http://popoffquotidiano.it/ 15 luglio 2017
Femminicidio, frutto della cultura patriarcale di Marina Zenobio
Sembra che tutto alla fine si risolva con numeri e percentuali, ma dietro ogni femminicidio c’è una cultura misogina
Morire di femminicidio, per il solo fatto di essere donna e come tale considerata dal proprio compagno o ex compagno una proprietà che si ha anche il diritto di annientare nell’identità e nella vita stessa, un “qualcosa” che non ha alcuna facoltà di decidere, e soprattutto di decidere quando è il momento di interrompere la relazione. Per scomodare la criminologa e attivista femminista sudafricana Diana Russel “il femminicidio si estende al di là della definizione giuridica di un assassinio e include quelle situazioni in cui la morte della donna rappresenta l’esito e o la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”. E’ così che in Italia sono morte 124 donne nel 2011 e 111 nel 2016. Per quanto riguarda l’anno in corso, lo scorso 4 luglio, con malcelato ottimismo, il capo della polizia Franco Gabrielli dichiarava, in un’audizione davanti la Commissione d’inchiesta sul femminicidio, che nei primi cinque mesi del 2017 erano stati commessi 29 femminicidi, il 40% in meno rispetto allo stesso periodo del 2016.
Le storie di queste donne sono tutte simili Il 14 luglio Manuela Picci, 26enne di Cagliari, ultima in ordine di tempo, è stata per così dire “fortunata”. E in coma mentre il suo fidanzato, credendola morta dopo averla massacrata di botte per gelosia, si è ucciso.
Perché le donne non denunciano? E di nuovo molti si chiedono perché le donne non denunciano prima che gli abusi subiti dai partner o ex partner arrivino al drammatico finale. Come se la prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne dipendesse esclusivamente dalla denuncia.
Per questo il Piano nazionale contro la violenza alle donne, voluto dal governo Letta nel 2013, non ha funzionato e non funzionerà. Perché ha trascurato il dato più importante per combattere un fenomeno che non è emergenziale ma strutturale. Quello di cui c’è bisogno sono interventi per modificare la cultura, per combattere gli stereotipi, a partire dalle scuole primarie, il riconoscimento dei centri antiviolenza che, da molto tempo prima che la politica e media si rendessero conto del “fenomeno”, sono in prima linea a fianco delle donne vittime di violenza. Ed infine se veramente si vuole contrastare la violenza di genere, lo Stato deve farsi carico delle donne che decidono di denunciare, dando loro sostegno economico per smarcarle dalla dipendenza economico dal partner violento.
Non si può pensare a una soluzione del problema solo da un punto di vista repressivo, un anno in più o in meno a chi agisce violenza su una donna. Il punto è mettere in discussione la matrice patriarcale della nostra società e la sua intera struttura. Altrimenti continueremo a scrivere e a leggere nomi, numeri e percentuali di donne uccise perché donne.
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