Tratto da Jacobin http://contropiano.org/ 13 marzo 2017
Steve Bannon, il Rasputin para-nazista di Trump di Connor Kilpatrick Traduzione e cura di Francesco Spataro
Non si può combattere il populismo della “Razza Superiore” con un liberalismo debole. Il sistema liberale a stelle e strisce è in crisi, ma all'orizzonte si stagliano ombre che ci riportano ad un passato fatto di persecuzioni razziali, arroganza militare e protezionismo economico. Donald Trump, ed i fedeli di cui si è contornato, sono anche più pericolosi. Ma è proprio quel liberalismo asfittico, caduto nella trappola della temperanza, del “politically correct”, che sembra ora capitolare, ad offrire gli strumenti migliori alla destra suprematista e guerrafondaia per sfrecciare su un'autostrada a sei corsie verso la (ri)conquista della nuova frontiera.
Un'Autobahn* per Steven Bannon Steve Bannon, è un sacco gonfio di merda, questo è fuor di dubbio. Con il suo collo peloso, la sua trasandata chioma grigia, somiglia più, ad un patrigno alcoolizzato che, con aria triste, nella disperata speranza di avere un erezione, sta seguendo uno speciale su Rommel, trasmesso da “History Channel”. Il Presidente Trump, ha scovato in Bannon il suo personale Grima Vermilinguo**, in uniforme da piedipiatti federale, e con un fare da vero bullo. Nell'oscurità, Bannon gli sussurrerà di “realismo della razza” (la teoria sulla presunta esistenza di una “razza ariana” N.d.T.) e dei danni derivanti dalla contraccezione. La sua ascesa alla Casa Bianca, in realtà, dovrebbe dare i brividi a ciascuno di noi. Ma ciò che è più pericoloso, in Bannon, non sono tanto quelle politiche da mezzo suonato di estrema destra che gli hanno permesso di raggiungere i piani alti; dopotutto, quella è quasi una tradizione, tutta Americana. Qualche esempio? Abbiamo già dimenticato Dan Burton, dell'Indiana? (rappresentante dello Stato per il Partito Repubblicano dal 1983 al 2003 N.d.T.) Proprio quel membro del Congresso che ricostruì il presunto assassinio di Vince Foster da parte di un Bill Clinton, armato di pistola e cantalupo? E cosa dire, del Segretario degli Interni per il governo Reagan, James G. Watt, l'uomo che vietò ai Beach Boys di esibirsi sul National Mall di Washington, solo perché avrebbero attirato “elementi pericolosi”? E ancora, Larry McDonald, teorico del complotto e presidente della John Birch Society (associazione politica statunitense di estrema destra N.d.T.), anch’egli uomo di estrema destra e che arrivò al Congresso nel 1975, durante quella che si supponeva essere un'era di equilibrato consenso bipartisan; pochi anni dopo, sollecitò la candidatura al Premio Nobel per la pace del criminale di guerra nazista Rudolf Hess, solo sulla base del fatto che era anticomunista. Prima di fare il suo ingresso in Senato, con un discreto successo, Ted Cruz aveva dichiarato guerra ai dildos, affermando in una nota legale: “Non esiste sostanzialmente alcun regolare diritto, nei termini di legge, a stimolare i genitali di qualcuno, se non per scopi medici.” Per finire, nel 1980, con lo stesso Ronald Reagan che si candidò, tenendo un comizio ad appena 7 miglia da Filadelfia, nello Stato del Mississippi, dove tre attivisti neri per i diritti civili, erano stati uccisi negli anni 60’, in una cospirazione politica che aveva coinvolto l'ufficio dello sceriffo della contea, la polizia locale, ed il Ku Klux Klan; in quell'occasione, Reagan promise di “restituire agli USA, ed ai governi locali, il potere che giustamente gli appartiene”; queste le sue parole. Tutti repubblicani, tutti di estrema destra. Se questi folli della destra estrema, alla guida del Paese, e nei suoi punti di potere, avessero voluto portare la Nazione, verso un Quarto Reich, l'avrebbero fatto decenni prima, quindi (durante quello che fu un conflitto di classe veramente violento e che si sparse ovunque a macchia d'olio), su richiesta di potenti petrolieri, come Clint Murchison Sr che, stando ad alcuni pettegolezzi, si ritiene essere il fondatore del Partito Nazista Americano; o Torkild Rieber, presidente del consiglio di amministrazione della Texaco, che rese la vittoria di Franco, nella Guerra Civile spagnola, un gioco da ragazzi; inviò infatti una