “scintilla che farà esplodere la regione”.
Con Netanyahu all’estero (ieri in Ungheria ha incontrato il premier di estrema destra Orban non senza suscitare polemiche nel mondo ebraico) a rispondere ai palestinesi è stato oggi su Facebook il sindaco di Gerusalemme, Nir Barkat. “La decisione della polizia di istallare i magnometri è giusta e necessaria e preverrà altri attacchi terroristici nel sito - ha scritto il sindaco. “I leader musulmani e il mondo intero – ha aggiunto devono capire che il Monte del Tempio non può essere usato come luogo di rifugio, di pianificazione o di incontro per terroristi e assassini”. Barkat ha poi chiosato: “Consiglio ai manifestanti di rivolgere la loro rabbia ai terroristi che hanno reso necessario tutto ciò [i nuovi provvedimenti, ndr], non alla polizia”.
La coalizione governativa israeliana per ora mantiene un profilo basso: dopo le reazioni a caldo, soprattutto del “partito dei coloni” Casa ebraica, l’esecutivo con i suoi tanti falchi tace. Assenza di Netanyahu o consapevolezza che al momento è meglio abbassare i toni? Quel che è certo, però, è che la battaglia contro i “nemici” dello stato ebraico continua senza soste.
Ieri, infatti, è passata alla Knesset in prima lettura (25 voti favorevoli, 12 contrari e un astenuto) una proposta di legge che renderà la lotta contro il movimento per il Boicottaggio d’Israele (Bds) completamente segreta esentandola dalla Legge della Libertà d’informazione d’Israele che assicura ai cittadini israeliani di avere il “diritto ad ottenere informazioni dall’autorità pubblica”. Tra i promotori della proposta vi è il ministro degli Affari strategici Gilad Erdan (Likud, il partito di Netanyahu): “Le organizzazioni per il boicottaggio – ha spiegato il ministro – sono diffuse geograficamente e operano in aree differenti. Hanno costruito un network e agiscono insieme all’Autorità Palestinese. C’è una campagna di bugie che alimenta l’odio”. Di fronte a tale scenario, perciò, “uno dei principi per avere la meglio [sul Bds] è mantenere segreti i nostri metodi d’azione dato che la maggior parte delle iniziative del ministero non sono sue, ma avvengono grazie a organismi sparsi nel il mondo che non vogliono rivelare il legame che hanno con stato” ha aggiunto Erdan. La mossa del ministro non ha convinto pienamente l’opposizione che con Micky Rosenthal del centrista Campo sionista ha fatto sapere che per combattere gli attivisti “non è necessario colpire la Legge sulla Libertà d’Informazione”.
Funzionale o meno che sia, l’iniziativa ribadisce come il tema del boicottaggio continui ad essere una grossa preoccupazione per gran parte dello spettro politico israeliano(non solo del governo) e che pertanto va combattuto duramente: una legge passata soltanto lo scorso marzo impedisce agli stranieri che hanno apertamente sostenuto il Bds di entrare nel Paese. Ad ogni modo, almeno per oggi, Israele potrà tirare un sospiro di sollievo e accogliere con tutti gli onori i Radiohead che stasera si esibiranno a Tel Aviv, nonostante le pressioni del Bds e le richieste a boicottare lo stato ebraico del regista britannico Ken Loach, dell’ex Pink Floyd Roger Waters e del chitarrista dei Faithless Dave Randall.
“La musica deve creare ponti, non dividere” ha sostenuto in questi mesi Thom Yorke, il frontman del super gruppo inglese. Chi sa cosa ne penseranno i palestinesi del distretto di Betlemme che lunedì, denunciano, si sono visti sottratti da Israele 70 dunam di terra per “motivi militari”. Forse, chissà, tra rabbia e indignazione, in omaggio alla celebre band avranno commentato con un “No surprises”. Nena News |