Fonte: www.truth-out.org https://comedonchisciotte.org/ 18 aprile 2017
La distruzione programmata dello Yemen di Gareth Porter Traduzione di Eleonora Fornara
La popolazione dello Yemen si trova da diversi mesi ridotta alla fame e gli Stati Uniti hanno giocato un ruolo cruciale nel rendere possibile l’attuazione della strategia dell’Arabia Saudita, responsabile di questa potenziale catastrofe umanitaria. Sia l’amministrazione Obama, sia quella Trump hanno dato priorità all’alleanza degli Stati Uniti con i sauditi e i loro alleati del Golfo, a scapito della vita di centinaia di migliaia di yemeniti, che si trovano a fronteggiare la minaccia imminente di una carestia. Sebbene l’ONU non abbia fornito pubblicamente una stima del numero di yemeniti che sono morti per patologie legate alla malnutrizione, è probabile che la cifra sia ben più alta dei 10mila che si suppone siano stati uccisi direttamente dai bombardamenti della coalizione a guida saudita. Le agenzie delle Nazioni Unite hanno stimato che 462mila bambini yemeniti al di sotto dei cinque anni si trovino già in condizioni di grave e profonda malnutrizione, che li porta ad essere a rischio di morte per fame e malattie causate dalla malnutrizione. La coalizione saudita ha seguito una strategia di guerra che consiste nel massimizzare la pressione sulla resistenza degli Houthi attraverso la distruzione delle infrastrutture agricole, sanitarie e dei trasporti e tagliando l’accesso al cibo e al carburante alla maggior parte della popolazione dello Yemen. Gli Stati Uniti hanno permesso all’Arabia Saudita di attuare questa strategia, rifornendo gli aerei della coalizione guidata dai sauditi impegnati nei bombardamenti sullo Yemen e vendendo loro le bombe. Altrettando importante, tuttavia, è il fatto che gli Stati Uniti abbiano assicurato la copertura politica e diplomatica di cui i sauditi necessitano per portare avanti la loro impresa spietata senza ripercussioni a livello internazionale. L’amministrazione Trump si è spinta anche oltre nel dare supporto alla strategia saudita. Mentre il governo Obama si era opposto ad un’offensiva della coalizione a guida saudita per riconquistare il controllo del principale porto dello Yemen, Hodeidah, e del resto della costa del Mar Rosso, dicendo che avrebbe peggiorato la crisi umanitaria nell’area, l’amministrazione Trump ha apertamente dato semaforo verde all’Arabia Saudita per lanciare l’offensiva. Inoltre, il comandante del Comando Centrale del Dipartimento della Difesa, il Generale Joseph Votel, ha definito lo Yemen “di interesse vitale” per gli Stati Uniti, sostenendo che le forze anti-iraniane devono avere il controllo su di esso per prevenire minacce da parte dell’Iran sullo stretto di Bab-el-Mandeb. Questa tesi, che evoca una minaccia del tutto infondata ai traffici commerciali nello Stretto, implica in modo evidente il supporto alla strategia saudita di riprendere Hodeidah e bloccare qualsiasi accesso al cibo per la parte di popolazione yemenita che si trova sotto il controllo di forze leali agli Houthi e al precedente presidente Ali Abdullah Saleh. Ma l’amministrazione Obama si era già mostrata accondiscendente verso una serie di mosse della coalizione saudita per imporre restrizioni ancora più severe all’accesso della popolazione agli approvvigionamenti di cibo, carburante e dispositivi medici. Una coalizione di ribelli Houthi e di truppe leali al precedente presidente Saleh ha allontanato dal potere nel 2015 il presidente Abdrabbuh Mansur Hadi, appoggiato dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita e finanziato da quest’ultima, costringendolo a scappare da Aden a Riyadh. I sauditi chiesero ed ottennero il supporto dell’amministrazione Obama per una guerra per ripristinare il governo di Hadi con la forza. Ma in breve tempo l’avanzata della coalizione saudita si arrestò, perché le forze Houthi e pro-Saleh dimostrarono di padroneggiare bene le tattiche di guerriglia. Perciò i sauditi iniziarono ad abbracciare una strategia che deprivasse di cibo e carburante la popolazione nella zona controllata dalle forze Houthi e pro-Saleh. L’atteggiamento indulgente del governo verso la strategia saudita è stato evidente fin dall’inizio della guerra. Quando il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite stava discutendo la risoluzione sullo Yemen dell’aprile 2015, il testo originale che venne diffuso per la discussione includeva una richiesta di “pause umanitarie” nelle operazioni militari, ma dopo che i sauditi e altri membri della coalizione si opposero in modo deciso a questa formulazione, questa venne rimossa dal testo finale, secondo quanto riportato dal giornalista Sharif Abdel Khouddous. La coalizione saudita ben presto rivelò l’essenza