quantità di petrolio indispensabile al successo nel conflitto e un telegramma con su scritto: “Non preoccupatevi del pagamento.” Malgrado le simpatie fasciste nei piani alti, nessuno di questi spregevoli vermi superpotenti era incline a far scivolare verso il fascismo la nostra oligarchia costituzionale. Perciò la definizione di “razzista di ultra destra” non fa di Bannon una persona particolarmente eccezionale, o minacciosa. Il punto è quanto sorprendentemente bene riesce a comprendere i fallimenti del liberalismo, e quanta volontà c’è di creare un progetto reazionario e fraudolento, dedicato a tutti coloro che hanno sperimentato il declino di questo liberalismo solo durante gli anni di Clinton od Obama. Come un'erbaccia mutante, lasciata crescere attorno ad un mucchio di compost, pieno di merda, Bannon ha coltivato il suo personale modello reazionario, esclusivamente all'interno del cadavere in decomposizione del liberalismo americano. Non avrebbe potuto attecchire in nessun'altro humus. Sintetizzando l'abbraccio del Partito Democratico con la Silicon Valley e i gruppi finanziari, si compiace così: “[I Democratici] stavano stringendo affari con questa gente, che possedeva società con un capitale finanziario da 9 milioni di dollari, e che impiegava solo nove persone. Questo non corrisponde affatto alla realtà. Hanno perso di vista come va il mondo.” Per la maggior parte delle cose che dice, ha ragione: i Democratici hanno abbandonato – talvolta facendogli anche la guerra – la classe operaia in favore di quella dei professionisti. L'ascesa di Bannon, in groppa ad un candidato che ha vinto a malapena, per un pugno di voti in più di Mitt Romney, è stata possibile solo per il collasso del liberalismo al volgere del secolo e per la scarsa levatura dei suoi rappresentanti nel Partito Democratico. Bannon (e Trump) sarebbero delle nullità, senza quell'implosione. In un'intervista all'Hollywood Reporter, che apparve subito dopo la vittoria a sorpresa di Trump, Bannon abbozzò il suo programma per l'America; qualcosa che Bannon stesso ha chiamato “nazionalismo economico.” Vogliamo costruire un movimento politico completamente nuovo… Sarà interamente dedicato al lavoro, alla classe operaia. I conservatori ne andranno pazzi. Io sono un uomo che muove un piano di infrastrutture da miliardi di dollari. Con i tassi di interesse negativi in tutto il mondo, questa è la più grande opportunità per ricostruire ogni cosa: cantieri navali, acciaierie, qualsiasi cosa… Sarà eccitante, come nel 1930. (dopo la Grande Crisi del 1929 N.d.T.) Andrebbe tutto a gonfie vele, sembra; se non fosse per il fatto che niente sembra essere così. Trump e la sua legislatura repubblicana sono credibili, nel rendere esecutivo il programma di Bannon, quanto Obama lo era quando disse che stava varando un New Deal per l'ambiente. L'attuale programma infrastrutturale non è costituito altro che da detrazioni d'imposta. Gli investitori privati potrebbero saltare sul carro dello sviluppo dei gasdotti, ma non sarebbero mai interessati alla ristrutturazione dei sistemi idrici municipali. E' quasi come fu per la Tennessee Valley Authority (società statale che forniva navigazione, energia elettrica ecc. per lo sviluppo della Valle nello Stato omonimo N.d.T.), che sviluppò e modernizzò, a malapena, le regioni più arretrate degli Stati Uniti a scapito della propria reputazione, risultando “impresa non redditizia”, per il settore privato. Il New Deal che Bannon cita come fonte di ispirazione non fu un semplice omaggio ai palazzinari, come l'offerta di Trump, o come è stato anche in gran parte l'ARRA (o American Recovery and Reinvestment Act), l'accordo di Obama per il recupero ed il reinvestimento di capitali. Al contrario, gli americani vennero reimpiegati grazie ad una supervisione, ad un controllo pubblico, statale. Tra il 1935 e il 1943, la Works Progress Administration (l'Agenzia che ai tempi della Grande Depressione si occupò di impiegare i disoccupati, soprattutto nella costruzione di infrastrutture N.d.T.), assunse 8 milioni e mezzo fra uomini e donne, senza contare i tre milioni che lavorarono per i Civilian Conservation Corps (i corpi con compiti di Protezione Civile N.d.T.), soprattutto