http://nena-news.it/ 05 set 2017
All’Ap non piace il dissenso: arrestato l’attivista Amro
Roma, 5 settembre 2017, Nena News –
Continua inarrestabile la repressione del dissenso da parte dell’Autorità palestinese (Ap). Ieri è stato il turno del noto attivista per i diritti umani Issa Amro. Il suo reato? Aver scritto un post su Facebook in cui criticava l’arresto avvenuto domenica di Ayman Qawasmeh, il direttore della radio Manbal al Hurriya di Hebron chiusa la scorsa settimana dall’esercito israeliano. Qawasmeh, riferiscono i media locali, aveva chiesto al presidente Abbas e al premier palestinese Rami Hamdallah di dimettersi. Un appello che sarà suonato inaccettabile alle orecchie dei vertici dell’Ap che, giovandosi anche della recente Cyber Crimes Law, non hanno impiegato molto tempo a tappargli la bocca arrestandolo. La detenzione di Qawasmeh non ha lasciato indifferente però Amro (coordinatore del gruppo Youth Against Settlements attivo a Hebron e in passato ricercatore per l’on israeliana B’Tselem) che ha affidato a Facebook la sua indignazione per quanto accaduto: “Ci sono giornalisti che sono minacciati dalle forze di sicurezza per aver pubblicato la notizia dell’arresto di Qawasmeh. Mi auguro che ogni giornalista di questo paese la pubblichi perché è vera al 100%, non è un rumor – ha scritto Amro che ha invitato tutti coloro che sono minacciati a “documentare le violazioni illegali”. “Nessuno – ha aggiunto – può creare una legge e uno stato per sé. La legge è chiara, non è aperta a varie interpretazioni. Tutti dovrebbero rispettarla. C’è un giornalista chiamato Ayman Qawasmeh, c’è una magistratura, una società civile, un sindacato dei giornalisti e attivisti che lo sosterranno. Le forze di sicurezza dovrebbero proteggere la legge, non violarla”. Un commento di poche righe, neanche così tanto “rivoluzionarie”. Ma tanto è bastato per scatenare la rappresaglia dell’Autorità palestinese che ieri in tarda mattinata lo ha arrestato. La detenzione di Amro, noto per le sue pratiche non violente e già sotto processo in una corte militare israeliana per il suo attivismo, ha scatenato le proteste immediate di Amnesty International che ha definito il suo fermo “un attacco vergognoso alla libertà di espressione”. “È scandaloso che un prestigioso difensore dei diritti umani venga arrestato semplicemente per aver espresso la sua opinione. Criticare le autorità non dovrebbe costituire un reato penale. Quanto accaduto è l’ennesima dimostrazione che le autorità palestinesi sono determinate a continuare la loro campagna repressiva contro la libertà di espressione” ha dichiarato Magdalena Mughrabi, la direttrice della sezione Medio Orienta dell’ong britannica. Gli arresti di Qawasmeh e Amro seguono quelli di Mamduh Hamamra corrispondente di Al-Quds News, Tareq Abu Zaid e Ahmad Halayqa (al-Aqsa Tv), Amer Abu Arafe dell’agenzia Shehab e i freelance Islam Salim, Qutaiba Qassem e Thaer al Fakhouri. Tutti avevano pubblicato articoli su alcuni dei 30 siti d’informazione chiusi dall’Anp perché vicini al movimento islamico Hamas o a Mohammed Dahlan, l’ex “uomo forte” del partito Fatah e ora avversario di Abu Mazen. E nella Gaza dominata dal movimento islamico le cose non vanno certo meglio. Anche la polizia di Hamas non si tira indietro quando deve arrestare giornalisti e blogger che la criticano. Tutti i giornalisti arrestati in Cisgiordania sono accusati di aver violato l’articolo 20 della Cyber ??Crimes Law che prevede un anno di carcere o una sanzione pecuniaria da 280 a 1.400 dollari per chi “crea o gestisce un sito web o una piattaforma dell’informazione che mette in pericolo l’integrità dello Stato palestinese, dell’ordine pubblico e la sicurezza esterna dello Stato”. Si parla anche d’informazioni passate a “parti ostili” non meglio precisate. La Cyber Crimes Law – tecnicamente un decreto firmato il 9 luglio dal presidente Abbas, ma di fatto legge dato che non c’è un parlamento che può approvarlo e bocciarlo – non colpisce solo i giornalisti. Sono infatti presi di mira tutti coloro che, secondo i servizi dell’Anp, mettono a rischio l’unità nazionale e la “sicurezza dello Stato”. Anche semplici post sui social network, come il caso Amro dimostra, sono ormai esaminati con molta attenzione. E chi usa parole giudicate “offensive” nei confronti del presidente dell’Anp Abu Mazen corre il rischio concreto di finire dietro le sbarre. Ieri, intanto, la moglie del carismatico leader palestinese Marwan Barghouthi ha dichiarato che Israele le ha proibito fino al 2019 di visitare il marito in carcere per il ruolo di primo piano svolto da lei durante lo sciopero della fame dei detenuti palestinesi avvenuto alcuni mesi fa. Le autorità israeliane hanno infatti proibito alla sua famiglia di entrare nello stato ebraico per visitarlo. La decisione, ha spiegato il portavoce del Sistema carcerario d’Israele Assaf Liberati, nasce per “motivi di sicurezza”. Nena News
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