Organ of th Council on Foreign Affairs
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September 19, 2017
The Politics of the Kurdish Independence Referendum
By Maria Fantappie and Cale Salih
How the Vote Could Provoke Crises and Silence Dissent
On September 25, Iraqi Kurdish leader Massoud Barzani plans to hold a referendum on Kurdish independence. The results will not be legally binding, but in calling for a vote, the Kurdish leadership has put its own society and its foreign partners into a bind. Although the vote may extend the lifespan of a Kurdish leadership otherwise in decline, it calls for unity that mutes domestic dissent and risks provoking crises that will leave Kurdistan externally exposed.
PARTIES OVER INSTITUTIONS
The participation of Iraqi Kurdish forces in the campaign against the Islamic State (ISIS) over the last few years won the region’s leaders unprecedented foreign military assistance and expanded control over ethnically mixed disputed territories along its internal boundary with the rest of Iraq. With the campaign’s culmination in the capture of Mosul this summer, however, external military support and international attention may taper off. For instance, the Pentagon recently acknowledged that although coalition troops could be expected to stay in Iraq after the defeat of ISIS, the U.S. footprint would be smaller and would involve fewer bases. Some Kurdish leaders thus believe they have a limited window of opportunity to organize a referendum, the second such attempt since 2005.
The proposed referendum has provoked deeply mixed reactions among Iraqi Kurds. Although some, especially among the older generation, genuinely believe that the vote will reward the Kurds for their decades-long struggle for autonomy, others, mainly among the younger generation, see it as a cynical ploy by Kurdish leaders to remain in power. Many—perhaps the majority—feel uneasy, torn between a desire to seize the chance the referendum claims to offer and mistrust of the leadership that put it forward. Prominent civil society leaders, including some journalists and activists, have publicly opposed the vote, and some political forces have stayed silent or offered only conditional support.
It does seem apparent that the old guard—the generation of leaders that spearheaded the armed struggle Kurdish autonomy many decades ago—has clung to power too long and is now the main obstacle to the emergence of a strong and independent Kurdistan.
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18 settembre 2017
Referendum: in Kurdistan si va avanti, verso l’indipendenza
di Shorsh Surme
Parte il conto alla rovescia per il referendum sull’indipendenza del Kurdistan dell’Iraq, nonostante le minacce degli ayatollah Iraniani e della Turchia del sultano Erdogan. E nonostante il premier iracheno Haider al-Abadi, il quale nello scagliarsi contro la consultazione referendaria ha affermato che se la popolazione irachena “sarà minacciata dall’uso della forza al di fuori della legge interverremo militarmente” e che “Se si cambia la costituzione e si cambiano i confini dell’Iraq, si incentivano di fatto i Paesi della regione a violare i confini iracheni. Il che è estremamente pericoloso”.
Il 25 settembre i cinque milioni di curdi del Kurdistan dell’Iraq (Kurdistan del Sud) andranno a votare il SI per realizzare finalmente un sogno, quello di un Kurdistan libro e indipendente.
Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione, e in virtù di questo diritto essi decidono del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale.
La data del 25 settembre 2017 è molto importante e sarà il primo passo quello di rendere almeno una parte del Kurdistan libero, una conquista che potrà aprire una finestra di libertà per un grande Kurdistan.
Rimanere con un governo incapace di governare è impensabile. Infatti i governi che si sono succeduti in quel paese dopo la caduta del regime di Saddam Hussein hanno portato letteralmente l’Iraq alla rovina, peggio di quanto ha fatto Saddam Hussein. Basti pensare che a 14 anni dalla caduta del regime del Partito Ba’th in Iraq mancano ancora cose essenziali come acqua potabile e elettricità, e la disoccupazione è alle stelle, il paese viene comandato letteralmente dagli ayatollah iraniani: non è possibile sottostare ancora a questo autoritarismo.
I paesi occupanti del Kurdistan l’Iraq, dell’Iran, della Siria e della Turchia non hanno mai cercato di risolvere pacificamente la questione curda pur sapendo che il Kurdistan è stato la vittima principale del trattato segreto di Sykes-Picot, il quale ha diviso un popolo unito attraverso giochi subdoli.
Con il referendum i curdi non stanno facendo nulla d’illegale, hanno tutto il diritto d’indicare e scegliere il proprio destino. E i loro fratelli di Iran, Siria e Turchia fanno il tifo affinché possono realizzare l’indipendenza. |