giovani. Come ha dimostrato il fiasco dell'uragano Katrina, senza una vigilanza ed una regolamentazione federale efficace, un'infrastruttura incassa solo se è competitiva, se crea una sorta di gara al ribasso in termini salariali e di sicurezza sul posto di lavoro. Lo scorso dicembre, un operaio di un cantiere in cui si stanno costruendo nuove soluzioni abitative economiche, nella parte nord di New York City, è morto sul lavoro. I sindacati, tempo addietro, avevano preteso che tutti i lavoratori venissero coperti da un'assicurazione, ma il Comune della città di De Blasio (sindaco di New York, democratico), ai tempi, preferì “massimizzare la produzione”, piuttosto che pagare salari sindacali o un programma assicurativo. Ed ora un lavoratore è morto, perché non era adeguatamente assicurato. Qualsiasi progetto presenti Trump, il salario, la sicurezza o il benessere di un lavoratore avranno ciascuno, a suo dire, la propria importanza. Ma, ben presto, i lavoratori che si renderanno disponibili ad appoggiarlo si aggiungeranno alle altre decine di migliaia di quelli che il Presidente ha già raggirato durante la sua miserabile carriera. Ciononostante, quello che Bannon ha dichiarato – riguardo il fatto che i tassi di interesse con segno negativo creino le condizioni perfette per uno sviluppo su larga scala del sistema infrastrutturale – è vero. (anche il sempre più inutile Paul Krugman è d'accordo su questo punto…). Eppure persino il Presidente Obama, che inaugurò l'ARRA quando i tassi di interesse erano ancora più bassi, non accettò di finanziare del tutto un piano di ricostruzione del paese quando gliene fu data l'occasione ideale. Christina Romer, consulente per l'economia di Obama, ha stimato in almeno 1.200 miliardi di dollari il fabbisogno per spingere il Paese fuori dalla Grande Recessione in cui è piombato. Il suo team politico, terrorizzato dalla parola che inizia con la lettera ‘t' [sta per trilioni, cioè mille miliardi di dollari N.d.T.] (che almeno apparentemente non impaurisce affatto Bannon), l'ha ridotto fino ad arrivare alla cifra di 800 miliardi , molti dei quali ricavati da tagli alle tasse. Anche la stima iniziale della Romer era stata fin troppo moderata; in seguito, fu costretta a dichiarare che il paese aveva bisogno di almeno 2.000 miliardi di dollari di incentivazione monetaria. Di fatto, Obama ha eluso un New Deal ed ora un reazionario che ha preso il suo posto ne sta offrendo una versione stile Herrenvolk, modello “Razza superiore”. Ciò che rese efficace il New Deal – nulla a che vedere con le proposte di Trump od il programma ARRA quindi – fu che miliardi di dollari trasformarono un esercito di disoccupati in uno di occupati, in poche settimane. La priorità fu data ad attività ben remunerate per i lavoratori, e non a sostegno dell'edilizia dei grandi imprenditori. Fu reso possibile per l'attivismo dei sindacati dei lavoratori, la gran parte dei quali influenzati dal Partito Comunista. Dovremmo detestare Obama per non aver avuto alcun programma per rafforzare la classe operaia americana; non avremmo mai dovuto credere che lui, o tantomeno il Partito Democratico, lo avrebbero fatto. Il Liberalismo, nel XXI secolo, ha fallito non a causa di una nuova industrializzazione, ma perché ha avuto da sempre delle carenze bestiali, enormi, anche quando è stato all’apice della sua forza. Ma ne è valso dannatamente la pena, visto che al tempo ha contribuito alla creazione di un movimento dei lavoratori radicale, che lo ha cooptato, anche se malvolentieri, e lo ha sollecitato ad un'unità politica. Senza una classe lavoratrice militante, non c'era speranza di avere un nuovo “New Deal” sotto l'amministrazione Obama. Meno che mai ne avremo uno sotto quella Trump. Il Donald nazionale ha un qualche piano per incoraggiare una nuova ondata di sindacalizzazione, un suo personale Wagner Act***? Oppure ha una proposta, per scagliarsi contro quella “classe di benefattori” che Bannon sostiene di disprezzare tanto? Naturalmente no. Trump, dal suo account Twitter, ha già fatto dei leaders sindacali un bersaglio, esortando l'America delle imprese ad entrare nella sua amministrazione, con una volgarità senza pari. Il neo Presidente vuole