http://www.asianews.it/it.html 25/09/2017
Il referendum del Kurdistan fra aria di festa e timori di Pierre Balanian Fin dalle prime ore del giorno la gente si è riversata alle urne. Moschee e chiese partecipano all’aria festosa, coi canti del muezzin e le campane a distesa. Il Kurdistan è un Paese di tolleranza e di convivenza. I timori dei turkmeni di Kirkuk e le minacce della Turchia. L’appoggio della lobby israeliana, invisa agli arabi irakeni e a sciiti.
Nonostante tutte le obiezioni del governo centrale, alle prime ore di oggi la Provincia autonoma del Kurdistan iracheno ha dato il via al referendum per l’indipendenza. Una sfida non solo per l’Iraq ma anche per a Turchia e l’Iran che da ieri ha chiuso il suo spazio aereo a tutti i voli da e per gli aeroporti di Erbil e Suleymaniah. La Turchia si appresta a fare altrettanto, mentre Baghdad ha chiesto ai curdi di consegnare i valichi di frontiera, aeroporti compresi, alle autorità irachene. Le urne rimarranno aperte da stamane alle 8 fino alle ore 17.00, con la possibilità di prolungare di due ore. Esse sono stati letteralmente invase fin dal mattino presto. Anziani accompagnati da nipoti e persone di tutte le età affluiscono da due ingressi ben distinti uno per gli uomini e l’altro per le donne, in mezzo ad ingenti misure di sicurezza. Il tutto organizzato dall’Alta Commissione per le elezioni ed il Referendum. Dalle urne escono felici i votanti col dito colorato d’inchiostro per indicare l’avvenuta votazione. “Si, si, si, all’indipendenza, tutti devono dire di sì perché tutti i nostri martiri possano riposare in pace” ha detto ad AsiaNews il 70enne Derbas Musa Ali, che per 35 anni ha combattuto sui monti del Kurdistan. “Questo è il Paese dei Peshmerga”, ha aggiunto dicendo di “non temere né Turchia, né Iran, né Iraq: li affronteremo tutti come abbiamo sempre fatto quando ci hanno attaccato”. Mohamad Hassan, anche egli fra i primi a votare per il sì, ha detto: “Noi siamo tranquilli anzi fiduciosi che si apra una nuova era, un Paese di tolleranza e convivenza. Questi voti hanno unito il popolo curdo e noi accogliamo tutti”. Mohammad Ali Nadir ha votato perché “è rimasto ferito tre volte, con gli iracheni non si puo vivere. Dall’epoca di Saddam poco è cambiato, solo le facce, ma l’odio per i curdi è sopravvissuto. Il governo iracheno ha dimezzato le pensioni; ci vogliono far morire di fame”. Alla domanda se le pensioni ora dimezzate verranno del tutto eliminate dopo il referendum, egli ha risposto: “Mangeremo radici ed erba, ma non torneremo indietro”. I giovani sono restii a parlare con la stampa, ma sorridono ed alzano il dito colorato d’inchiosto. Tutti vestono con abiti da festa, indumenti colorati, chi con gli abiti tradizionali, chi con i vestiti più eleganti per questa giornata che considerano storica. La Regione autonoma del Kurdistan ha chiesto a tutti i luoghi di culto di partecipare all’aria di festa e dalle prime ore di stamattina si sentono i muezzin invitare i fedeli alla preghiera, mentre le campane delle chiese suonano a distesa. Tanti sperano che questo giorno segni l’inizio di una nuova era di pace e serenità, ma i presupposti che si intravvedono all’orizzonte spargono segnali bui. Paesi fra loro rivali come l’Iraq, l’la Turchia e l’Iran si uniscono di nuovo e questo non lasciano presagire nulla di buono. Coloro che hanno votato si radunano nei caffè, fumano e sorseggiano thé e tutti i discorsi ruotano intorno al presente storico, al passato eroico, ma anche e soprattutto intorno al futuro incerto. Intanto il governo irakeno ha detto che non tratterà coi risultati del referendum, che considera “nullo e non avvenuto”; altrettanto ha deciso di fare la Turchia. Ankara ha invitato stamane tutti i suoi cittadini residenti nel Kurdistan a lasciare il Paese al più presto, ad eccezione di casi urgenti. Durante la notte, testimoni oculari hanno visto la partenza di migliaia di Peshmerga curdi da Erbil in direzione di Kirkuk, dove i turkmeni, appoggiati dalla Turchia, si sono appellati per boicottare le votazioni e hanno chiesto l’aiuto della “comunità internazionale”. Secondo analisti locali, la comunità turcomanna di Kirkuk potrebbe dare inizio a scontri con i curdi per offrire alla Turchia l’alibi di un intervento militare in soccorso ai “fratelli etnici perseguitati dai curdi”. Intanto l’Iraq non ha nascosto il ricorso all’opzione militare condivisa dalla maggior parte delle milizie paramilitari come Al Hashd el Shaabi. A Mosul le tribù arabe hanno dichiarato di essere pronte a condurre una lunga guerra civile contro i curdi per impedire loro “di realizzare l’agenda straniera che mira alla spartizione dell’Iraq”, accusando i curdi di voler creare uno Stato a sfondo etnico-razziale e di essere dei “traditori in collusione col nemico” riferendosi all’apparizione di bandiere israeliane nei comizi delle campagna per il sì tenutisi nelle varie città del Kurdistan e duramente criticati dagli arabi iracheni . Il nome di Israele è ritornato alla ribalta spesso questi ultimi giorni: una settimana fa il vice presidente Al Maliki aveva espresso con chiarezza il suo “rifiuto a veder nascere un secondo Israele nel nord dell’Iraq”, mentre tutti i curdi intervistati parlano apertamente dell’appoggio di Israele e della lobby ebraica negli Stati Uniti per l’indipendenza del Kurdistan.
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