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Venerdì 17 febbraio 2017

 

Sulle ceneri della libia

di Mostafa El Ayoubi

 

Sono passati sei anni dall’intervento militare della Nato in Libia che è costato la morte di decine di migliaia di persone e la fuga all’estero di centinaia di migliaia. Una guerra orchestrata dagli Usa e alleati con pretesti umanitari ma che in realtà mirava a provocare un cambio di regime che di fatto è avvenuto con l’eliminazione di Gheddafi. Ora il paese è completamente “somalizzato”. Il regime del Rais era sicuramente totalitario. Tuttavia esso per lo meno assicurava ai libici – e agli immigrati che risiedevano regolarmente nel paese – una vita dignitosa: la scuola, l’assistenza sanitaria gratuita e il lavoro. Il reddito medio per abitante era il più alto di tutta l’Africa prima che scoppiasse la guerra nel marzo 2011.

Oggi la Libia non dispone di nessun regime politico né dittatoriale né democratico, perché la guerra condotta dalla Francia e dal Regno Unito con la supervisione degli Usa ha distrutto le infrastrutture del paese e portato al fallimento dello Stato libico. Il caos la fa da padrone. Vi sono ora tre governi contendenti: uno a Tobruk nell’est, sostenuto dall’Egitto e dagli Emirati Arabi; uno a Tripoli legato ai Fratelli musulmani appoggiato dal Qatar e dalla Turchia; e un terzo chiamato Governo di accordo nazionale che è in sostanza farina del sacco degli Usa/Nato – legittimato dall’Onu – ma che non dispone di nessun sostegno militare sul terreno, mentre gli altri due hanno alle spalle milizie e gruppi ben armati. A questo quadro bisogna aggiungere l’Esercito nazionale libico (Enl), che non obbedisce a nessuno dei tre governi citati.

L’Enl è guidato – per auto-proclamazione – dal generale Kalifa Haftar. Quest’ultimo aveva vissuto per molti anni in America sotto protezione della Cia ed era tornato per combattere Gheddafi. La base operativa dell’Enl è Bengasi, anche se in realtà esso non controlla la totalità della città perché alcuni rioni sono ancora sotto il controllo dei gruppi jihadisti. Questi ultimi a loro volta controllano zone importanti e strategiche, ivi comprese quelle dove si trovano i pozzi di petrolio.

L’obiettivo dell’ex agente Cia è quello di conquistare Tripoli e sconfiggere i Fratelli musulmani che la controllano (motivo per cui egli riceve sostegno militare e politico dall’egiziano Al-Sisi). Gli americani invece non si fidano molto del loro protetto perché temono che egli possa compromettere i piani di Washington. Haftar – già in contatto con le autorità militari russe – sembra determinato ad annientare i jihadisti, mentre gli americani che li hanno utilizzati per far fuori il Rais continuano a giocare questa carta per giustificare la loro ingerenza militare in questo paese con il pretesto di combattere il terrorismo.

L’11 gennaio scorso una portaerei militare è giunta nelle coste libiche. Un segnale chiaro per avvertire i vari attori libici e non solo (politici e militari) che è la Casa Bianca che detta le regole. Gli americani dispongono oggi di una base militare nel Niger, sempre con la scusa di combattere al-Qaida e le sue derivate. Ma in realtà lo scopo vero è quello di tenere sotto controllo le risorse naturali/materie prime non solo in Libia ma anche nel Sahel. Nel Niger anche la Francia ha una base per proteggere le “sue” miniere di uranio e la Germania sembra intenzionata a fare altrettanto. Nel frattempo il terrorismo continua a spianare il terreno per il ritorno del colonialismo militare in Africa.

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