The Independent

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13 giugno 2017

 

La vera storia della crisi in Qatar

di Robert Fisk 
traduzione di Marina Zenobio

 

Qatar, that’s is comedy! Solo Shakespeare poteva descrivere un simile tradimento. Ora liberiamoci subito dei pezzi istericamente divertenti di questa storia

La crisi che coinvolge il Qatar dimostra due cose, la continua infantilizzazione degli stati arabi e il totale collasso dell’unità musulmana sunnita presumibilmente provocato dalla pesante presenza di Donald Trump al vertice saudita di due settimane fa.
Dopo aver promesso di combattere fino alla morte il “terrore” sciita iraniano, l’Arabia Saudita e gli stati ad esso più vicini si sono abbattuti sul più ricco dei loro vicini, il Qatar, accusandolo di essere una fonte del “terrore”. Solo i drammi di Shakespeare potrebbero avvicinarsi a descrivere un simil tradimento. Le commedie di Shakespeare, ovviamente.
Perché c’è davvero qualcosa di molto fantasioso in questa sciarada. Il Qatar ha certamente dato un contributo all’Isis. Ma lo ha fatto anche l’Arabia Saudita. L’11 Settembre non c’era nessun qatariota sugli aerei che volavano verso New York e Washington. Ma quattro dei diciannove killer erano sauditi. Bin Laden non era qatariota ma saudita.
Però Bin Laden ha reso famoso, con le sue personalissime trasmissioni, la tv satellitare al-Jazeera del Qatar, ed è stata al-Jazeera a cercare di dare una spuria moralità ai disperati di Al Qaeda/Jabhat al-Nusrah in Siria, permettendo ai leader di questa organizzazione, quando non avevano meglio da fare, di spiegare che tipo di gruppo moderato e pacifico fossero.

 

L’Arabia Saudita taglia i legami con il Qatar sui legami di terrore

Innanzitutto liberiamoci subito dei pezzi istericamente divertenti di questa storia. Vedo che lo Yemen sta interrompendo i collegamenti aerei con il Qatar. Che shock per il povero emiro del Qatar, lo sceicco Tamin bin Hamad al-Thani, considerando che lo Yemen – sotto costante bombardamento dei suoi ex amici sauditi e emiratini – non dispone di un singolo aereo di linea per creare un qual si volta collegamento aereo.
Anche le Maldive hanno rotto le relazioni con il Qatar. Certo questo non ha nulla a che vedere con la recedente promessa saudita di un prestito di 300 milioni di dollari alle Maldive. C’è poi il progetto di una società immobiliare saudita che investirà 100 milioni di dollari, nella Maldive, per la creazione di un resort familiare. E non ha nulla a che vedere neanche con la promessa espressa dal Centro saudita di studi islamici di spendere 100 mila dollari per la costruzione di dieci moschee di “prima classe”, nelle Maldive. Per non menzionare il gran numero di membri dell’Isis e di altri culti islamici che sono arrivati in Siria per combattere a fianco dell’Isis provenienti da…. guarda un po’… le Maldive!

Ora l’emiro del Qatar non ha abbastanza soldati per difendere il suo piccolo paese in caso l’Arabia Saudita decidesse di penetrare la penisola col suo esercito per riportare la stabilità – un po’ come hanno fatto nel 2011, per persuadere il re del Bahrein a tornare. Ma lo sceicco Tamin senza dubbio spera che la presenza della grande base militare USA su territorio qariota impedisca ai sauditi di esprimere la loro generosità.
Quando chiesi a suo padre, lo sceicco Hamad (poi ingiustificatamente deposto da Tamin), perché non aveva buttato fuori gli americani dal Qatar, lui mi rispose: “Perché se lo facessi i miei fratelli arabi mi invaderebbero”.