della sua strategia in Yemen: imporre estrema sofferenza alla popolazione nelle regioni controllate dagli Houthi. La strategia non solo includeva bombardamenti che avevano come obiettivo le fragili infrastrutture per i trasporti, la produzione di cibo e l’assistenza medica, ma anche un blocco navale che impedisse a qualsiasi armamento di raggiungere lo Yemen, ma anche chiaramente volta a limitare drasticamente l’accesso della popolazione al cibo e al carburante. Anche in tempo di pace, lo Yemen dipende per il 90 per cento dalle importazioni di generi alimentari di base, così come di quasi tutte le sue riserve di carburante e medicinali. Le conseguenze del blocco sulla nutrizione e la salute della popolazione civile erano destinate ad essere devastanti. Il consigliere per le politiche umanitarie di Oxfam-America, Scott Paul, ha testimoniato alla Tom Lantos Human Rights Commission nel gennaio 2017 che, dopo aver imposto il blocco navale, la coalizione a guida saudita iniziò a negare o ritardare il permesso alle principali navi commerciali e umanitarie di attraccare nei porti dello Yemen. La coalizione ha rallentato il processo di approvazione per la consegna delle merci per settimane, con la conseguenza che spesso il cibo è andato a male. “Istituendo un regime arbitrario e gravoso,” ha detto Paul alla Commissione, “la coalizione ha creato un “embargo de facto” che impedisse a cibo, carburante e medicine di raggiungere la popolazione”. Il culmine della strategia del blocco fu rappresentato da una serie di attacchi aerei il 17 agosto 2015, che distrussero tutte le gru utilizzate per scaricare le navi container nel porto di Hodeidah, il principale porto commerciale dello Yemen e l’unico capace di accogliere queste navi. Nel febbraio 2016 la crisi in Yemen, risultato dell’embargo imposto dall’Arabia Saudita, era già peggiore di quella in Siria. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tenne una serie di incontri per l’accesso umanitario sia in Siria sia in Yemen ed i membri del Consiglio si trovarono concordi sul fatto che le risoluzioni finali avrebbero dovuto garantire l’accesso umanitario – la possibilità di ricevere cibo e altra assistenza umanitaria – per le persone in difficoltà di entrambi i paesi. Ma, ancora una volta, dopo che i sauditi intervennero affinché gli Stati Uniti e i loro alleati europei si opponessero ad una tale risoluzione sullo Yemen, l’idea fu abbandonata. A metà del 2016 l’Arabia Saudita e il governo Hadi iniziarono a pianificare una forma di pressione molto più drastica sulla popolazione del nord dello Yemen controllato dai ribelli Houthi e pro-Saleh: eliminare l’ultimo ostacolo istituzionale alla carestia, la Banca Centrale dello Yemen (CBY). La CBY, situata nella capitale Sanaa controllata dagli Houthi, stava giocando un ruolo chiave nel garantire il circolare di un minimo di liquidità nella società. Stava pagando i salari mensili dell’1,2 milioni di persone che si trovavano sul libro paga del governo, la maggior parte dei quali erano ancora leali al precedente presidente Saleh e adesso stanno combattendo la coalizione guidata dai sauditi al fianco degli Houthi. Stava inoltre finanziando le spedizioni commerciali di cibo e carburante che ancora raggiungevano Hodeidah e altri porti. Le istituzioni finanziarie internazionali – con il supporto di alcuni governi occidentali, inclusi gli Stati Uniti – compresero il ruolo cruciale della CBY come “tramite economico” tra le fazioni yemenite in guerra tra loro, un ruolo indispensabile per evitare la catastrofe umanitaria. Ma, all’inizio di luglio, il Primo Ministro del governo sostenuto dall’Arabia Saudita e situato ad Aden, Ahmed Obeid bin Daghr, criticò esplicitamente questo “tramite economico”, esprimendo l’intenzione di porvi fine. Poi, il 6 agosto, bin Daghr accusò la CBY di aver utilizzato le proprie riserve per finanziare lo sforzo bellico delle forze Houthi e pro-Saleh e invitò le banche e gli istituti finanziari che detenevano le maggiori riserve in valuta estera dello Yemen ad interrompere i rapporti con la CBY. Il governatore della banca, Mohammed Awad bin Humam, un tecnocrate molto rispettato, scrisse una lettera al presidente Hadi in cui negava le accuse e proponeva che il Fondo Monetario Internazionale inviasse una società di revisioni contabili affidabile per verificare la gestione dei conti della banca da parte dello staff. In una conferenza stampa del 1° settembre, il portavoce del FMI Gerry Rice appoggiò la proposta di bin Human, confermando che la CBY aveva giocato “un ruolo fondamentale nel permettere l’importazione di quantitativi minimi di beni alimentari e sanitari di prima necessità e di carburante” nei 16 mesi precedenti e aveva “scongiurato una