creare un paradiso per la classe lavoratrice riportando in patria l'industria manifatturiera, così da poter competere con lo sviluppo dei salari mondiali. Questo rende i buoni pasto di Obama, e l'economia di Uber (quella che ora va sotto il nome di sharing economy), solo meri tentativi, qualcosa che fa somigliare gli Usa alla Svezia del 1970 (in quell'anno la Svezia era il quarto paese più ricco della classifica dell’OCSE per reddito pro-capite N.d.T.). In altre parole un semifallimento. Un vero “nazionalismo economico”, per intenderci, sul modello di quello fascista ad inizio ‘900, è praticamente lettera morta, nell’America del ventunesimo secolo. Il Partito Repubblicano può essere la destra dura della nostra classe dominante, ma è comunque una classe dominante davvero molto capitalista, non quella che potrebbe spuntare fra le cicatrici procurate da un duello prussiano o quella delle spalline militari. E questi noiosi capitani d'industria, con il pallino del business, non hanno assolutamente alcun interesse in un nuovo “New Deal”, né reazionario, né di nessun altro tipo. Quindi, né TVA (Tennessee Valley Authority) a piccoli passi, né Autobahn, veloci come su di un'autostrada tedesca a tre corsie. Sono troppo borghesi per cose di questo tipo. Tali e quali, Trump e Bannon. E quest'ultimo rincara la dose, con il suo gretto modo di fare da spaccone. Nonostante il discorsetto sull'uomo della strada, il semplice cittadino, non dimentichiamo che Bannon ha lavorato per la Goldman Sachs prima di trasformarsi in un finanziere di Hollywood, e poi diventare ricco con la sit-com Seinfeld. Il suo partner e sceneggiatore sostiene che Bannon, una volta, propose di limitare la possibilità di voto a chiunque possedesse un bene, una terra, un immobile o un'attività; di fatto, a chiunque fosse proprietario di qualcosa. E' un individuo odioso, una caccola, ancora più federalista di Alexander Hamilton (fondatore del Partito Federalista americano N.d.T.), piuttosto che un reazionario “jacksoniano”. Dietro il suo presunto programma economico per la classe operaia, si celano le stesse idee elitarie di merda che lui stesso mette alla berlina nei liberali. Proprio come Lin-Manuel Miranda (rapper e attore di Broadway N.d.T.), anche Bannon ha scritto una volta, il suo personale musical rap (Bannon ha riscritto in chiave hip-hop il “Coriolano” di Shakespeare N.d.T.). Come ogni ricco pezzo di merda di estrema destra, gioca ad interpretare GJ Joe**** in pubblico – o Julius Streicher (criminale nazista, imputato al Processo di Norimberga N.d.T.), se è dell'umore giusto – prima di sistemarsi, con una buona bottiglia di Amarone, in una villa climatizzata sul lungomare a rimirare l'Oceano. Le ambizioni di Bannon chiariscono, in modo trasparente e raccapricciante, che il Liberalismo ed il Partito Democratico non rappresentano in alcun modo l'ala sinistra del conservatorismo e del Partito Repubblicano; ed i liberali, dal profondo dell'animo, questo lo comprendono. Di contro i Repubblicani non hanno un elemento coerente di contrasto ideologico, un vero programma, e di sicuro nessuna idea, per cambiare la società al meglio. Michael Wolff (editorialista di Usa Today N.d.T.), ha correttamente identificato il problema con “l'incarnazione, più di ogni altro, della furia e del dolore esistenziale dei liberali”. Non ci si riferisce soltanto ai disgustosi commenti di Bannon, ma anche alla sua infuocata ambizione, qualcosa che il Partito Democratico ha totalmente perso. Anche a volerne parlare al meglio, le aspirazioni del Liberalismo sono state sempre e solo uno stemperare gli animi, una copia scadente dei sogni utopistici degli attivisti comunisti e socialisti. Trump ammicca e strizza l'occhiolino ai nazisti, mentre il Partito Democratico riesce a malapena a mascherare il suo disprezzo per le socialdemocrazie scandinave; “qualsiasi cosa significhino”, dichiara Clinton. Le baby-boxes distribuite dal governo finlandese alle neo mamme (un kit fornito dal 1930 a tutti i neonati, a prescindere dallo stato sociale o dal background delle famiglie N.d.T.), probabilmente susciterebbero urla di sdegno da parte dei funzionari del Partito Democratico, allo stesso modo che per una falce e