Zeitun.info http://nena-news.it/ 04 feb 2017
Neve Gordon, “L’occupazione israeliana” ovvero Foucault in Palestina Recensione di Amedeo Rossi
Neve Gordon analizza l’evoluzione dell’occupazione israeliana in base alle tre modalità di esercizio del potere individuate da Foucault: disciplinare, biopotere e sovrano
Roma, 4 febbraio 2017, Nena News –
Neve Gordon, “L’occupazione israeliana”, Diabasi, Parma, 2016. Si tratta di un libro pubblicato originariamente in inglese nel 2008. Come ricorda l’autore nella prefazione all’edizione italiana, dati i numerosi cambiamenti della situazione nell’area compresa tra il Nord Africa e il Medio oriente, si potrebbe pensare ad un saggio pubblicato in italiano fuori tempo. Invece sia l’impostazione dell’analisi che la sostanziale continuità dell’espansione israeliana a danno dei palestinesi rendono questo libro estremamente attuale: “Ciò che trovo preoccupante ” scrive l’autore “è il fatto di poter ancora assumere, a dispetto dei drastici cambiamenti in Medio Oriente, la dichiarazioni pessimistiche esposte alla fine dell’edizione del 2008.” Gordon analizza l’evoluzione dell’occupazione israeliana in base alle tre modalità di esercizio del potere individuate da Foucault: disciplinare, biopotere e sovrano. Il primo riguarda il controllo ed il condizionamento delle pratiche sociali anche a livello della vita quotidiana degli individui, omologandoli e allo stesso tempo differenziandoli, in quanto assegna ad ognuno una funzione specifica. Il secondo opera in modo simile, ma cercando di condizionare il comportamento della popolazione soggetta nel suo complesso. Infine, il potere sovrano riguarda il potere affidato alle istituzioni giuridiche e repressive, che impongono norme e sospendono diritti in modo assolutamente arbitrario. Tutte queste modalità di dominazione sono state messe in atto da Israele fin dal ’67. Tuttavia secondo Gordon nel corso dei decenni si è assistito ad un progressivo spostamento dall’enfasi posta sulle prime due modalità alla prevalenza del potere sovrano, pur rimanendo costanti gli apparati giuridico – amministrativi e repressivi: “La tesi centrale del volume è che certi elementi della struttura dell’occupazione, e non delle decisioni prese da un determinato politico o funzionario dell’esercito, abbiano modificato le forme di controllo…l’occupazione operò per molti anni secondo il principio di colonizzazione, con il quale intendo il tentativo di amministrare la vita della popolazione e normalizzare la colonizzazione sfruttando nel contempo le risorse del territorio (in questo caso la terra, l’acqua e la manodopera”. Ma, sostiene l’autore, con il tempo le contraddizioni strutturali hanno portato, negli anni ’90, al principio di separazione, cioè alla rinuncia ad amministrare la popolazione, continuando però a sfruttare le risorse. Gordon individua cinque fasi: il governo militare (1967-1980), l’amministrazione civile (1981-1987), la prima Intifada (1988-1993), gli anni di Oslo (1994-2000) e la seconda Intifada (2001-2008). Fin dai primi giorni dell’occupazione normative e decisioni politiche cercarono di separare la gestione della popolazione palestinese da quella sulla terra in cui essa vive. Tuttavia fino alla scoppio della prima Intifada prevalsero il potere disciplinare ed il biopotere: Israele esercitò una metodica repressione di qualsiasi forma di organizzazione politica e nazionale dei palestinesi, intervenendo nel contempo per inserire i Territori occupati e la loro economia nel contesto israeliano in funzione complementare e subordinata. L’autore definisce questa fase come “colonialismo ‘civilizzatore’” ed identifica il tentativo di rendere l’occupazione poco visibile, separando la repressione politica dalla gestione della quotidianità della popolazione palestinese. Addirittura, nei primi 10 anni di occupazione il livello di vita della popolazione palestinese è migliorato, grazie alla promozione della produzione agricola e all’inserimento della manodopera palestinese nell’economia israeliana, con un aumento annuo del PIL dal 1973 al 1980 del 9% in Cisgiordania e del 60% a Gaza. Contemporaneamente la repressione colpiva ogni forma di rivendicazione politica ed identitaria dei palestinesi. Ma progressivamente, anche a causa del permanere di forme di resistenza palestinese, Israele ha abbandonato le modalità dell’ occupazione “consensuale”, accentuando sempre di più le forme di repressione più aperte e violente ed il processo di colonizzazione, fino a dispiegare le forme più violente di repressione durante la Prima Intifada. Gli accordi di Oslo non hanno rappresentato un cambiamento positivo della situazione: “…l’obiettivo principale di Israele in quel processo fu di trovare un modo diverso per gestire la popolazione palestinese, e continuare nel contempo a controllare la terra.” Questo progetto ha consentito ad Israele di “esternalizzare ad un subappaltatore” il controllo sulla popolazione, affidandolo almeno in parte all’Autorità Palestinese, senza peraltro rinunciare ad interventi diretti e conservando il controllo effettivo sul territorio. La drammatica situazione del 2008 viene così descritta dall’autore: “Israele oggi agisce principalmente distruggendo le garanzie sociali più vitali e riducendo i membri della società palestinese a quello che Giorgio Agamben ha chiamato “homo sacer”, persone a cui può esser tolta impunemente la vita.” Nel frattempo la situazione non ha fatto che peggiorare, come Gordon aveva a suo tempo previsto nelle conclusioni: “Qualsiasi tentativo di raggiungere o d’imporre una soluzione al conflitto senza riunire il popolo palestinese con la sua terra, offrendo loro piena sovranità sul territorio, tra cui il monopolio della violenza legittima ed i mezzi di movimento, porterà alla fine a più contraddizioni, e il ciclo della violenza sicuramente riprenderà.” Quanto sta avvenendo negli ultimi due anni, caratterizzati dall’espansione della colonizzazione, da attacchi individuali dei palestinesi e da una violenza israeliana sempre più indiscriminata, sembra dargli ragione. |