Originale: uriavnery.com

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27 dicembre 2017

 

Piangi, terra amata

di Uri Avnery

traduzione di Giuseppe Volpe

 

Chiunque proponga la pena di morte è o uno stupido totale, o un cinico incorreggibile o è mentalmente disturbato, o tutte queste cose insieme.

 

Non c’è una terapia efficace per nessuno di questi difetto e io nemmeno ci provo.

Uno stupido non capirebbe la prova schiacciante della conclusione. Per un cinico promuovere la pena di morte è un’acchiappavoti dimostrato. Una persona mentalmente disturbata trae piacere dal pensiero stesso di un’esecuzione. Non mi rivolgo a nessuno di questi, ma ai cittadini comuni di Israele.

 

Fatemi cominciare ripetendo il racconto della mia esperienza personale.

Nel 1936 la popolazione arabe della Palestina scatenò una violenta rivolta. La persecuzione nazista in Germania aveva spinto molti ebrei in Palestina (compresa la mia famiglia) e gli arabi locali vedevano il loro paese sparire da sotto i piedi. Cominciarono a reagire violentemente. La chiamarono la Grande Ribellioni; i britannici parlarono di “disordini” e noi li chiamammo “gli eventi”.

 

Gruppi di giovani arabi attaccarono veicoli ebrei e britannici sulle strade. Quando catturati, alcuni di loro furono mandati all’impiccagione da tribunali britannici. Quando gli attacchi arabi non si fermarono alcuni sionisti di destra avviarono una campagna di “rappresaglia” e spararono contro veicoli arabi.

 

Uno di loro fu catturato dai britannici. Il suo nome era Shlomo Ben-Yosef, un venticinquenne immigrato illegale dalla Polonia, membro dell’organizzazione giovanile di destra Betar. Egli scagliò contro un autobus arabo una granata che non esplose e sparò alcuni colpi che non colpirono nessuno. Ma i britannici colsero l’occasione di dimostrare la loro imparzialità.

 

Ben-Yosef fu condannato a morte. La popolazione ebrea fu sconvolta. Anche quelli che erano totalmente contrari alla “rappresaglia” implorarono clemenza; i rabbini pregarono. Lentamente si avvicinò il giorno dell’esecuzione. Molti si aspettavano una sospensione dell’ultimo minuto. Non ci fu.

 

L’impiccagione di Ben-Yosef il 29 giugno 1938 trasmise una potente onda d’urto attraverso il pubblico ebreo. Causò un profondo cambiamento nella mia stessa vita. Decisi di prendere il suo posto. Entrai nell’Irgun, l’organizzazione clandestina armata più estrema. Avevo solo quindici anni.

 

Ripeto questo racconto perché la lezione è molto importante. Un regime oppressivo, specialmente se straniero, pensa sempre che giustiziare “terroristi” indurrà altri, per la paura, a non unirsi ai ribelli.

 

Questa idea nasce dall’arroganza dei dominatori, che pensano che i loro sudditi siano esseri umani inferiori. Il risultato reale è sempre l’opposto: il ribelle giustiziato diventa un eroe nazionale; per ogni ribelli giustiziato, dozzine di altri si uniscono alla lotta. L’esecuzione alimenta odio, l’odio determina altra violenza. Se è punita anche la famiglia le fiamme dell’odio di elevano ancora più alte.

 

Semplice logica, ma la logica è fuori dalla portata dei dominatori.

Solo una riflessione: circa duemila anni fa un semplice falegname fu giustiziato in Palestina mediante crocefissione. Guardate i risultati.

In ogni esercito c’è un certo numero di sadici che si atteggiano a patrioti.

Nei miei giorni da militare scrissi una volta che in ogni squadra c’è almeno un soldato sadico e uno morale. Gli altri non sono né l’una né l’altra cosa. Sono influenzati dall’uno o dall’altro, a seconda di quale dei due abbia il carattere più forte.

 

La settimana scorsa è successo qualcosa di orribile. Dall’annuncio del Buffone-in-Capo statunitense a proposito di Gerusalemme ci sono state dimostrazioni quotidiane nella West Bank e nella Striscia di Gaza. I palestinesi della Striscia di Gaza si avvicinavano al recinto di separazione e scagliavano sassi contro i soldati sul lato israeliano. I soldati hanno istruzioni di sparare. Ogni giorno ci sono palestinesi feriti, ogni pochi giorni palestinesi sono uccisi.