martello ricoperta d’oro. Gli opinionisti che guidano il centro-sinistra sembrano ritenere che le conquiste social-democratiche più popolari del liberalismo – Social security, Medicare, Wagner Act – siano poco più che prodotti taroccati, di un passato quasi razzista e sessista. Nel frattempo, la leadership del Partito ha passato la maggior parte dell'anno scorso a diffamare il suo politico più popolare, come fosse un demagogo allucinato. Nonostante la levata di scudi, lo sdegno dell’opinione pubblica sui rapporti con Breitbart News (il sito web di estrema destra suprematista, gestito dallo stesso Bannon N.d.T.), Trump si è schierato dalla parte di Bannon, e non si è scomposto più di tanto quando le sue associazioni nazionaliste bianche sono state sbattute sulle prime pagine dei giornali in tutto il mondo: la posizione di Bannon, come consigliere senior e capo stratega della Casa Bianca, è rimasta intoccata; eppure il membro più a sinistra del “cerchio magico” di Obama, quello più ambizioso, l'avvocato e giornalista Van Jones – un tempo tesserato di un gruppo maoista, presunto leader delle iniziative Green Jobs, a favore di un'economia fondata sul lavoro legato all'ambiente – è stato espulso dopo solo nove mesi. Per quale ragione? A causa di un video spuntato dal nulla, in cui Jones aveva apostrofato i repubblicani con l'appellativo di “coglioni”, e per la sua firma su una petizione che ricercava la verità sull'11 settembre. Bannon è stato condannato una volta per aver picchiato la moglie, davanti ad un ufficiale di polizia. Contemporaneamente all'ascesa di Trump si assisteva al declino diffuso del liberalismo; è in questo momento che risulta evidente la dimostrazione di quello che Perry Anderson ( storico e saggista britannico, di orientamento marxista N.d.T.) definisce “l'universo ideologico tutto capitalista” degli Stati Uniti: Un firmamento IN CUI, la sacralità della proprietà privata e la superiorità dell'impresa sono verità date per scontate da tutte le forze nell'arena politica… Si tenderà a dare più elasticità alla destra del suo centro di gravità, che alla sinistra, dal momento che il sistema elementare di credenze e tradizioni si presta ad una articolazione più convincente, e ad un richiamo più attraente, in una forma dura e pura, piuttosto che in una annacquata. Proprio come il conservatore ingessato Paul Taft (l'odierno Paul Ryan), in forma del tutto privata, sostenne Joe McCarthy ad andare avanti, finché ne aveva bisogno, così il Partito Repubblicano ha fatto pace con il Trumpismo nel giro di poche settimane. Non abbiamo però ancora visto quello scatto di elasticità a destra. L'establishment del GOP (Grand Old Party, come viene anche chiamato il Partito Repubblicano N.d.T.), all'inizio ha temuto ciò che si nasconde giù, nel buio del pozzo – e solo pochissimi politici come Charlie Crist o la famiglia Bush potrebbero gridare: “zietto”?…sei tu? – ma alla fine, come ne “La Cosa” (film di fantascienza degli anni ’50, in cui un alieno prendeva le sembianze dell'essere umano che andava ad infestare, N.d.T.), distruggerà lui stesso la minaccia e la rimodellerà, proprio come sta modellando il partito; lo faranno uno alla volta, a turno. Non esiste alcuna relazione tra il Partito Democratico e la sinistra socialista. Il Liberalismo, senza la classe operaia, è lontano anni luce, peggio di una cosa inutile; come una sinistra senza marxismo, è il peggio del peggio. Persone di estrema destra, affermate come Bannon, lo hanno sempre saputo. Si definisce “un Leninista” e, proprio come Grover Norquist (avvocato repubblicano fondatore dell'organizzazione Americans for Tax Reform N.d.T.), tiene un busto di V. I. sulla scrivania. Non è ironia, in entrambi i casi, e non lo è mai stata; per loro, Lenin rappresenta sia il trofeo di una ideologia vinta – una sorta di pelle d'animale che ci si è guadagnata in un safari – che la chiave d'accesso ad una fonte di ispirazione e ad una disciplina rivoluzionaria. Non si fanno beffe di Lenin, deridono la sinistra per aver abbandonato il marxismo. Così come David Brooks (editorialista del New York Times, scrive di politica, cultura e scienze sociali N.d.T.), che ha rimproverato la sinistra del ventunesimo