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27/02/2017 - 11.58

 

Cristiani del Nord-Sinai in fuga dalle violenze dello Stato islamico

di Loula Lahham

 

In soli 10 giorni vi sono stati sette morti. Alcuni uccisi con armi da fuoco, altri decapitati, altri bruciati vivi. I fuggitivi sono stati accolti a Ismailya, a Suez, al Cairo. I cristiani sono la nuova preda di Daesh.

 

Decine di famiglie copte sono fuggite da Al Arich, capoluogo del governatorato del Nord-Sinai dopo una serie di attacchi la settimana scorsa, costati la vita a sette cristiani.

Già nel 2014 lo Stato islamico aveva proclamato questa zona “Wilayat Sinai” (Provincia del Sinai), situata all’est dell’Egitto, con una superficie di circa 61mila kmq . L’area è anche quella in cui le forze di sicurezza combattono i terroristi di Daesh da almeno cinque anni.

La situazione è divenuta insostenibile dopo che in pochi giorni sono stati assassinati alcuni copti. Kamel Raouf , 40 anni, è stato ucciso con armi da fuoco, mentre sua figlia Justina è stata decapitata e la loro casa è stata bruciata. Saad Hakim, 65 anni, è stato colpito a morte; prima di morire, suo figlio, 40 anni, è stato bruciato vivo davanti ai suoi occhi. All’inizio della scorsa settimana, un medico di 67 anni, un commerciante di 45 anni e un insegnante di 55 anni sono stati uccisi con un’arma da fuoco. In soli 10 giorni vi sono stati sette morti.

Una fonte ecclesiale stima che il numero di copti fuggiti da Al-Arich arriva fino a 1000 persone, ossia circa 40 famiglie, su un totale di 1700 cittadini copti registrati nel capoluogo. Da parte sua il governatore del Nord Sinai ha deciso di considerare i copti che si assentano dalla scuola o dal lavoro come se fossero in permesso.

Le 40 famiglie fuggitive sono state accolte in parte nei locali di una chiesa protestante in un comune che si trova sulle rive del Canale di Suez. Vestiti, mobili e altre donazioni stanno giungendo di continuo nella piccola chiesa di Ismailya. Alcune famiglie hanno raggiunto i parenti nella capitale del Cairo o a Suez, sul canale.

Il dramma dei copti spinge allo scetticismo. Solo poco tempo fa essi hanno visto snodarsi sotto gli occhi della sicurezza i funerali del famoso sheikh Omar Abdel Rahman, autore di diverse fatwa (editti religiosi) jihadisti contro il potere politico, l’esercito, la cultura e le arti, il turismo e naturalmente i copti. Per ora i copti del Sinai hanno una sola scelta: essere uccisi – o bruciati vivi – oppure fuggire. È il loro turno di essere preda dello Stato islamico, dopo le forze di sicurezza che hanno perduto migliaia di uomini nel loro tentativo di contrastare il terrorismo islamico in questa zona.

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27/02/2017 - 13.08

 

In fuga dal Sinai: famiglie cristiane raccontano il terrore

di Loula Lahham

 

Uccisioni a bruciapelo, ruberie, incendi: le testimonianze dei cristiani copti fuggiti da Al Arish. Alcuni di loro avevano combattuto la guerra del Sinai nel 1973 e ora sono bollati da Daesh come “crociati”. Sulle case le scritte “Partite!”, o minacce di morte.  Famiglie suddivise in diverse vetture per evitare che in un attacco tutti muoiano contemporaneamente. Segni di amicizia da musulmani di Ismailya.

 

In poco più di due giorni, decine di famiglie cristiane – quasi 1000 persone, in maggioranza copti – sono fuggiti dal Nord Sinai in seguito alle violenze subite ad opera dello Stato islamico che settimane prima aveva promesso di rafforzare i suoi attacchi contro “gli infedeli d’Egitto”. Così, in 10 giorni sono stati uccise sette persone: a colpi di arma da fuoco, decapitati, bruciati vivi. Le famiglie fuggite sono state accolte a Ismailya, a Suez e al Cairo e la gente – cristiani e musulmani – cerca di aiutarli in qualche modo ospitandoli in case sfitte, dando loro vestiti o utensili, offrendo il loro servizio. Ecco alcune delle voci raccolte.

 

Hanno suonato alla mia porta alle 10 di sera. Due uomini incappucciati hanno sparato su mio figlio e sono entrati con la forza, imbracciando armi automatiche. Avevano una lista di nomi dei cristiani del quartiere. Hanno aperto la camera da letto e hanno sparato a mio marito (76 anni). Mi hanno domandato dove era l’oro, ma io non avevo che la mia fede al dito. Poi hanno appiccato il fuoco alla casa.

Nabila Fawzi, copta fuggita da Al-Arich

 

Qualche copto di Al Arich aveva trovato scritto sulle porte delle loro case alcune minacce di morte, o magari solo la parola “Partite!”. Ci accusano di essere di “crociati”. Noi abbiamo lasciato tutto: abbiamo paura per la vita dei nostri figli, che ormai perderanno il loro anno scolastico.

Hanna Daniel, fuggitiva

 

E’ qualcosa di inimmaginabile! Ma è possibile che per trasportare le nostre cose fuori della città di Al Arich, dobbiamo avere un permesso del sindaco per far uscire i camion?

Un fuggitivo, che ha richiesto l’anonimato

 

Ora siamo per la strada. Ho distribuito i membri della mia famiglia su tre vetture, per paura che essi muoiano tutti nello stesso tempo a causa di un’esplosione o di una fucilata.

Qadri, copto di Al Arich

 

Io sono un medico e mi presento come volontaria per occuparmi della salute degli anziani e dei malati rifugiati nella vostra chiesa. Ho la possibilità di procurarmi anche delle medicine.

Dott. Zeinab, una donna velata, medico che vive ad Ismailya

 

Preferisco andare a casa di un mio amico, per lasciare il mio posto a una famiglia che cerca rifugio. Sono fuggito con mia moglie e i miei tre bambini. Il più piccolo, Rami, è abituato a sentire i colpi delle armi da fuoco e le esplosioni. Ma il più grande, Joseph, trema ad ogni rumore. Abbiamo deciso di partire senza preoccuparci di tutte le perdite finanziarie a cui andiamo incontro.

Un padre di famiglia, fuggito da Al Arich

 

Mio marito è stato ucciso ad Al Arich il 9 gennaio scorso dai terroristi. Noi amiamo questa terra. Mio marito l’ha difesa contro gli attacchi dei colonizzatori israeliani nel 1973. Non meritiamo tutto questo.

Oum Ossama, vedova in fuga da Al Arich

 

Abbiamo cominciato ad aver paura perfino della nostra ombra. Temiamo di essere seguiti e abbattuti con un colpo di pistola alle spalle. I cristiani sono presi di mira in una maniera straziante.

Un giovane che richiede l’anonimato

 

 

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