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11/12/2017

 

Gerusalemme capitale, cristiani in Medio oriente contro Trump: distrugge le speranze di pace

 

Il patriarcato caldeo critica una scelta che “complica” la situazione e alimenta “conflitti e guerre”. Il card. Raï parla di “decisione distruttiva” che viola le risoluzioni internazionali. Il papa copto Tawadros II cancella l’incontro col vice-presidente Usa Pence. Continua la protesta “rassegnata” dei palestinesi. Attivisti israeliani: gli Usa hanno abdicato al ruolo di mediatori nella regione. 

 

I vertici cristiani del Medio oriente lanciano nuovi appelli agli Stati Uniti e al suo presidente Usa Donald Trump, perché riveda la decisione di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele e disporre il trasferimento dell’ambasciata. Una scelta controversa che ha sollevato proteste e indignazione - con morti e feriti - nella regione e che preoccupa lo stesso papa Francesco, che ha invocato il rispetto dello status quo. Ieri, in una nota. la Santa Sede ha confermato “l’attenzione e la preoccupazione” per la città santa e la pace nell’area contesa.

In una nota inviata ad AsiaNews il patriarcato caldeo lancia un appello alla “superpotenza” americana, ricordando l’obbligo a “perseguire la pace, la giustizia e la prosperità nel mondo, piuttosto che complicare le questioni con i conflitti e le guerre”. La decisione del presidente Trump, spiega il leader della Chiesa irakena, è destinata ad “appiccare il fuoco in un’area già di per sé infiammata”. 

Da qui la richiesta di rispettare lo status quo per Gerusalemme e, in questo tempo di preparazione al Natale, di pregare “con tutte le persone di buona volontà” per “la riconciliazione e la stabilità” in Terra Santa e nei Paesi della zona. 

Le preoccupazioni della Chiesa di Baghdad sono condivise dal patriarca maronita, il card. Beshara al-Raï, che nella messa di ieri ha puntato il dito contro la “decisione distruttiva” e deplorevole” di Trump. La scelta del presidente Usa, ha sottolineato il porporato, “viola le risoluzioni” internazionali ed è in contrasto “con la volontà regionale e internazionale”, oltre che essere un “insulto” ai palestinesi, cristiani del Levante, musulmani e tutti gli arabi”. Essa “distrugge i ponti di pace” fra Israele, i palestinesi e gli Stati arabi e, conclude, “trasforma Gerusalemme, città di pace, in una città di guerra”. 

Critiche durissime giungono anche dal patriarca copto ortodosso Tawadros II, che ha cancellato il previsto incontro con il vice-presidente americano Mike Pence, in programma al Cairo (Egitto) nei prossimi giorni. Il papa Tawadros spiega che la decisione di Trump “non tiene conto dei sentimenti di milioni di arabi” e, per questo, ha deciso [in segno di protesta] di annullare il faccia a faccia col vice-presidente Usa in visita ufficiale in Egitto.

La decisione del leader copto, una comunità che rappresenta il 10% dei 93 milioni di cittadini in larga maggioranza musulmani, segue quella presa in precedenza dal grande imam di al-Azhar, la massima istituzione islamica sunnita nel mondo, Ahmed al-Tayeb. Le due massime personalità musulmana e cristiana in Egitto adottano una linea comune preferendo declinare l’invito ad un incontro con il numero due dell’amministrazione Usa, il quale ha dovuto incassare anche il rifiuto del presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas. 

Per i vertici palestinesi - il cui popolo, nonostante gli appelli all’ira e alla protesta, appare sempre più rassegnato - il passo compiuto dalla Casa Bianca “mette a repentaglio in maniera deliberata” tutti gli sforzi di pace. Esso rischia inoltre di mettere per sempre la parola fine al ruolo esercitato sinora dagli Stati Uniti come mediatore per la pace fra Israele e Palestina. Per Washington la scelta della leadership palestinese di annullare l’incontro con Pence nella regione dal 17 al 19 dicembre è “controproducente”; tuttavia, Abu Mazen deve fronteggiare il malcontento interno e le forti pressioni politiche che si sono scatenate all’indomani dell’annuncio di Trump e che hanno fatto tornare in primo piano il movimento estremista Hamas, fautore della linea dura con Israele. 

Di fine della “mediazione americana” in Medio oriente parla anche il movimento pacifista israeliano Gush Shalom, secondo cui le parole di Trump “non cambieranno” la situazione di Gerusalemme, ma conferma “l’abdicazione” della leadership statunitense quale guida del processo di pace. Ora, avverte il gruppo attivista che ha fra le sue firme Uri Avnery, resta da vedere “chi riempirà il vuoto” di potere che si è creato: secondo alcuni potrà essere il presidente russo Vladimir Putin, altri auspicano una maggiore leadership dell’Unione europea, o la Cina. Resta, comunque, la sensazione di una grande indeterminatezza fra le principali cancellerie mondiali. 

Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha lanciato un’offensiva per capitalizzare al massimo, in patria e all’estero, l’assist offerto dal presidente Usa. Impegnato in una visita in Europa - ieri il gelido incontro col presidente francese Emmanuel Macron, oggi tappa nella sede dell’Unione - il premier afferma che il riconoscimento “rende possibile la pace”. E non risparmia frecciate al presidente turco Recep Tayyip Erdo?an, dal quale dice di non accettare democrazia. 

Intanto la Lega araba, nel corso di una riunione di emergenza al Cairo, invoca il riconoscimento dello Stato della Palestina con Gerusalemme est come capitale.

 

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