crisi umanitaria generalizzata”. Ma, a metà settembre, il governo Hadi proseguì nel suo intento di nominare un nuovo governatore della Banca Centrale, che si stabilisse ad Aden, città sotto il controllo della coalizione saudita. Un anonimo diplomatico occidentale criticò aspramente la mossa presso la Reuters, definendola uno sforzo teso ad “utilizzare l’economia come un’arma, impedendo alla banca centrale di accedere ai fondi all’estero”. Il governo Hadi promise che la CBY nella sua nuova sede avrebbe continuato a mantenere il ruolo della banca, fornendo liquidità e finanziando le importazioni. Di fatto, nessuno dei funzionari civili yemeniti è stato pagato da quando alla CBY con sede a Sanaa è stato impedito l’accesso alle riserve di valuta estera, aumentando ulteriormente il numero degli yemeniti che non possono più acquistare cibo. Il consigliere per le politiche umanitarie di Oxfam, Scott Paul, ha ricordato in un’intervista che dei funzionari dell’amministrazione Obama gli avevano detto di aver informato i sauditi che disapprovavano la decisione del governo Hadi. Ma la cosa non venne annunciata pubblicamente, segno che di fatto gli Stati Uniti avevano accettato l’accaduto. “L’idea che il governo avrebbe dovuto dire ai sauditi che Hadi doveva rinunciare alla sostituzione del governatore della banca centrale sarebbe rimasta inattuata”, disse Paul. Obama non era propenso ad opporsi alla politica saudita per via del suo fermo impegno a favore dell’alleanza con l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo. Durante la sua testimonianza, avvenuta il 9 marzo 2017 di fronte alla Commissione per le Relazioni Internazionali del Senato, la precedente Vice Assistente del Segretario di Stato all’Ufficio per la Democrazia, i Diritti Umani e il Lavoro, Dafna Rand, affermò che la politica del governo nei confronti dello Yemen rifletteva un “supporto incondizionato alla coalizione” per via di ciò che lei definì “la nostra profonda lealtà verso i nostri alleati” e i loro scopi nei confronti dell’Iran. Quella “profonda lealtà” riflette innanzitutto il prioritario interesse statunitense nelle relazioni militari con l’Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo. Arabia Saudita e Qatar controllano le principali basi degli Stati Uniti nel mondo arabo, come la base navale in Bahrain – uno stato vassallo dell’Arabia Saudita – e le basi terrestri e aeree in Qatar. Inoltre, la coalizione a guida saudita è stata responsabile dell’acquisto di armi statunitensi per 130 miliardi di dollari solo durante l’amministrazione Obama, generando un guadagno cruciale per i maggiori produttori di armi e posizioni future più remunerative per i militari di alto grado dell’esercito. Non dovrebbe quindi sorprendere che il Pentagono sia stato il principale fautore della politica statunitense di sostegno alla strategia saudita della fame. Nell’agosto 2016 i sauditi bombardarono un ponte che l’amministrazione Obama aveva inserito nella lista degli obiettivi da non colpire, in quanto fondamentale per assicurare la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione che viveva nel nord dello Yemen. Ma il governo non mostrò alcuna reazione. In effetti, il Pentagono dichiarò apertamente il proprio disinteresse per gli obiettivi che i sauditi e i loro alleati del golfo stavano colpendo. Un portavoce del Comando Centrale disse al giornalista Samuel Oakford che gli Stati Uniti rifornivano di carburante i jet della coalizione a prescindere dall’obiettivo o da se e come questo fosse stato precedentemente controllato; e che, se i sauditi avessero deciso di effettuare più bombardamenti, il Comando avrebbe aumentato i rifornimenti. Gli Stati Uniti sono corresponsabili, insieme alla coalizione saudita, per le morti in Yemen per fame che risulteranno dalla strategia bellica saudita, vista la dipendenza della coalizione dal supporto logistico e politico-diplomatico degli Stati Uniti. Ma il Pentagono e il Comando Centrale stanno già attivamente deviando l’attenzione da questa responsabilità condivisa, focalizzando l’attenzione dei media su quella che affermano essere una nuova minaccia da parte dell’Iran. Il risultato sarà di aggravare le colpe degli Stati Uniti verso la carestia di massa in Yemen. Gareth Porter è un giornalista investigativo indipendente e uno storico che scrive della politica di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Il suo ultimo libro, Manufactured Crisis: The Untold Story of the Iran Nuclear Scare, è stato pubblicato nel febbraio 2014. Puoi seguirlo su Twitter: @GarethPorter.
Link: http://www.truth-out.org/news/item/40147-the-us-provided-cover-for-the-saudi-starvation-strategy-in-yemen 8.04.2017
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