 

Uno dei dimostranti era Ibrahim Abu-Thuraya, un pescatore arabo ventinovenne privo delle gambe. Entrambe le gambe gli sono state amputate anni fa, dopo che era stato ferito nel corso di un attacco aereo israeliano contro Gaza.

 

Era spinto sulla sua sedia a rotelle sul terreno irregolare verso il recinto quando un tiratore scelto dell’esercito ha preso la mira e l’ha ucciso. Era disarmato, stava solo “incitando”.

L’uccisore non era un soldato comune che può aver sparato senza mirare nella confusione. Era un professionista, un tiratore scelto, abituato a identificare la sua vittima, a prendere attentamente la mira e a colpire il punto esatto.

 

Cerco di pensare che cosa sia passato nella testa del tiratore prima di sparare. La vittima era vicina. Non c’era assolutamente modo di non vedere la sedia a rotelle. Ibrahim con costituiva assolutamente alcuna minaccia per il tiratore né per nessun altro.

[E’ nata immediatamente una crudele battuta israeliana: al tiratore scelto era stato ordinato di colpire le parti basse dei corpi dei dimostranti. Poiché Ibrahim non aveva parti basse il soldato non ha avuto altra scelta che sparargli in testa].

 

Questo è stato un atto criminale, puro e semplice. Un abominevole crimine di guerra. Dunque l’esercito – sì, il mio esercito! – lo ha arrestato? Niente affatto. Ogni giorno è stata inventata una nuova scusa, l’una più ridicola dell’altra. Il nome dello sparatore è stato mantenuto segreto.

 

Dio mio, che cosa sta succedendo a questo paese? Che cosa ci sta facendo l’occupazione?

Ibrahim, naturalmente, è diventato nel giro di una notte un eroe nazionale palestinese. La sua morte spronerà altri palestinesi a unirsi alla lotta.

 

Non ci sono spiragli di luce? Ce ne sono. Anche se non molti.

Pochi giorni dopo l’uccisione di Ibrahim Abu-Thuraya è stata immortalata una scena quasi comica.

 

Nel villaggio palestinese di Nabi Saleh nella West Bank occupata due soldati israeliani armati di tutto punto stanno in piedi. Uno è un ufficiale, l’altro un sergente. Un gruppo di tre o quattro ragazze arabe, di circa 15 o 16 anni, li avvicina. Gridano contro i soldati e fanno gesti insultanti. I soldati fingono di non notarle.

Una ragazza, Ahd Tamimi, avvicina un soldato e lo colpisce. Il soldato, molto più alto di lei, non reagisce. La ragazza si avvicina ancora di più e colpisce il soldato al volto. Lui difende il volto con le braccia. Un’altra ragazza registra la scena sul suo smartphone.

 

E poi accade l’incredibile: entrambi i soldati arretrano e lasciano la scena. (In seguito risulta che il cugino di una delle ragazze era stato colpito da un proiettile alla testa alcuni giorni prima).

 

L’esercito è rimasto sconvolto dal fatto che i due soldati non avessero sparato alla ragazza. Ha promesso un’inchiesta. La ragazza e sua madre sono state incarcerate quella sera. I soldati rischiano una strigliata.

 

Per me i due soldati sono veri eroi. Purtroppo sono l’eccezione.

Ogni essere umano ha diritto di essere fiero del suo paese. Per me è un diritto umano fondamentale così come un bisogno umano fondamentale.

Ma come si può essere fieri di un paese che fa commercio di corpi umani?

Nell’Islam è molto importante seppellire i morti al più presto possibile. Sapendo questo, il governo israeliano sta trattenendo i corpi di dozzine di “terroristi” da usare come moneta di scambio per la restituzione di corpi ebrei detenuti dall’altra parte.

 

Logico? Certo. Abominevole? Sì.

Questo non è l’Israele che ho contribuito a fondare e per il quale ho combattuto. Il mio Israele restituirebbe i corpi ai padri e alle madri. Anche se significasse rinunciare a delle monete di scambio. Perdere un figlio non è una punizione sufficiente?

Che cosa ne è stato della nostra comune decenza umana?

 


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/cry-beloved-country/

 

 

 

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