secolo per aver abbandonato la critica anticapitalista: La Sinistra non ha più alcuna relazione con il marxismo, né con nessun altro schema intellettuale dialettico… Nessuna base su cui fare affidamento, nessuna ideologia cui dare una forma ed un'organizzazione qualsiasi… Più in generale, sta indebolendo la forza e l'efficacia delle politiche moderne L'amministrazione Trump non riuscirà neanche a trattenere la soddisfazione. La Destra – non il Partito Democratico – vuole rinnovare questo Paese da capo a piedi. E il marxismo ed il socialismo sono i suoi veri avversari Se abbiamo intenzione di combattere Trump e Bannon, questo è il terreno che dovremo battere. Il razzismo evocato, e su cui hanno fatto campagna elettorale, va al di là della vera intolleranza; perché quello che hanno promesso ha un'esca concreta, molto materiale: lavoro, mutui, valore degli immobili. Ma non si può combattere il populismo della “Herrenvolk” (letteralmente Razza Superiore, o razza ariana, dal concetto della mistica nazista N.d.T.) con un liberalismo debole. Uno stato sociale insignificante, basato sul reddito, che capovolge il ragionamento sulle politiche e i programmi dei suprematisti bianchi, “perché ciò che è adeguato per noi, non è adeguato per loro.” Entrambi gli schieramenti, però, calzano a pennello comodamente nelle politiche della classe dominante del “dividi et impera”, contrapposti all'ampia solidarietà di cui hanno il terrore. Come possiamo aspettarci che la società mostri apprezzamento per qualcosa come il Medicaid (programma sanitario federale degli USA che provvede a fornire aiuti alle famiglie a basso reddito N.d.T.), quando ci sono enormi porzioni di piccola borghesia e di proletariato esclusi da tutto questo perché non hanno i requisiti? Si ha bisogno di una democrazia sociale universale, un programma politico di trasformazione, ma più radicale di quello per cui ha fatto campagna elettorale Sanders. Siamo nel bel mezzo di una resa dei conti, con il consenso dei neoliberali. La Destra ha fatto il suo gioco, ora noi dobbiamo fare il nostro. Quindi restituiamo al liberalismo la sua corretta posizione, lì dove è conforme all'etichetta, al posto delle élite, attorno ad un tavolo imbandito per cena; quelle élite, che si stanno mangiando avidamente il Paese, rappacificandosi con Trump e Bannon, proprio mentre noi stiamo parlando; perché, se continuiamo ad ispirarci così tanto a loro, consciamente od inconsciamente, questo è il liberalismo che oggi ci meritiamo, e questa sarà la Sinistra che avremo. Né più, né meno. Per quanto l'etichetta possa portare le persone a pulirsi la bocca, e ad usare belle parole per esprimere concetti sgarbati, con quelle armi non si può cambiare la Società. Non si possono mai sconfiggere vermi come Bannon.
Note * Il termine tedesco traduce l'italiano “autostrada”; tuttavia, nell'articolo si vuole mettere in evidenza il carattere su cui si fonda la teoria politica di questa Amministrazione USA, a forte componente suprematista e “Wasp” (White anglo-saxon protestant). Ecco il perché, quindi del richiamo anche al termine “ariano” “Herrenvolk”, (“razza superiore”, nel senso nazista), presente più avanti nell'articolo. ** Grim Wormtongue, è il consigliere di Re Théoden di Rohan, nella trilogia del “Signore degli anelli” di J.R.R. Tolkien. Il suo è un personaggio molto controverso, infatti ha un carattere molto debole e finisce, a causa della sua viltà, per tradire il proprio signore, in favore del loro nemico Saruman. ***Dal nome del Senatore Democratico Robert Ferdinand Wagner, avvocato, che nel 1935, in pieno New Deal, riuscì a tramutare in legge, il cosiddetto “Wagner Act”, una serie di norme che stabilivano il diritto per tutti, lavoratori e disoccupati, di riunirsi e farsi difendere da un sindacato durante una possibile controversia con i datori di lavoro. **** G.I. è l'acronimo di “Government Issue”, letteralmente “fornitura, articolo governativo”, che unito al nome più comune negli Usa – Joe – incarna il prototipo del comune soldato di fanteria della Seconda Guerra Mondiale; negli anni ’60 è diventato poi un pupazzo-giocattolo, la versione al maschile della Barbie.
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