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set 23, 2017

 

Con il referendum in Kurdistan il Medio Oriente rischia di esplodere

 

“Libertà a ogni costo”, dice l’uomo forte di Erbil Massoud Barzani, riferendosi al referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno che si terrà il prossimo 25 settembre. Più che la libertà, in caso di esito positivo, i curdi rischiano di infilarsi dentro una nuova guerra. Già, perché se da una parte la causa curda ha trovato sempre più sostenitori in Occidente soprattutto per la sua lotta contro lo Stato islamico, dall’altra questa minoranza si trova senza alcun vero sostegno politico (fondamentale per un’operazione simile). E in questo, aveva ragione monsignor Hindo, arcivescovo della diocesi di Hassake Nisibi, in Siria, che in un’intervista mi disse: “Dopo aver combattuto per gli americani, i curdi rimarranno a mani vuote”. E così è.

Washington non è interessato alla causa curda. Ha usato – e sta continuando ad usare – questa minoranza per contrastare lo Stato islamico e Damasco, in un gioco molto pericoloso, dato che le truppe siriane rischiano di scontrarsi con quelle delle Sdf a Deir Ezzor. Gli Usa non possono permettersi di scontentare la Turchia, che ormai sta sempre più scivolando nelle braccia della Russia, nonostante sia un membro della Nato. Ma, soprattutto, l’America non può permettersi un’altra – l’ennesima – guerra in Medio Oriente, scontentando l’Iraq.

 

Quattro Stati e (tante) idee diverse

I curdi sono ripartiti in quattro Stati – Iraq, Iran, Turchia e Siria – ma esprimono visioni politiche e ideologiche molto diverse. Perfino contrastanti. Il progetto dei curdi turchi, per esempio, è diverso da quelli iracheni che, invece, hanno mantenuto ottimi rapporti con Ankara. E pure le forze che hanno portato avanti il referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno sostengono idee molto diverse tra loro.

La decisione di indire un referendum simile riguarda essenzialmente una persona, Barzani, che cerca in questo modo di risolvere questioni interne. Barzani è il leader del Kdp (Partito democratico curdo), un movimento di maggioranza all’interno del parlamento curdo iracheno e presidente del Krg. Negli ultimi anni, la sua figura è stata delegittimata all’interno dal fatto che il suo mandato di presidente sarebbe dovuto scadere nel 2013 mentre invece è stato prolungato due volte (illegalmente secondo i rivali politici).

A metà degli anni Novanta, il Puk ha combattuto una guerra civile con il Kdp, provocando più di 8mila vittime, ora punta a controbilanciare il potere di Barzani. A complicare il quadro, nel 2009 è nata da una costola del Puk un’altra forza politica, Gorran (“Cambiamento”), che mira a scardinare il duopolio Kdp-Puk.

 

Se davvero il Kurdistan iracheno diventasse indipendente, si aprirebbe un nuovo conflitto interno, che inguaierebbe ancora di più i curdi. Un boomerang incredibile che rischia di infiammare ancora di più il Medio Oriente.

 

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