Tale padre tale figlio, suppongo. Dio Benedica l’America!
Tutto questo, dovremmo credere, è iniziato con un presunto hackeraggio contro l’agenzia di notizie del Qatar che ha pubblicato certe dichiarazioni dell’emiro qatariota, poco lusinghiere ma penosamente vere, sulla necessità di mantenere relazioni con l’Iran.
Il Qatar ha negato tutto. I sauditi hanno deciso che era vero ed hanno trasmesso il contenuto della notizia sulla loro tv di stato normalmente e immensamente noiosa. L’ambizioso emiro, così lo definiva il messaggio, ha oltrepassato i limiti. L’Arabia Saudita ha deciso la politica del Golfo, non il minuscolo Qatar. Non è stata la conseguenza della visita di Donald Trump?
Ma i sauditi avrebbero altri problemi di cui preoccuparsi. Il Kuwait, lungi dal tagliare i rapporto con il Qatar, sta ora agendo come un peacemaker tra il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi. L’emirato di Dubai, abbastanza vicino all’Iran, ha decine di migliaia di immigranti iraniani e non sta seguendo Abu Dhabi nella sua ira anti-qatariota.
Un paio di mesi fa l’Oman ha addirittura messo in scena manovre navali congiunte con l’Iran. Il Pakistan da tempo ha rifiutato di inviare il suo esercito per aiutare i sauditi in Yemen, perché i sauditi hanno chiesto solo sunniti e non soldati sciiti. L’esercito pakistano era comprensibilmente indignato dal tentativo dell’Arabia Saudita di creare divisioni all’interno del personale militare. L’ex comandante dell’esercito pakistano, generale Raheel Sharif, si è detto così arrabbiato da minacciare le dimissioni da capo dell’alleanza musulmana sponsorizzata dai sauditi per combattere “il terrore”.

 

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Il presidente dell’Egitto, Marshall al-Sissi, batte contro il Qatar per il suo sostegno alla Fratellanza Musulmana egiziana – e il Qatar davvero appoggia il gruppo ormai bandito che al-Sissi ha dichiarato falsamente di far parte dell’Isis. Ma pure l’Egitto, benché sia destinatario di milioni saudita, non intendete per niente fornire le sue truppe per appoggiare l’Arabia Saudita nella sua catastrofica guerra contro lo Yemen. Inoltre al-Sissi ha bisogno dei suoi soldati a casa, per combattere gli attacchi dell’Isis e mantenere, insieme a Israele, l’assedio nella Striscia di Gaza palestinese.
Ma se guardiamo un po’ più in fondo alla strada, non è difficile vedere quello che veramente preoccupa l’Arabia Saudita. Il Qatar mantiene anche stretti legami con il regime di Assad. Ha contribuito al rilascio delle suore cristiane siriane nelle mani di Jabhat al-Nusrah, e a contribuito a liberare i soldati libanesi che erano stati catturati dall’Isis nella Siria occidentale. La prima cosa che hanno fatto le suore, dopo la loro liberazione, è stata quella di ringraziare sia Bashar al-Assad che il Qatar.
E nel Golfo crescono i sospetti che il Qatar abbia ambizioni molto elevate, in primo luogo finanziare la ricostruzione della Siria dopo la guerra. In questo caso, anche se Assad restasse al suo posto di presidente, il debito della Siria verso il Qatar sarebbe tale da porre la nazione sotto il controllo economico di questo paese. Questo farebbe vincere al Qatar due medaglie d’oro: un impero terrestre al suo impero mediatico, al-Jazeera, e si allargherebbe sui territori siriani che molte compagnie petrolifere vorrebbero utilizzare nella rotta di gasdotti dal Golfo all’Europa via Turchia o attraverso le petroliere del porto siriano di Latakia.
Per gli europei un tale tragitto del gas ridurrebbe le possibilità di ricatto russo e renderebbe meno vulnerabili i percorsi petroliferi marini se le navi non dovrebbero partire dal Golfo di Hormuz.
Un raccolto ricchissimo per il Qatar, ma potrebbe esserlo per l’Arabia Saudita se le ipotesi sul potere USA dei due emiri, Hamad e Tamim, di dimostrassero infondate. Una forza militare saudita in Qatar permetterebbe a Riad di ingoiare tutto il gas liquido dell’emirato.
Sicuramente però i sauditi “anti-terrore” amati della pace – dimentichiamoci per un attimo del taglio della testa – non avrebbero mai contemplato un tale destino per un fratello arabo.

Quindi speriamo che per ora le rotte della Qatar Airways siano le uniche parti del corpo politico qatariota ad essere tagliato via.

 

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